Immaginiamo di abitare non troppo lontani da una struttura potenzialmente rischiosa, ad esempio una centrale nucleare. Immaginiamo anche che un qualche evento infausto particolarmente grave, ad esempio un terremoto, abbia distrutto o gravemente danneggiato la località dove risiediamo. È un nostro diritto, morale se non legale, sapere esattamente quali sono i pericoli dovuti a malfunzionamenti della struttura di cui sopra. Abbiamo diritto alla verità sulla situazione di pericolo.
Adesso immaginiamo di essere i responsabili dell’autorità che gestisce la struttura. Ci sono dei problemi. Gli esperti valutano che questi problemi causeranno danni alla popolazione per circa 100.1
Il problema è che gli stessi esperti valutano i danni causati dalla diffusione delle notizia in circa 1000. Vuoi per il panico, vuoi per l’intralcio alle operazioni di contenimento danni, ad ammettere immediatamente i problemi che si sono verificati si fanno più danni che a mantenere momentaneamente il segreto.
Abbiamo, io credo, il dovere di mentire, di negare o minimizzare quanto accaduto.
La mia fortuna è che tutto questo è, per me, solo un esperimento mentale. Posso quindi serenamente pensare che questo conflitto si possa risolvere privilegiando il dovere di mentire nel breve termine, il diritto alla verità nel lungo termine. Razionalmente mi sembra un buon bilanciamento. Ma se fossi in una delle due situazioni inizialmente immaginate, non so se troverei equilibrato questo bilanciamento.
- 100 cosa? Non lo so, ma presumo che esista una unità di misura per questo genere di eventi. 100 mesi di vita persi complessivamente dalle persone, 100 milioni di dollari necessari a riparare o risarcire i danni, qualcosa del genere. [↩]
Giusto, la verità non è sempre la scelta migliore. A patto che si dimostri quello che dici. In realtà la vera priorità è minimizzare il danno. Siccome le scelte , nella vita, non sono sempre del tipo tutto o nulla, si può mentire ma cominciando a evacuare, intanto.
@paopasc: E come giustifichi una evacuazione? A scopo precauzionale? Qualcosa puoi fare… Ma non sono decisioni facili.
Comunque, questo post è stato pensato e in parte scritto quando le notizie dal fronte giapponese erano meno inquietanti.
Hai ragione Ivo, un’evacuazione può essere motivo di panico in sè, per l’eccezionalità della misura e per le prevedibili difficoltà logistiche; a meno che si disponga di un piano di evacuazione collaudato, per essere stato divulgato capillarmente e provato periodicamente; la consapevolezza inevitabile di sapere che questa volta non è simulato rende comunque la cosa più drammatica, ma praticabile. Ignoro se in Giappone ne avessero uno del genere.
Tornando alla teoria astratta, meglio 100 che 1000, poi sarà la storia e la coscienza a dare i giudizi.
Ottima impostazione.
La vera domanda però è “un danno di 1000 PER CHI”?
Raramente queste scelte si fanno con un utilitarismo equanime.
….causeranno….
già questo indicativo è per me fonte di perplessità.
Come indica il buon Weissbach le valutazioni sono complesse, i rischi difficilmente “assegnabili”, figuriamoci i “benefici riparatori”.
Un Sorriso
In realtà non esiste un “diritto di sapere”. Ma poniamo pure che la centrale sia stata installata garantendo costante informazione veritiera.
Se la popolazione sa che non verrà informata in caso d’ incidente grave, il panico, quando monta il sospetto, si scatenerà ugualmente. E’ il dilemma dell’ onda verde: se dò informazioni troppo precise sui problemi viabilistici su una certa tratta, creo congestione nelle piccole vie alternative. Shelling segnalava che in questi casi è opportuno ricorre ad un’ informazione sfumata ed ambigua. Ma questo è possibile solo se non esiste un diritto del cittadino a sapere.
Per chi vuole chiarezza c’ è l’ alternativa della sanzione: il governo mente, risarcisce i danni (1000) e si presenta alle elezioni.
In realtà non esiste a priori un “diritto di sapere”.
Anche se esistesse, qualora la popolazione sapesse che non verrà informata in caso d’ incidente grave, il panico, al montare dei sospetti, si scatenerà ugualmente. E’ il dilemma dell’ onda verde: se dò informazioni troppo precise sui problemi viabilistici su una certa tratta, creo congestione nelle piccole vie alternative. I teorici dei giochi come Shelling segnalavano che in questi casi è opportuno ricorre ad un’ informazione sfumata ed ambigua. Ma questo è possibile solo se non esiste un diritto del cittadino a sapere.
Soluzione: il governo, al momento dell’ installazione dell’ impianto, contratterà le condizioni con i “vicini”. Basterà inserire la clausola per cui “il Governo dovrà gestire la crisi in modo ottimale” stante comunque il risarcimento dei danni subiti e la garanzia di informazioni certe per la ricostruzione a posteriori dei fatti.
@ugolino: Il problema è appunto quello: non so un cacchio della situazione giapponese, se esistono piani di evacuazione collaudati, se si sono fatti ragionamenti simili o se si è occultato o minimizzato (ammesso che lo si sia fatto) semplicemente per pararsi il culo. E quindi mi limito a queste considerazioni molto generali e ipotetiche.
@il più cattivo: Le stime sono difficili. Forse tirare un dado è più affidabile… però una decisione va pur presa! E se è la decisione sbagliata, almeno avere una giustificazione è utile…
@broncobilly: Non pensavo a diritti e doveri nel senso giuridico del termine, ma in quello morale. È moralmente giusto che le persone siano informate dei rischi, come è moralmente giusto che si faccia il possibile per ridurre i danni.
I diritti, morali, politici e giuridici che siano, entrano in conflitto gli uni con gli altri e si cerca di bilanciare. Le tue proposte mi sembrano buone idee di bilanciamento, da approfondire.
E’ vero. Spesso occorre prendere delle decisioni. Quasi sempre risulteranno sbagliate. Difficilmente saranno risolutorie. Però pensare che possano essere riparatrici… no, non lo credo davvero. Utili più spesso a chi decide che a chi ne “benefica”. Anche il tuo “è utile” mi lascia peplesso.
Pensando agli eroi di Fukushima non posso che rimandare il pensiero a Faber: http://www.youtube.com/watch?v=KNf-1d7MO6A
ma lei che lo amava aspettava il ritorno
d’un soldato vivo , d’un eroe morto che ne farà
@il più cattivo: quel mio “è utile” l’ho scritto ripensando alla conferenza di Gigerenzer a Modena: le scelte migliori sono intuitive; preferiamo quelle ragionate perché possiamo giustificarle.
Però, più in generale: io sono favorevole all’utilitarismo, al cinico calcolo utilitaristico del calcolo costi benefici. Ad essere inaccettabile, dal mio punto di vista, non è il calcolare, ma che cosa si calcola, dimenticando di tenere conto di alcuni soggetti perché “poco interessanti”.
Io avrei citato Brecht “sventurata la terra che ha bisogno di eroi” (più appropriata, perché se non sbaglio è tratta dal Galileo rimaneggiato più volte perché la scienza aveva portato alla bomba atomica).
Lungi da me il competere sulle citazioni, ma la mia era legata al concetto di risarcimento e alla impossibilità di “compensazione”. Quella di Brecht la iscriverei ad un concetto più ampio di sviluppo sostenibile….
Un Sorriso
P.S. quel “pazzo” di Gingerenzer me lo ero quasi dimenticato. Applicandolo alle centrali nucleari penso che potrebbe portare a posizioni opposte alle mie… almeno così intuisco 😉
Se noti, la politica ha una sorta di salvacondotto sulle proprie azioni. Puoi accusare un tecnico di malpractice, non un politico. Il politico, se sbaglia procedimento di evacuazione, tutt’al più non viene rieletto. Solo in casi particolari e in determinate nazioni finisce sotto processo. Insomma, fare il politico permette un salvacondotto generale. Se poi non lo permette, basta crearselo.
@paopasc: Lasciando da parte eventuali abusi, la cosa ha senso. Un politico decide, in genere, l’indirizzo generale dei dipartimenti di sua competenza. Son cose che non hanno la certezza che invece dovrebbe avere un lavoro, semplice, di ingegneria.
Dichiarare una guerra, preferire il trasporto su strada a quello su rotaia, privatizzare alcuni settori possono essere scelte sbagliate, ma lo sono in maniera diversa dagli sbagli di un pianificatore che congestiona il traffico perché si dimentica di una via di accesso.