Libertà. Bellissima parola, stupendo concetto.
Essere liberi significa essere autonomi, avere la possibilità e la capacità di scegliere.
Un stato democratico deve essere libero, deve garantire la libertà ai propri cittadini. Libertà è anche libertà di informazione.
Il contrario della libertà d’informazione è la censura: il rendere volutamente non accessibili alcune informazioni.
Due osservazioni.
La prima riguarda le sfumature di grigio. Come sempre accade, non vi sono solamente i due estremi isolati e chiaramente distinti, la libera diffusione di una notizia e la sua censura totale.
Una informazione può infatti venire semplicemente disinnescata. Ad esempio diffondendola in modo parziale, oppure accompagnandola sempre da precisazioni e opinioni contrarie. Oppure ostacolando selettivamente la diffusione: non tutti i mezzi d’informazione si equivalgono. Per numero di persone raggiunte, innanzitutto, ma anche per qualità: giornali e siti internet specializzati o schierati hanno un pubblico diverso da quelli non specializzati, e quindi una notizia diffusa dai primi e censurata dai secondi difficilmente raggiungerà persone che la ignoravano. Poniamo l’esempio che si scopra la pericolosità di una data vernice industriale. La notizia viene diffusa solo dalla stampa specializzata: i lettori di riviste o siti specializzati in vernici industriali erano verosimilmente già informati della faccenda, o comunque se la aspettavano, mentre tutti gli altri continuano a rimanere all’oscuro. Non vi è censura, la notizia è di pubblico dominio eppure, allo stesso tempo, è limitata, disinnescata.
La seconda osservazione riguarda la legittimità della censura, o meglio della non diffusione di notizie.
La libertà non è infatti un valore assoluto, slegato dagli altri valori. La libertà assoluta annulla se stessa, diventando anarchia: come già scritto, ci sono dei limiti. Quello dei limiti della libertà è un discorso pericoloso: occorre cautela. Soprattutto se si discute di libertà di informazione.
Ha destato un certo scalpore la decisione di Google di filtrare i risultati delle versione cinese del popolare motore di ricerca, censurando i contenuti sgraditi al regime di Pechino. Google si difende nel suo blog ufficiale: la situazione non è soddisfacente neppure per loro, ma hanno agito convinti di scegliere, se non per il meglio, almeno per il meno peggio. In effetti prima l’accesso ai servizi di Google era di fatto impossibile a causa della lentezza, adesso invece il sito è molto più veloce, ma purgato di alcuni risultati. Nel complesso, il livello di diffusione delle notizie è probabilmente aumentato.
La Cina, inoltre, non è l’unico paese ad aver chiesto a Google di filtrare i propri risultati: anche in Francia, in Germania e persino negli Stati Uniti il motore di ricerca filtra alcuni risultati, in accordo alle leggi locali (principalmente, in riferimento ai negazionisti dell’Olocausto). Paragonare le due situazioni è chiaramente improponibile, ma è comunque difficile stabilire con precisione la linea di confine.
Sottili sono i problemi della censura. L’importante è discuterne.
Per quanto riguarda Google: è soltanto una società per azioni, se ne frega della (nostra) libertà, guarda al profitto. Tanto che, come è noto, setacciata continuamente le nostre email, individuando parole d’ordine a cui far corrispondere pertinenti annunci pubblicitari: gli inserzionisti pagano, google fa i miliardi.
@Zar: Tralasciando che la tecnologia pubblicitaria di Google non setaccia le mail, la frase è da completare così: «gli inserzionisti pagano, google fa i miliardi e io posso avere, gratis, 7GB di spazio per le email».