He broke the law. Ha infranto la legge.
Così si è espresso Barack Obama, presidente degli Stati Uniti d’America, durante un confronto con un gruppo di attivisti per Bradley Manning.
Il discorso completo, come citato da diversi siti, è il seguente:
And if you’re in the military… And I have to abide by certain rules of classified information. If I were to release material I weren’t allowed to, I’d be breaking the law.
We’re a nation of laws! We don’t let individuals make their own decisions about how the laws operate. He broke the law.
Obama afferma che Manning, rivelando le informazioni classificate, ha infranto la legge.
Tecnicamente, ha ragione: pur non conoscendo il diritto statunitense, immagino che esistano leggi che puniscano la divulgazione di informazioni riservate, leggi che Manning, facendo quello che ha fatto, ha infranto.
Alcuni affermano che “exposing war crimes is not a crime“, divulgare crimini di guerra non è un crimine. Da un punto di vista strettamente legale, temo che questa affermazione sia banalmente falsa: pur non conoscendo il diritto statunitense, immagino che non esistano leggi a tutela di chi denuncia crimini di guerra. Sono convinto che una simile legge sarebbe più che auspicabile, e che il mondo sarebbe almeno un pochino migliore se simili leggi esistessero.
Ma, per quel che mi è dato sapere, non esistono. Obama, insomma, ha ragione: Manning ha infranto la legge. L’ha verosimilmente fatto ubbidendo alla propria coscienza, al proprio senso della giustizia, alla legge morale. Rimane il fatto che ha infranto la legge. He broke the law.
Il problema, come evidenziato da diversi commentatori, è che in uno stato di diritto – per dirla con Obama, in una nation of laws – l’accertamento delle infrazioni non è un processo lasciato al caso. Accanto al codice penale, c’è sempre un codice di procedura penale, ed entrambi sono legge.
In altre parole, dovrà essere un tribunale ad accertare se Manning ha davvero violato la legge e a decidere la punizione. Un tribunale, non Obama.
Un tribunale imparziale e indipendente. Così vuole l’articolo 10 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
La questione dell’imparzialità è molto delicata. I giudici, dopotutto, sono esseri umani, e una caratteristica degli esseri umani è la fallibilità. Un tribunale completamente e imparziale e indipendente è probabilmente una illusione. Possiamo comunque pretendere un giudice sufficientemente autonomo e indipendente, un giudice che pur avendo dei preconcetti, delle aspettative, dei desideri sul caso in questione, sia quantomeno in grado di conoscere e affrontare questi suoi pregiudizi.
Questo è possibile anche per chi, come Manning, è accusato di crimini contro lo Stato?
Reati non contro un altro individuo o contro la comunità, ma proprio contro quello Stato che deve giudicare. Non sarebbe più corretto, in casi come questi, prevedere un giudice realmente terzo, realmente indipendente e imparziale, in altre parole una corte internazionale?
Se fosse possibile (la tua richiesta) sarebbe una resa dello “stato di diritto”. Quello che uno stato dovrebbe garantire, e mi sembra di poter affermare che in questo caso (ed in altri) ciò non accada, è la terzietà del giudizio indipendentemente da qualsiasi condizione. In fin dei conti se così non fosse non avrebbe senso il concetto di giudizio. Il giudice dovrebbe essere superiore alle parti, anche quando una delle due è lo stato stesso. Quello che poi potrebbe avvenire è il ricorso in caso di insoddisfazione e anche di questi mi sembra che ce ne siano a iosa.Mi sfugge l’aggancio alla fallibilità che come scrivi è ovviamente sempre da tenere presente, ma anche questo in “uno stato di diritto” dovrebbe essere contemplato e supplito.Un Sorriso
Un rapido commento sul profilo puramente legale della questione. La responsabilità e l’eventuale colpevolezza del soldato Manning verranno accertate da un tribunale, che nell’ordinamento degli Stati Uniti non è subordinato al potere esecutivo. Certo, si potrebbe replicare che la non subordinazione istituzionale non prova che i giudici siano indipendenti dalle sollecitazioni del potere esecutivo e che questo mette in dubbio l’imparzialità del giudizio. Vero. Tuttavia, sulla base dei precedenti, mi sentirei di dire che i giudici negli Stati Uniti sono piuttosto gelosi della propria indipendenza e che, almeno in linea di massima, non esitano a dare un dispiacere al Presidente in carica (o a chiunque altro) se ritengono che il diritto lo richieda.
@Il più cattivo: In molti ordinamenti è prevista la ricusa del giudice (in alcuni addirittura dell’accusa), e questo a garanzia, non a resa, dello stato di diritto. La mia proposta, se tale si può definire, è una sorta di ricusa o autoricusa.