Un tempo i mass media, i mezzi di comunicazione di massa, si limitavano a diffondere notizie.
Il loro ruolo, la loro importanza, consisteva nell’annunciare un evento, nel far sapere che cosa è successo e, se possibile, anche il perché è successo e le conseguenze di quel che è successo. In altre parole, giornalisti erano narratori di un passato così vicino da essere ancora presente.
Questo una volta. Prima della radio, prima della onnipresenza televisiva (un televisore in ogni casa e in ogni bar, sempre pronto ad essere acceso, ad ogni ora del giorno e della notte), prima di internet, dei cellulari con fotocamera incorporata.
Tutti strumenti che hanno modificato il modo di diffusione delle notizie e, alla fine, hanno modificato le notizie stesse insieme al mestiere di giornalista.
I mezzi di comunicazione non diffondono più una notizia, non raccontano più un evento, ma lo condividono in diretta, trasmettono tutto il suo carico emotivo senza alcun filtro. Non vi è nulla da descrivere o da narrare, quello che succede lo si può vedere in diretta come se accadesse a noi, qui ed ora.
Giovanni Paolo II, nel momento in cui scrivo, sta morendo. I mezzi di comunicazione, giustamente, seguono l’evolversi degli eventi, per informare sullo stato delle cose. Ma i vari notiziari non si limitano a questo: lo spettatore, così come l’ascoltatore e il lettore, è trasportato prima in Vaticano, al capezzale del pontefice, a vivere in diretta la sofferenza e il dolore, poi nelle vie di Assisi, New York, Gerusalemme e Madrid a vivere l’apprensione con i fedeli del luogo.
In questo vorticoso giro di eventi ed emozioni, l’unica cosa che viene a mancare è proprio la notizia, ma oramai a chi interessa sapere cosa è successo, se lo si può vivere?