“Il MeToo ha rotto i coglioni”. È un commento che ho sentito a proposito della fintroversia sul bacio non consensuale del principe azzurro a Biancaneve. Dico fintroversia perché il caso è in buona parte artefatto: non riguarda il film della Disney ma il rifacimento di un’attrazione di Disneyland e in una recensione sostanzialmente positiva si faceva notare che quel bacio, messo a conclusione del percorso, potrebbe essere un po’ problematico visto che lei è incosciente. Poi è arrivata Fox News e ha deciso di trasformare la recensione in una crociata dell’estrema sinistra nel nome della cancel culture e del politicamente corretto.
Ora, sarebbe bello discutere sul ruolo delle fiabe nella costruzione del nostro immaginario collettivo e sul fatto che sono storie che vengono continuamente riadattate alla sensibilità attuale – e lo ha fatto lo stesso Walt Disney, ad esempio togliendo la tortura della regina cattiva costretta a indossare delle scarpe di metallo arroventato. E anche su cosa dovremmo fare con le opere che presentano aspetti adesso controversi, per quanto non sia la cosa direttamente in discussione (non si parla del film del 1937, ma di un’attrazione di Disneyland rifatta negli scorsi mesi).
Ma credo sia più importante quel “il MeToo ha rotto i coglioni” al quale credo potremmo aggiungere “le menate sul consenso hanno rotto i coglioni”, “il femminismo ha rotto i coglioni” e “le rivendicazioni dei diritti hanno rotto i coglioni” (sì, lo so, è un po’ l’argomento del piano inclinato, ma il passo direi che è breve). E capisco che una discussione sul bacio del principe azzurro possa venire a noia – ma evidentemente non è così, vista la marea di commenti –, ma appunto: nella mente mi si è insinuato il tarlo che la strategia sia appunto quella, non affrontare il problema seriamente, discutendo e portando argomenti, ma facendo deragliare qualsiasi dibattito con casi montati ad arte per far indignare e stancare le persone. Uno sorta di straw man argument condito con fake news che porta, appunto, a “i diritti ci hanno rotto i coglioni”.
Più che “il femminismo ha rotto i coglioni” direi che il “femminismo vuole rompere i coglioni”. Nel senso che adotta le tipiche strategie da guerra culturale. Bene, un esercito per prima cosa si deve adunare, e allora si lancia un proclama provocatorio che viri verso l’assurdo come modo per sventolare una bandiera. C’è ben poco da discutere in queste sparate, c’è solo da radunarsi sotto la bandiera dimostrando la propria lealtà nonostante tutto, oppure sotto quella opposta facendo altrettanto. E’ un giochetto che ci piace fare e sui social viene anche meglio. Oltretutto, le continue vittorie di questi ultimi anni, convincono che puoi spararla grossa quanto vuoi e non ci saranno ripercussioni concrete, non riuscirai mai a squalificare un’idea esagerandola quando l’unica cosa che conta è la militanza. Sono le regole della guerra, compresa la guerra culturale.
Sono certamente battaglie culturali – e per fortuna, aggiungo, visto che l’alternativa è la battaglia non culturale, quella in cui si combattono persone con le armi e non le idee con argomenti. Che l’obiettivo sia però rompere i coglioni – per la storia del compattare i ranghi –, ne dubito: sarà che ho una “bolla” relativamente dotata di buon senso, ma in molti casi vedo semplicemente la volontà di far notare cose che non vanno, non l’idea di farsi odiare dagli altri per farsi amare da quelli che la pensano come noi.