Piccolo esperimento mentale.
Nel futuro, non necessariamente prossimo, alcuni ristoranti avranno installato, all’entrata, uno scanner in grado di analizzare le persone, in modo da scoprire l’intera composizione chimica e fisica dell’organismo, oltre all’attività elettrica del sistema nervoso e a qualche altro misterioso parametro che attualmente ignoriamo.
Tutte queste informazioni verranno successivamente inviate ad un computer per scoprire quali pietanze sono gradite e quali invece no, tenendo conto di eventuali problemi di salute. Dopo alcuni minuti il risultato dei calcoli verrà inviato alle cucine e ad alcuni chip installati nei menu sui tavoli, in realtà sofisticati schermi a cristalli liquidi.
Nei ristoranti del futuro non sarà più necessario leggere lunghi e complicati menu: sarà sufficiente entrare, sedersi al tavolo, prendere il menu e leggere quello che ci va di mangiare, il nostro piatto preferito in quel dato momento.
Supponiamo adesso di dare una occhiata, diritti d’autore permettendo, al programma del computer centrale, quello in grado di stabilire se stasera si ha voglia di mangiare zucchine o spinaci. Sarà un immenso insieme di istruzioni nella forma “se si verifica questo fenomeno chimico e fisico, allora questi piatti sono più graditi, mentre questi altri sono meno graditi”. Tutto questo insieme di istruzioni può forse, anche solo vagamente, costituire una definizione del concetto di “piatto gradito”?
La risposta iniziale è un secco no: quando si dice “oggi ho voglia di mangiare zucchine” ci si riferisce, appunto, al desiderio e al piacere, non a fenomeni fisici e chimici.
Tuttavia la risposta potrebbe non essere così semplice. L’insieme di istruzioni dovrà essere enorme: non basterebbe la vita intera di una persona per leggerne anche solo una parte minuscola. Quale sarà dunque la loro origine? Verosimilmente il computer le avrà costruite da solo, le avrà per così dire apprese dall’esperienza passata, durante una fase iniziale di addestramento, di semplice osservazione.
Le singole istruzioni saranno inoltre prive di senso, isolate da tutte le altre: non vi è infatti una istruzione più importante delle altre, tutte hanno la stessa importanza, ossia quasi nulla, dato il loro numero enorme.
Alla fine nessuno darà una occhiata al programma, a quello che succede tra la fase iniziale e quella finale: tutti si accontenteranno di leggere sul menu i piatti consigliati. E allora quale differenza c’è rispetto ad un bravo cameriere in grado, dopo anni di lavoro, di consigliare i commensali? Di questa persone diremo che ha appreso bene il suo mestiere, che ha imparato a conoscere le persone, a padroneggiare il concetto di “piatto preferito”. Lo stesso dovremo dire quindi del computer: alla fine anche il computer ha imparato il significato di quella espressione.
L’idea dell’esperimento mentale iniziale è nata da una discussione con Angelita dei Fantastici Quattro