È uscito il numero di ottobre di Recensioni Filosofiche.
Invece di segnalare alcune recensioni, ne riporto alcuni passaggi:
Come nota Benoist, proprio perché l’enunciazione di una frase è un evento reale, databile e contestualizzato, parlare di un atto linguistico significa avere di mira qualcosa che avviene all’interno di un contesto esistenziale definito da precise condizioni ontologiche. Proprio a questo livello s’inserisce il ruolo della descrizione intenzionale, precondizione di ogni riferimento linguistico è infatti, secondo l’autore, la presenza di un substrato di credenze riguardo al mondo appartenenti al soggetto parlante, a partire dalle quali è possibile specificare i differenti tipi di atto linguistico e il riferimento a essi associato.
Silvano Zipoli Caiani a proposito di Jocelyn BenoistI confini dell’intenzionalità. Ricerche fenomenologiche e analitiche.
Anche per Mario de Caro il pragmatismo ha, per così dire, una funzione farmaceutica, permettendo di superare lo scientismo, molto diffuso negli ambienti analitici, senza per questo ricadere nell’anti-naturalismo o nello spiritualismo. La tesi forte dello scientismo è che «soltanto la scienza naturale è in grado di fornire una spiegazione vera della realtà» (p. 175). Ciò comporta una cesura insuperabile tra fatti e valori e il conseguente abbandono delle scienze normative e della filosofia, il cui ruolo fondativo viene affidato alla scienza (p. 180). Il pragmatismo, come già detto, si presenta come filosofia scientifica e sperimentale, senza però interpretare quest’ultimo termine nel senso ristretto degli scientisti: per i pragmatisti è possibile un giudizio concettuale correggibile (p. 177). Con il pragmatismo è possibile accogliere il naturalismo nella sua forma liberale, senza imbrigliarsi negli stretti limiti dello scientismo e senza negare che l’importanza dei valori.
Ivo Silvestro (chissà chi è?) a proposito di Rosa M. Calcaterra Pragmatismo e filosofia analitica.
Non è possibile perfezionarsi come singoli se non si perfeziona anche la società, e viceversa. Si spiegano in questa luce le considerazioni di Mill sul governo democratico rappresentativo: «lo scopo principale della politica è proprio quello di identificare le regole e le istituzioni che hanno la tendenza a promuovere il benessere della società (che egli identifica negli obblighi morali a rispettare i diritti delle persone) e di lasciare agli individui la costruzione di una propria biografia personale» (p. 146). Ma si spiega anche l’idea di una “religione dell’umanità”, da intendersi (in polemica con Auguste Comte) non come una forma di autorità illiberale che trascenda la libertà degli individui, tanto moralmente quanto politicamente, ma come una forma di educazione che abbia proprio le persone come suo fulcro, «rivolta a elevare l’animo umano, sollevandolo dalla piccolezza del proprio egoismo e dalle limitazioni della propria condizione» (p. 147).
Lorenzo Greco a proposito di Piergiorgio Donatelli, Introduzione a Mill.
Monk presenta il giovane Wittgenstein – studente a Cambridge a partire dal 1911 – in primo luogo come un agguerrito sostenitore delle tesi di Frege e Russell in logica. Gli studi di Logica in terra britannica contribuiscono alla preparazione del terreno per il Tractatus logico-philosophicus, unico libro pubblicato in vita dal filosofo austriaco. In quest’opera egli mirava all’enunciazione dei limiti della filosofia sotto l’aspetto logico-linguistico tanto che, negli intenti dell’autore, dopo il Tractatus niente di filosofico avrebbe più potuto essere detto. Wittgenstein riconsidera la natura dei problemi filosofici, asserendo che essi non siano tanto veri o falsi, quanto insensati. Tale insensatezza è un difetto dovuto al linguaggio.
Delia Belleri a proposito di Ray Monk, Leggere Wittgenstein.
Complimenti per la recensione! 🙂
Grazie: è stata dura (non so mai come recensire i volumi collettivi).