Lo ammetto subito: il titolo di questo post è un’esca per attirare lettori, un click bait per capirci. Non intendo affatto difendere bufale e notizie inventate — per quanto, lo ammetto, non abbia molta simpatica per le soluzioni autoritarie talvolta proposte per contrastare il fenomeno, per cui potrei davvero trovarmi a difendere il diritto di scrivere e condividere baggianate.
Ma questo è un altro discorso: qui mi interessa una difesa linguistica delle fake news. È la parola, che voglio difendere, non il fenomeno.
Infatti, nel titolo, fake news è scritto tra virgolette, trucchetto da filosofi del linguaggio per indicare che si sta parlando, appunto, della parola, non di quello che indica.1
Perché a volte c’è bisogno di uno stolto che, mentre il saggio indica la Luna, guarda il dito, più che altro per capire se al saggio trema un po’ la mano e se non è meglio usare un bastone o un cannocchiale, per mostrare il nostro bel satellite agli altri.
Meglio le bufale made in Italy
Una prima obiezione è: perché non tradurre il termine in italiano? O, meglio ancora, perché non usare una parola già presente nella nostra lingua, come bufala, disinformazione, propaganda eccetera?
Iniziamo col dire che, contrariamente ad altri anglicismi, fake news è facile da capire e da pronunciare. Ammettiamolo: rispetto a stepchild adoption e a whistleblower è una passeggiata.
Ma non è solo questione di leggibilità e intelligibilità. Dopotutto, anche airport è chiaro e semplice, forse persino di più del corrispettivo italiano che non si sa mai se scrivere aereoporto o aeroporto,2 ma non direi mai “parto dall’airport di Malpensa”.
Un anglicismo – e più in generale una parola nuova – ha senso se dice qualcosa di diverso, magari di più preciso, rispetto alle parole che già abbiamo.
Il che ci porta alla seconda obiezione: fake news è una parola che significa tutto e niente.
Grande è la confusione sotto il cielo
La situazione l’ha perfettamente riassunta Anna Maria Testa su Internazionale:
[…] il termine fake news si è talmente diffuso ed espanso da consumarsi, fino a perdere il suo senso proprio. Un buon contributo al processo di desemantizzazione è stato di recente offerto da Donald Trump medesimo, con la creazione propagandistica di un Fake news award, che ha etichettato e “premiato” come fake opinioni sgradite, pettegolezzi, semplici errori rapidamente corretti. Tutta roba che, insomma, non c’entra con le fake news.
[…] etichettare come fake qualsiasi informazione o dato che favorisca l’avversario sta diventando prassi corrente nel dibattito politico, e confonde ulteriormente i termini della questione.
È, lo ammetto, un ottimo argomento.3 E infatti in molti – tra cui Facebook – hanno smetto di usare fake news, preferendo false news.
Certo il fatto che il termine sia spesso usato a sproposito ci deve mettere sull’attenti per evitare malintesi e ambiguità. Ma non impedisce che, in determinati contesti e magari dopo una premessa esplicativa, sia possibile parlare di fake news in maniera adeguata. Per dire: il fatto che “crescita esponenziale” raramente indica una vera (cioè matematicamente corretta) crescita esponenziale non è un buon motivo per cui si debba trovare un altro termine.
E poi – e così arriviamo al punto centrale della mia difesa delle fake news –, notizie false non va affatto bene, perché la verità, alla fine, è il minore dei mali.
Informazione contraffatta
Eccoci al momento in cui anche lo stolto distoglie, per un attimo, gli occhi dal dito per guardare la Luna. Insomma, che cosa è una fake news, e perché bufala, informazione falsa, disinformazione o propaganda non vanno bene?
Una premessa: mi guadagno da vivere come giornalista. E quello che segue può apparire una sorta di “difesa di categoria” dei giornalisti, visto che la mia tesi può essere riassunta con “se è su una testata giornalista, non è una fake news”. Ma non lo vuole essere.
Ora, perché ho scritto che la verità (o meglio la falsità) delle fake news è il minore dei mali? Perché troviamo un sacco di informazione non vera.
Magari abbiamo notizie datate: un articolo sui computer scritto cinque anni fa conterrà un sacco di affermazioni ormai false perché la tecnologia va avanti, e lo stesso vale per uno sul diritto perché anche le leggi cambiano, ma di certo non sono fake news.
C’è poi la satira. Una notizia satirica non è una fake news, anche se a volte capita che qualcuno la prende per vera – colpa anche dei media sociali che spesso rendono poco chiara la fonte, uniformando quel che viene condiviso – e anche se la satira viene usata come scusa dai propalatori di fake news.
Ci sono poi gli errori giornalistici. Per distrazione, per pregiudizio, per ignoranza e per mille altri motivi i giornalisti sbagliano. Non dovrebbero, ma capita.
È un problema, certo – soprattutto se l’errore è grande e non è stato successivamente corretto –, ma non è una fake news.
C’è poi il caso degli errori voluti, che non sono errori ma disinformazione, notizie create o modificate allo scopo di ingannare.
Sono fake news? Certamente sì, ma non tutte le fake news sono disinformazione, perché le fake news non hanno necessariamente lo scopo di ingannare.
Che cosa è, dunque, una fake news? Sono notizie contraffatte o, meglio, è informazione contraffatta, perché a essere malamente imitato non è tanto la singola notizia, ma tutto il sistema che c’è, o almeno che dovrebbe, esserci dietro la notizia. Quel lavoro giornalistico di valutazione della notizia, di verifica delle fonti, di indipendenza e via elencando i vari punti che si trovano nelle vari codici deontologici dei giornalisti.
Sono le regole del gioco del giornalismo che vengono accettate – anche se non sempre rispettate – da chi fa informazione ma che chi produce fake news calpesta bellamente.
Pseudogiornalismo
Le fake news stanno al giornalismo come le pseudoscienze stanno alla scienza.
Prendiamo un esempio classico di pseudoscienza: il progetto intelligente o intelligent design.
All’inizio avevamo il creazionismo, teoria religiosa, non scientifica: la vita è opera di Dio. Ma essendo, appunto, una affermazione religiosa non andava bene per le lezioni di scienze. E così ecco l’idea: facciamone una teoria scientifica, del tipo “alcune caratteristiche delle cose viventi sono spiegabili attraverso una causa intelligente, non attraverso un processo non pilotato come la selezione naturale” (definizione presa, con qualche modifica, da Wikipedia). Affermazione di per sé legittima; il problema è che non solo è falsa, ma viene sostenuta con “prove scientifiche” che di scientifico hanno solo l’apparenza, non la sostanza – con concetti . Ne hanno l’apparenza perché conviene: si guadagna autorevolezza e forse si riesce a entrare nelle scuole.4
Similmente, una fake news – o pseudogiornalismo, se vogliamo usare un termine italiano – imita il giornalismo perché, tutto sommato, ci fidiamo del giornalismo. Magari non a parole, ma alla fine quando vediamo quello che sembra un articolo o un servizio giornalistico, tendiamo a crederci un po’ di più che se quello stesso fatto ce lo avesse raccontato uno sconosciuto sull’autobus.
Perché è importante distinguere il cattivo giornalismo dalle fake news?
Ricapitolando.
Se qualcuno – per minare le basi della democrazia, per far soldi con la pubblicità o per scherzo: poco importa a questo livello di discorso – si inventa una notizia e la confeziona in modo da sembrare un contenuto giornalistico, abbiamo una fake news.
Se viceversa una vera testata giornalistica pubblica – per errore, per superficialità, perché ci si è fidati di una fonte non affidabile – una notizia falsa o comunque fuorviante allora si tratta di cattivo giornalismo.
Ci sono ovviamente i casi limite, come certe testate scandalistiche che hanno una qualità talmente bassa da poter essere considerate fake news. Ma non credo costituiscano un problema per questa classificazione; non più di quanto il crepuscolo sia un problema per la differenza tra il giorno e la notte.
Perché secondo me è importante distinguere il cattivo giornalismo dalle fake news? Non perché il cattivo giornalismo non sia un problema, anzi: è un grosso problema. Ma è un altro problema – per quanto collegato – rispetto alle fake news. E va affrontato diversamente.
È come giocare a scacchi contro un cattivo giocatore – cattivo nel senso che ogni tanto prova a muovere una torre in diagonale, perché non si ricorda le regole o perché spera che non ce ne accorgiamo – e contro uno che è lì solo perché gli piace tenere in mano alfieri e pedoni (e magari anche farci perdere la pazienza). Al cattivo giocatore ricordiamo le regole e l’importanza di rispettarle; il perditempo, e soprattutto l’attaccabrighe, lo accompagniamo gentilmente alla porta.
Sarebbe una perdita di tempo cercare di spiegare le regole del gioco al perditempo, perché non gli interessano. Ma ancora peggio sarebbe accompagnare alla porta il cattivo giocatore, perché poi non avremmo nessuno con cui giocare.
Giusto per essere chiari, sciolgo la metafora.5
I siti di fake news devono semplicemente sparire – non necessariamente chiusi per ordine dell’autorità: ci sono altre soluzioni, ad esempio ripensare i meccanismi di condivisione sui social network o intervenire sulla pubblicità che questi siti raccolgono.
I casi di cattivo giornalismo vanno invece corretti, segnalando con gentilezza l’errore e soprattutto cercando e premiando contenuti di qualità. Perché se partiamo lancia in resta a combattere e boicottare le testate per gli errori che fanno, rischiamo di trovarci senza giornalismo. Il che potrebbe essere un problema.
- Trucchetto che rischia di appesantire la lettura, e visto che quello che sto scrivendo non è un saggio di filosofia del linguaggio, vi risparmio le virgolette nel testo. [↩]
- La seconda. [↩]
- Discusso approfonditamente su Terminologia. [↩]
- Più in dettaglio, vedi Why do irrational beliefs mimic science? di Massimo Pigliucci. [↩]
- Trovo questa espressione bellissima, perché è a sua volta una metafora. [↩]
2 commenti su “In difesa delle “fake news””