Il supplemento culturale de Il Sole 24 ore di domenica 20 settembre ha dedicato ampio spazio al tema della laicità – dilungandosi su alcuni testi, tra cui il libro di Giancarlo Bosetti Il fallimento dei laici furiosi di cui ho già scritto.1 Conviene forse spendere qualche parola ancora sui laici non furiosi.
La tesi di Bosetti sembra essere abbastanza semplice: le religioni2 hanno un elevato valore sociale cui lo stato laico non può rinunciare. I laici furiosi vogliono invece eliminare la religione dallo spazio pubblico, e questo sarebbe un grave errore.
Bosetti dedica due capitoli (forse i più interessanti del libro) a definire i vari significati di laicità e di secolarismo. Non dedica alcuno spazio alla definizione di pubblico: che cosa è questo spazio pubblico dal quale i laici furiosi vogliono scacciare la religione mentre i laici non furiosi vogliono pieno di religioni? Le istituzioni? La politica? La società civile? È chiaro che eliminare la religione dalla società civile è una cosa diversa dal cancellarla dalle istituzioni.
Anche molti laici furiosi confondono questi livelli, ma non è un buon motivo per non distinguerli.
Un altro aspetto non molto chiaro è lo spazio pubblico che dovrebbe avere l’ateismo: nel tessere le lodi della religiosità come indispensabile ingrediente sociale sembra (ma sono sicuro che sia una impressione errata) che l’ateo, mancandogli tutto questo, non dia alcun contributo alla società, rappresentando quindi un problema.
L’approccio di Bosetti, includente e conciliante nei confronti della religione, ha ricevuto le lodi di Riccardo Chiaberge. Ma, in pratica, in cosa consiste questo approccio e in cosa si distingue da quello dei tanto criticati laici furiosi?
La mia impressione è che le differenze siano più apparenti che sostanziali. Un po’ come H. L. A. Hart a proposito della disputa tra giusnaturalismo e positivismo giuridico: grandi divergenze teoriche, ma poi l’unica reale differenza è che per il primo le leggi del regime nazista non sono vere leggi, mentre per il secondo sono leggi infami.3
Bosetti, ad esempio, auspica che i laici applichino un agnosticismo metodologico rispetto a un ateismo metodologico:
[L’ateismo metodologico} contiene pretese di verità troppo onerose per costituire un punto di incontro nella ricerca di etiche condivise. Vale a dire che invece di disputare se sia meglio cercare un’aetica condivisa procedendo come se Dio ci fosse (etsi Deus daretur, Ratzinger) o come se Dio non ci fosse (etsi Deus non daretur, molti laici4), la prospettiva dell’agnosticismo metodologico è quella che immagina che si possa continuare la discussione, come se la discussione sull’esserci o non esserci di Dio fosse sospesa (etsi disputatio de Dei existentia non daretur).
pp. 173-173
La differenza appare enorme: da una parte uno che dice “Dio non esite”, dall’altra uno che dice “Lasciamo perdere”. Ma la conclusione è la stessa: alla fine ci si comporterà ugualmente come se Dio non ci fosse.
Il laico furioso dirà che la religione è un fatto privato e personale. Il laico non furioso afferma invece che le religioni devono avere uno spazio pubblico, devono poter dare il loro contributo alla società. Ma a una condizione:
Possono valere nell’ambito delle pubbliche deliberazioni soltanto quelle aree di una dottrina religiosa che convergono in una comune visione umanistica con altre religioni e con i ragionevoli punti di convergenza di una discussione libera e aperta tra cittadini eguali in diritti. E gli argomenti religiosi devono venir «tradotti» dal linguaggio della fede in quello della ragione pubblica in modo da poter essere capiti ed eventualmente condivisi.
p. 126
Anche qui la differenza appare enorme: da una parte uno che dice “Via la religione dalla discussione pubblica”, dall’altra uno che dice “La religione è la benvenuta”. Ma è benvenuta se il suo apporto è condivisibile con tutte le altre religioni e persino con chi una religione non la professa: la conclusione è la stessa: niente argomenti di origine religiosa.
- Gli altri testi citati sono Claudia Mancina, La laicità al tempo della bioetica; Ignazio Marino, Nelle tue mani; Martha C. Nussbaum, Libertà di coscienza e religione e Paolo Vineis e Roberto Satolli, I due dogmi. Oggettività della scienza e integralismo etico. Non avendo letto nessuno di libri mi limito a citarli qui in nota. [↩]
- non la religione, ma le religioni: il contesto pluralista sembra essere una delle poche differenze tra la tesi di Bosetti e quella dell’ateo devoto Ferrara [↩]
- In H. L. A. Hart, Il concetto di diritto, cito a memoria. [↩]
- Nota mia: molti laici, compreso uno dei padri del diritto naturale, Grozio – un laico furioso anche lui? [↩]
Possono valere nell’ambito delle pubbliche deliberazioni soltanto quelle aree di una dottrina religiosa che convergono in una comune visione umanistica con altre religioni e con i ragionevoli punti di convergenza di una discussione libera e aperta tra cittadini eguali in diritti.
L’argomento mi sembra inconcludente: se ci sono delle “aree umanistiche comuni” a tutte le religioni e ai non religiosi, perché lo stato e la società civile non si limitano ad adottare questa visione umanistica, lasciando ad ognuno la libertà di aderire o meno a qualsiasi religione?
Se c’è già un’etica comune, a che serve dare spazio alle religioni in ambito pubblico?
(Nota: Personalmente non credo che questa etica comune esista, nè, a mio avviso, è avvisabile che lo stato sia “etico”).
le religioni hanno un elevato valore sociale cui lo stato laico non può rinunciare.
Ma chi dice che lo stato deve essere fonte di etica e di valori? Non potrebbe limitarsi a garantire la libertà e i diritti dei cittadini, senza occuparsi di etica o di morale?
Secondo me una differenza sostanziale affiancata a quella formale c’è. Il problema dell’esistenza di Dio è insuperabile e se risolvere il problema dell’esistenza di Dio è considerata una premessa imprescindibile nel dialogo tra credenti e non credenti, non ci sarà alcun dialogo perché si resterà fermi al primo punto, “Dio esiste o no”, che però non ha risposta.
Spostare i termini da Dio non esiste a “lasciamo perdere” serve ad evitare, ad esempio, la totale incomunicabilità di questo thread:
http://www.splinder.com/myblog/comment/list/21314460
A me la definizione di “laico furioso” non basta.
Nessuno è interessato a definirsi come me “Bieco illuminista, laico furioso e ateista (sic, sì) dogmatico”?
Anche se so benissimo di vivere in un paese sempre più clerico-fascista e berluschista (o forse post-).
E poi naziRatzi non è eterno!
Sogno un mondo in cui, nella scuola dell’obbligo, l’ora di religione sia spesa per istruire con competenza ed equidistanza sulla spiritualità in tutte le sue varie forme storicamente determinate. Il laicismo è afferente all’ecumenismo, ovviamente nulla centra con l’ateismo.
“le religioni hanno un elevato valore sociale cui lo stato laico non può rinunciare”
@Kirbmarc: La tua seconda osservazione è interessante.
Immagino che Bosetti intenda dire che lo stato si limita a garantire la libertà e i diritti dei cittadini, lasciando alle religioni il compito di riempire il contenitore vuoto dello stato liberale.
Ma, appunto, nel testo di Bosetti non mi sembra essere chiara la differenza tra stato e società civile.
@renzo: Non mi sembra funzionare lo stesso. O il credente dice “va bene, lasciamo perdere il problema e parliamo d’altro” accettando che il problema dell’esistenza di Dio è ininfluente – e allora tanto vale dire “facciamo che Dio non esista” – oppure non accetta il gioco e dice “la questione è imprescindibile: senza Dio tutto va a ramengo”, e siamo da capo.
In poche parole: chi rifiuta l’etsi Deus non daretur non vedo perché dovrebbe accetta l’etsi disputatio de Dei existentia non daretur.
@Juhan Perfidus: È eterno – la sua anima da subito, per il corpo occorre aspettare la fine dei tempi.
@Zar: Capisco il senso della tua affermazione, ma mi sembra una formulazione un po’ estrema “Il laicismo è afferente all’ecumenismo, ovviamente nulla centra con l’ateismo”.
@lector: Dai, per quanto sia, molto probabilmente, un laico furioso, citare il peggio dei credenti non mi sembra una attività socialmente utile (per quanto possa dare molte soddisfazioni personali).
Ma, appunto, nel testo di Bosetti non mi sembra essere chiara la differenza tra stato e società civile
Non è nemmeno chiaro a cosa miri Bosetti: mi sembra che nella “società civile” la religione abbia già un ruolo molto ampio (milioni di persone sono religiose).
Inoltre non vedo l’utilità di una “condivisione di valori” fra religiosi e non religiosi, o fra varie confessioni: fissati i paletti del rispetto delle libertà altrui, pretendere che ci siano dei valori condivisi non ha senso.
E’ un po’ come dire che libertà di espressione ma che tutti devono pensarla allo stesso modo.
Caso specifico: l’aborto. Per alcuni religiosi è un omicidio in potenza, per molte altre persone no. Uno stato liberale dà la possibilità alle donne di praticare l’aborto se lo vogliono, ma non impone l’obbligo di eseguire un aborto a un medico che lo considera omicidio.
In questo modo le libertà di pensiero e di espressione sono rispettate. Nessuno è obbligato a fare qualcosa che ritiene moralmente sbagliato e nessuno è obbligato a rispettare una morale che non condivide. Che bisogno c’è di “condividere valori”?
A meno che non si voglia uno stato liberale, ma uno stato etico. L’obiettivo di uno stato etico però non è la discussione dei valori, ma l’imposizione di una visione del mondo sulle altre.
Se Bosetti vuole una teocrazia, tanto vale che lo dica. Se non è ciò che vuole, il suo discorso sulle “etiche condivise” è del tutto inutile.
@Ivo In effetti se vuoi possiamo benissimo definire l’ateismo una “fede” come tante altre, considerato che è una posizione insostenibile scientificamente, e in questo senso inscriverlo nell’ambito di quel discorso laicista, come io lo concepisco, come tutela delle diversità religiose.
@Kirbmarc: Credo che Bosetti voglia uno stato liberale dove tutti vanno d’amore e d’accordo e nessuno urla
@Zar: A me va bene, ma non dire in giro che l’ateismo è una fede: alcuni laici furiosi ti metterebbero al rogo! 😉
Credo che Bosetti voglia uno stato liberale dove tutti vanno d’amore e d’accordo e nessuno urla
Sarebbe un orrore. Il bello della libertà è il contrasto, anche deciso, delle idee.
Che senso ha garantire la libertà di opinione se poi si desidera che tutte le opinioni siano uguali?
@Kirbmarc: Non credo che Bosetti voglia una società dove tutti cantano la stessa melodia. Certo immagina una società nella quale chi vuole cantare fuori dal coro, lo fa sotto voce e cerca, magari, un effetto contrappuntistico gradevole.
Sì, sarebbe un orrore – non come quello descritto da te, ma ugualmente un orrore.