Una tassonomia è un ordine gerarchico di concetti, solitamente strutturato come un albero genealogico: le categorie, le unità di base della tassonomia, sono collegate tra loro in base alla relazione asimmetrica “è parte (o figlio) di”.
Nell’esempio qui a fianco, poesia e prosa sono parte di letteratura, mentre romanzo e racconto sono parte di prosa. Le relazioni sono rigide: se un’opera fa parte della categoria racconto allora è anche parte di prosa e di letteratura, ma non può assolutamente appartenere alla categoria poesia.
Le etichette (in inglese tag) costituiscono un altro metodo di classificazione, decisamente meno rigido. Non c’è ordine gerarchico, o almeno non è necessario che ci sia, e pertanto, se prendiamo prosa e poesia come etichette e non più come categorie, un’opera può essere catalogata contemporaneamente sotto entrambi i concetti, il che è decisamente comodo quando si ha a che fare, ad esempio, con Il Convivio di Dante.
Nella catalogazione di opere letterarie è invece inutile, se non addirittura scomodo, il fatto che un racconto possa non far parte delle opere in prosa e, in generale, della letteratura.
In generale, le categorie sono comode quando si ha a che fare con oggetti che si relazionano rigidamente, in base a schemi rigidi e ben determinati, con distinzioni nette ed efficaci. Come in una famiglia: un padre con dei figli.
In altre parole, le categorie funzionano se il reale è razionale. Se è irrazionale, poco razionale o aldilà del razionale, se le distinzioni sono vaghe e di difficile applicazione, le categorie funzionano male o non funzionano del tutto.
In caso di incesto, quando il padre diventa marito o il figlio nipote, la struttura dell’albero genealogico si ingarbuglia, e a quel punto è meglio abbandonare le rigide categorie per le più elastiche etichette.
Capovolgendo il problema, si possono usare i due diversi metodi di classificazione come criterio per determinare la razionalità di un sistema. Se è possibile descrivere efficacemente attraverso le categorie un insieme di concetti, allora questo insieme è razionale, se invece è necessario ricorrere alle etichette, il sistema di concetti non è razionale o almeno non lo è del tutto.
Una delle domande più interessanti della filosofia, “il reale è razionale?”, diventa così “è possibile descrivere il mondo con un sistema omogeneo di categorie?”.
Molto probabilmente no: i concetti vaghi e di difficile applicazione rendono questo progetto di difficile riuscita; tuttavia il problema potrebbe essere, molto più banalmente, quello di trovare le categorie giuste.
Un’altra domanda filosofica interessante è: se il reale non è (completamente) razionale, se non è possibile descrivere il mondo attraverso un sistema omogeneo di categorie, è possibile parlare di una ontologia, o è necessario rassegnarsi a impiegare il termine al plurale: ontologie?
Credo che dipenda dal senso che dai a “categoria” e “ontologia” e dal loro legame. Se ontologia sono semplici concetti e incasellamenti, che discendono dalle parole, l’ontologia è l’ombra lunga della semantica delle nostre lingue: imprecisa e basata sull’analogia.
Possiamo spiegare il concetto di “uccello” partendo dallo stereotipo-capofamiglia del passero, del dodo o del pinguino. Non cambia nulla per gli uccelli( e neanche per noi, né per il pollo alla diavola ).
Se invece “ontologia” è ciò che riguarda, tra l’altro, lo status delle cose, cioè ciò che rende una cosa quel determinato tipo di ente, beh dubito che un numero diventerà un oggetto concreto o un’entità mentale come il mio pensiero di ora assurgerà al rango di oggetto matematico atemporale a seconda degli incasellamenti.
Ciao, Eno! 🙂
Vengono prima le parole o prima le cose? Oppure entrambi vengono insieme? Oppure non vengono affatto, perché la filosofia se li trova entrambi già belli e pronti?
Ad ogni modo, parole e cose vanno insieme. Infatti dubito che si possa agevolmente spiegare il concetto di uccello partendo dal dodo o dal pinguino (per non parlare del pollo alla diavola).
In realtà, forse capita proprio così… Mi riferivo alla semantica naturale dei prototipi, opera di una opre linguista che ha formalizzato l’idea di “aria di famiglia”.
Quando dico “uccello”, p.e., ho in mente una certa specie specifica, a seconda dei paesi: un passero, un’anatra o un pinguino… Gli altri uccelli sono inclusi nel concetto secondo criteri di analogia, senza vere condizioni necessarie e sufficienti.
Entro certi limiti, è indifferente quale prototipo ho in mente, cioè quale stia “al centro” del concetto: l’estensione di questo rimane pressappoco la stessa.
Il pollo alla diavola invece no: quello è lo stereotipo di Duffy Duck quando finisce all’inferno coi diavoloni… cartoon magistrale…
ciao, Eno
Quando dico “uccello”, p.e., ho in mente una certa specie specifica, a seconda dei paesi: un passero, un’anatra o un pinguino
I tuoi amici empiristi ci erano arrivati già da tempo;-)
Berkeley non scrisse di dodi o passerotti, ma di triangoli: non esiste l’idea generale di triangolo, perché nessuna idea è generale: si ha sempre in mente un particolare triangolo.
Poi arrivò Kant con lo schema, che è generale e infatti non è una idea o immagine.
E infine Wittgenstein, che affondò anche lo schema (se lo intendiamo come regola) per le somiglianze di famiglia e gli esempi. Però insisto: se mi esemplifichi “uccellO” con pinguino non hai lo stesso concetto di chi esemplifica con passero (uccelli che conosciamo per le pubblicità delle merendine e dell’acqua minerale… ma questo è un altro discorso).
Sui concetti potremmo discutere a lungo… e ovviamente il blog non è fatto per questo( e che cos’è un blog? quidditas blogaria petita est… 😉 ).
In ogni caso va distinta i “concetti” nella semantica delle lingue naturali da quella dei linguaggi artificiali, come quello matematico, e dalle proprietà che ci fanno riconoscere una certa figura come tale, cioè proprietà gestaltiche.
Non c’è nessuna vaghezza in “triangolo”, né nella qualità che mi fa riconoscere x come uno stormo, a prescindere delle variazioni degli uccelli che lo compongono( o lo stormo lo colgo come un tutto o lo colgo singoli uccelli separati ).
Insomma, anche se c’è imprecisione in ciò che si sviluppa tra uomo e uomo, ovvero il linguaggio, non per questo ce n’è ( sempre ) tra uomo e mondo.
Nel mondo inserisco anche le altre persone, ovviamente.
Sono cose separate, anche se non indipendenti.
ciao, Eno! 😉