Inizio con una confessione: non ho letto la Esortazione Apostolica Post-sinodale Sacramentum Caritatis del Santo Padre Benedetto XVI all’episcopato, al clero alle persone consacrate e ai fedeli laici sull’eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della chiesa, per il semplice motivo che il testo sembra essere ancora più lungo e noioso del titolo. Questa non è una critica, per quanto si potrebbe obiettare che una esortazione, per sua natura, dovrebbe esortare, ossia convincere delle persone, e un testo di 196291 battute (le ha contate il sempre attento Malvino) non è proprio il massimo per convincere le persone.
Non ho letto tutto il testo, sono andato direttamente alle parti più citate e interessanti. Il Papa desidera che venga «valorizzato il canto gregoriano» (§42), riconferma, anche se con alcune cautele, «la prassi della chiesa di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati» (§29), raccomanda che «per meglio esprimere l’unità e l’universalità della Chiesa […] è bene che [le] celebrazioni siano in lingua latina», escludendo ovviamente l’omelia, le letture e la preghiera dei fedeli (§62). Il tutto, come ripetuto più volte, nello spirito del Concilio Vaticano II.
Ma veniamo alle parti (filosoficamente) più interessanti:
57. Partecipazione attraverso i mezzi di comunicazione
[…] Infine, quanto al valore della partecipazione alla santa Messa resa possibile dai mezzi di comunicazione, chi assiste a tali trasmissioni deve sapere che, in condizioni normali, non adempie al precetto festivo. Infatti, il linguaggio dell’immagine rappresenta la realtà, ma non la riproduce in se stessa. Se è assai lodevole che anziani e malati partecipino alla santa Messa festiva attraverso le trasmissioni radiotelevisive, non altrettanto potrebbe dirsi di chi, mediante tali trasmissioni, volesse dispensarsi dall’andare in chiesa per partecipare alla Celebrazione eucaristica nell’assemblea della Chiesa viva.
Il cristianesimo ha sempre avuto un rapporto ambiguo con le immagini, arrivando persino a riscrivere i dieci comandamenti. Qui Benedetto XVI dice esplicitamente che l’immagine rappresenta ma non riproduce.
Confrontiamo la messa televisiva, immagine somigliante che non ha valore, con il pane e il vino dell’eucarestia, che non somigliano al corpo e al sangue di Cristo, eppure lo sono grazie «conversione sostanziale» (§6). Il confronto è, ovviamente, impari: da una parte un fenomeno tutto sommato normale come una trasmissione televisiva, dall’altra un «mistero della fede», «una realtà che supera ogni comprensione umana», tuttavia rende bene l’idea di quello che l’immagine può e non può fare.
Benedetto XVI non dice come l’immagine possa rappresentare la realtà: per somiglianza, forse? Ma l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, e quella congiunzione ci lascia pensare che l’uomo poteva, ad esempio, essere immagine non somigliante, oppure somigliare senza essere immagine. Lascerei comunque perdere queste ipotesi per evitare la scomunica.
Inoltre, il pane e il vino , eppure avviene quella Il pane non può chiaramente essere immagine del corpo, dal momento che riproduce la realtà.
L’esortazione del Santo Padre è lunga e puntigliosa, e riguarda in massima parte aspetti teologici e di dottrina della fede, alla faccia dei critici che lamentano l’eccessiva attenzione della chiesa su temi sociali e politici (secondo loro) non propriamente attinenti al magistero.
Benedetto XVI, tuttavia, non vuole deludere nessuno:
83. Coerenza eucaristica
È importante rilevare ciò che i Padri sinodali hanno qualificato come coerenza eucaristica, a cui la nostra esistenza è oggettivamente chiamata. Il culto gradito a Dio, infatti, non è mai atto meramente privato, senza conseguenze sulle nostre relazioni sociali: esso richiede la pubblica testimonianza della propria fede. Ciò vale ovviamente per tutti i battezzati, ma si impone con particolare urgenza nei confronti di coloro che, per la posizione sociale o politica che occupano, devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme. Tali valori non sono negoziabili. Pertanto, i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana. Ciò ha peraltro un nesso obiettivo con l’Eucaristia. I Vescovi sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato.
Uno potrebbe chiedersi quale sia il nesso tra «i valori fondati nella natura umana» e l’Eucarestia, poco fa definita «una realtà che supera ogni comprensione umana».
La natura umana supera forse la comprensione umana?
Può essere. Qualcuno si è giustamente cheisto se «non è più innaturale la castità di una convivenza senza il sacro vincolo del matrimonio?» (Bioetica). Qualcun altro, invece, ha argomentato che, in base a questo appello, «i parlamentari cattolici dovrebbero mobilitarsi per mettere fuori legge anche i voli aerei, i computer, i forni a microonde, le automobili, gli anestetici e le operazioni chirurgiche, i grattacieli e gli ascensori, i cibi cotti e i surgelati, il denaro e le banche» (cadavrexquis).
Il riferimento alla natura umana è scivoloso: l’uomo, per natura, è un animale culturale e si comporta, quindi, contro natura. Ammesso, ovviamente, che sia lecito separare natura e cultura (dopotutto, è la cultura a creare, in retrospettiva, quella cosa astratta che chiamiamo natura).
La soluzione, comunque, c’è: «… loro coscienza, rettamente formata, …».
Qualcuno sa chi può dare la giusta forma alle coscienze?
La citazione che fai contiene una banalità.
Un valore per principio non può essere negoziabile, perché la negoziazione non produrrebbe nulla di sensato: tra chi dice l’uomo ha una dignità e non un prezzo e chi dice la dignità umana è spiegabile in termini di utilità non ci può essere un punto di incontro.
Affermano due cose, due “valori”( ma il termine è MOLTO ambiguo e andrebbe chiarito ) senza punti mediani.
Diverse sono le cose tra chi dice voglio un salario a 1500 euro e chi dice a 1200: c’è il punto di incontro a 1300, 1400, 1450…
Fin qua l’ovvio. Il punto è stabilire se qualcosa è un “valore”. L’uomo come dici benissimo è per natura un essere culturale, flessibile, inventivo, e che crea il proprio mondo.
Non si può ridurre tutto l’uomo ad una fissità statica… e se lo si fà, il sospetto è che con “natura” si intenda solo legittimare una certa “consuetudine”…
Non so tu, ma io sospetto molto. 🙂
Quanto alla “coscienza, rettamente formata” posso supporre che si riferisse alla recta ratio, cioè “la ragione illuminata dalla rivelazione”, ma non sono sicuro.
ciao! eno
Cavillo: correggo una mia frase. “Il punto è stabilire se qualcosa è un “valore”. ” va sostituitio con “Il punto è stabilire se qualcosa è un “valore” e soprattutto perché mai lo stato dovrebbe trattare nel parlamento valori!”.
ciao& saluti, eno!
Sul primo commento non avevo nulla da dire (aspettavo reazioni dalla Santa Sede, ma evidentemente non leggono il mio sito 😉 ), ma sull’errata corrige una domanda ce l’avrei: lo stato tratta valori, eccome! Certo, non discute “questo è un valore, questo no, questo forse domani ma per adesso no”, però le scelte legislative necessariamente sono espressione di valori.
Il problema è “valori”.
La parola ha troppi significati: norme ( ciò che si deve fare, “difendere la libertà altrui è un valore” ), “cose” sacrosante( “la vita è/non è un valore”, “la libertà è/ non è un valore”, “la massima utilità è un valore” ), la valutazione soggettiva e esprimibile in termini comparativi( “stare in compagnia è un valore maggiore della riflessione solitaria”, che vuol dire solo “preferisco X a Y”, o “un bambino ha/non ha un valore umano maggiore di un neonato” ).
Il secondo significato è legato alle cosiddette etiche dei beni, che hanno un’idea naturalistica del bene, tra cui quella della “sacralità della vità” o un certo utilitarismo.
Poi significa, a volte, ambito di valutazione: un bene economico non può essere valutato sullo stesso piano di un affetto o di una persona, tanto che parliamo di prezzo, efficacia, utilità, bontà morale, dignità etc.
Potremmo di conseguenza prendere norme e distinguere tra norme basate che implicano l’adesione personale, altre che si limitano alla pura obbedienza( nessuno però le chiama valori ), alcune che si basano sulla responsabilità soggettiva, altre su quella oggettiva o addirituta famigliare, come nei paesi tribali. Et cetera alia.
Quali di queste cose tu intendevi?
Potrei rispondere comunque alla tua giusta domanda, dicendo che cosa intendo io con valore e perché i valori non li ritengo presupposti nelle leggi. Però così c’è sempre il rischio che tu associ a quel significato anche un’altro che io non intendevo… e cmnq sei tu il padrone di casa e puoi usare le parole come vuoi! Insomma, prima una accusatio terminorum incrociata… così la mia risposta può essere breve.
buona domenica! eno 🙂
Quando ho scritto che lo stato tratta i valori, intendevo valori nei sensi 1 (ciò che si deve fare) e soprattutto 3 (valutazione comparativa).
Nel senso 2 (il sacrosanto) lo stato ha poco a che fare con i valori (secondo alcuni purtroppo, ma questo è un altro discorso).
( Perfettamente d’accordo con te. Però non mi limito ad accusare la pericolosità dell’etica della sacralità della vita- ci sono etiche dei beni nascoste anche in molti altri ambiti… “la solidarietà sociale è un valore della sinistra” o “la libertà è il fine dell’uomo”, p.e., sono della stessa pasta )
Conscio di sostenere una tesi poco diffusa, non potrò certo argomentarla bene qui.
Non credo che le norme dette “leggi” si basino su norme più generali e minime( rispetta la libertà di espressione, rispetta le decisioni di autorità elette legittimamente anche se non condividi… ) o puri principi procedurali.
Il principio procedurale rischia di far passare al potere partiti e ideologie evidentemente dannose o che minacciano il principio procedurale medesimo, perchè esso è pura forma.
L’idea che ci sia un nucleo di norme basilari invece non spiega su che cosa si fondino( perché rispettare la libertà del prossimo se creerà un danno alla società? perché non preferire l’ordine autoritario al caos della democrazia? ), insomma resta alla pura “intuizione evidente”. Le intuizioni possono essere difese solo facendo propaganda culturale per mantenerle vive nella popolazione- un metodo dubbio, mediatico e violento – ma non hanno alcun sostegno razionale. Inoltre ciò si incarta in paradossi come “Devo tollerare gli intolleranti?”( e come decidere il limite tra l’intolleranza e la critica radicale ai principi del sistema? ).
Neanche l’unione delle due prospettive risolve i problemi.
Sono convinto che alla base della politica, vagamente come pensava Schmitt, ci sia un ambito prepolitico, dove non si ragione in termini di autorità, ma di consuetudini e norme spontanee, che sono puri fatti, isness e non pura oughtness.
C’è una sostanza della politica che precede ogni teorizzazione.
( Si dovrebbe distinguere tra consuetudine e andazzo, e vedere quando possono essere corrette, ma è un altro paio di maniche. )
D’altra parte sono convinto che libertà come quella di parola o il diritto allo studio possano essere fondate in termini di mezzi per la realizzazione di un certo fine. Il fine però non è altro che la descrizione antropologica dell’homo politicus in quel contesto, anch’esso un fatto. Cioè esse servono a far sì che POSSA realizzarsi appieno.
Ma le norme particolari sono di un genere diverso da quelle generali e quelle generali sono diverse dalle norme extrapolitiche( i valori morali ), anzi non sono norme vere e proprie.
Non ha senso usare un concetto unico per tutto questo.
Credo di averti detto parecchio.
ciao e scusa la lunghezza! 🙂
Potremmo aprire un blog collettivo… ho già pronto il titolo: le divagazioni. Nel giro di sei commenti siamo passati dall’eucarestia alla fondazione del diritto…
Comunque leggendo il tuo ultimo commento mi sono convinto che la migliore forma dello stato sia l’anarchia!
AHAHAHAHAHAHAH! 🙂