Chi ha fatto tutto ciò?

Un commento di Eno mi invita a riflettere sulle collettività:

una collettività è innanzitutto una stenografia, un nome breve, un po’ arbitrario e riassuntivo, per tutti i suoi membri.

In seconda battuta la collettività è anche di più, e perfino “fa”: è l’intreccio delle azioni individuali, il sorgere di effetti involontari da azioni volontarie, il sorgere di norme spontanee.

Ma questo “essere di più” noi possiamo capirlo solo se cominciamo dal basso, cioè pensiamo che gli individui sono i basamenti e il resto, lungi dall’essere fuffa o nuda nomina, ci poggia sopra.

Riassumendo in maniera abbastanza brutale: le collettività esistono, sono soggetti a tutti gli effetti, tuttavia sono soggetti derivati, soggetti di secondo ordine rispetto agli individui che costituiscono il primo ordine.

Voglio prenderlo in parola e, soprattutto, mettere alla prova la sua tesi.

Lascerei perdere la questione “viene prima il singolo o la collettività?” perché ricalca fin troppo da vicino la classica domanda “viene prima l’uovo o la gallina?” (meglio non dare troppi argomenti a chi accusa i filosofi, o presunti tali, di dedicarsi all’aria fritta). Passerei piuttosto alla domanda “da dove è meglio iniziare per capire qualcosa?”, questione più pertinente, credo.

Per Eno, se si vuole capire la collettività, si deve cominciare dal basso, ossia dai singoli. Penso che quel “cominciare” sia da intendersi sia in senso temporale (le prima riflessioni riguardano i singoli) che logico (la base di tutte le riflessioni è il singolo).
Eno tuttavia non dice da dove è meglio cominciare per capire i singoli.
Sarei tentato di rispondere: dall’alto, dalla collettività. Vuoi capire perché una persona ha agito in una certa maniera, vuoi comprendere le sue scelte, le sue speranze, le sue conoscenze? Quale punto di partenza migliore del contesto, ossia delle collettività che coinvolgono la persona indagata?
Sarei tentato di rispondere così, ma mi trattengo perché, in fondo, ricondurre ogni discorso alla collettività sarebbe riduttivo, si rischia cioè di non capire molte cose.

Mi viene comunque il dubbio che la posizione di Eno sia altrettanto riduttiva: riconducendo ogni discorso sulla collettività ai singoli, non si rischia di non comprendere molte cose?

Prendiamo una domanda tutto sommato semplice: “Chi ha fatto la mia macchina?”
Gli operai della fabbrica? Certamente sono stati loro. Tuttavia un qualche ingegnere avrà progettato il tutto. Un ingegnere? Diciamo anche più d’uno, basandosi su brevetti registrati da altri ingegneri che hanno lavorato per altre società. Questi ingegneri avranno avuto dei limiti di budget, limiti stabiliti da qualcuno in base a delle analisi e dele ricerche di mercato. Ho inizialmente parlato di fabbrica, al singolare, mentre dovrei declinare al plurale il termine e parlare di fabbriche: molto probabilmente i fanali e lo spinterogeno sono stati prodotti in due continenti diversi. Nasce il problema di chi ha deciso da quali fabbriche rifornirsi, e questa scelta, chiunque l’abbia presa, risente del mercato dei cambi.
Chiudiamo qui la faccenda prima che arrivi il mal di testa e diciamo, semplicemente, che la mia macchina l’ha fatta la Citroën senza cercare di capire chi è la Citroën, perché si rischia di non capire più nulla della mia macchina che è, non dimentichiamolo, l’oggetto della domanda iniziale.

Due precisazioni.
La prima: ho condotto un discorso prevalentemente epistemologico, evitando accuratamente l’ontologia. Non fatemene una colpa.
La seconda: ho scritto che sarebbe riduttivo ricondurre ogni discorso eccetera,  scrivendo “ogni” in corsivo appunto perché per alcuni discorsi (oserei quasi anche: per molti discorsi) la riduzione è lecita, aiuta effettivamente a comprendere la situazione. Ad esempio, di fronte alla domanda “Chi è il responsabile della bancarotta fraudolenta dell’azienda?” direi che è vitale ricondurre tutto il discorso a delle singole persone.

5 commenti su “Chi ha fatto tutto ciò?

  1. Una risposta completa( mi interessa molto la cosa ) l’ho già scritta, ma esito a mettertela qua perché sarebbe lunga, più della mia media.
    La metto sul mio blog domani sera, perché ne ho scritto uno nuovo oggi e se posto quell’altro nessuno vede quello sotto…
    Solo alcune cose: il mio commento era mirato, non parlava della società in generale. Avevo l’impressione che usassi, senza accorgerti, società, senza evidenziare il lato di autopoiesi e spontaneo.
    Ho controbilanciato sottilineando un altro lato, non negando quello che dicevi. L’esempio che fai si connette con ciò che avevo scritto.
    Non disconosco affatto che in moltissimi casi non si può capire l’individuo senza prima conoscere una “collettività”. Ma in alcuni casi la collettività viene dopo le azioni singole e non ci si può chiedere “Chi ha compiuto o fatto questo?”
    Per esempio non ha senso chiederci chi ha fatto presile la mano o chi ha fatto il linguaggio- eppure è complicato, strutturato e rigoroso! Epistemologicamente prima bisogna chiedersi “Siamo sicuro che qualcuno abbia fatto questo x d’apparenza organizzata?”, poi a risposta negativa si passa al piano B.
    ( Noterai l’accenno polemico alla teoria dell’orologiaio universale )
    Non ogni discorso va ridotto ad azioni di singoli, assolutamente!- ma capirai che disastro nascono a cercare responsabilità individuali in fenomeni spontanei!
    P.e.: “Chi ha pianificato quel panico nello stadio che si è sviluppato quasi con tattiche da guerriglia?”( E giù retate di polizia e manganellate… Dallago è un esperto di quesi episodi ) o “Chi ha pianificato il crollo della borsa per trarne profitti?”( può capitare l’aggiotaggio, ma non è così frequente come banali crisi economiche )
    In generale non penso neanche che la società sia una entità di secondo grado in senso logico e temporale. La società esiste di suo e resta uguale anche se cambiano le persone.
    Casomai essa è derivata rispetto agli individui nella sua genesi, che non è solo un fatto temporale estorico e non è esattamente un primato logico…
    E hai ragione a rimarcare che non ho parlato dell’azione individuale e della sua struttura( teoria dell’azione, detta prasseologia da Mises ).
    Ma di questo ne parliamo domani.
    ciao, eno 🙂
    Ps: Ecco, vedi! Di nuovo lungo!

  2. Oddio Ivo, mi sono arrovellato a lungo… Ecco che cosa non mi tornava nella citazione!
    La seconda frase che citi non finiva così ma precisava: “Tutto questo intreccio [di eventi spontanei, però,] non è estraneo a istituzioni create dall’uomo, come le città, gli stati, gli enti di previdenza etc.”.
    Istituizione intendo tutto ciò che è istituito e strutturato, e include anche le fabbriche o le filiere…
    Scusa la pignoleria- ciao e buona cena, eno! 😉

  3. Ho dovuto, per forza di cose, tagliare. Mi sembrava comunque di aver colto l’essenziale, forse non del tuo discorso, ma della nostra divergenza (ma c’è poi divergenza tra quello che diciamo?).

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