Non ricordo chi, anni fa, mi consigliò di leggere How to Lie with Statistics di Darrell Huff, però gli o le sono molto riconoscente perché quel libro lo adorai fin da subito. Pubblicato nel 1954 ma tradotto in italiano mi pare solo nel 2007, il libro spiega come le statistiche possono essere usare per nascondere una verità oppure per dimostrare, con l’apparente solidità di numeri e percentuali, praticamente qualsiasi cosa. Nell’esporre queste tecniche Duff spiega ovviamente alcuni aspetti importanti come la selezione del dati o la differenza tra media, mediana e moda, ma il libro è impostato tutto sull’inganno delle statistiche e sull’importanza di dubitare.
“Può sembrare un manuale per gli imbroglioni” scrive Huff nell’introduzione, ma ”i furfanti conoscono già questi trucchi, le persone oneste devono impararli per difendersi”. In questo Huff si paragona al ”ladro in pensione i cui insegnamenti in un corso universitario su come scassinare una serratura o disattivare un allarme” solo che ho scoperto che non era affatto in pensione, anzi era passato di livello.
Lo spiega il giornalista economico Tim Harford in un libro che riprende e approfondisce i temi del libro di Huff ma capovolgendone l’impostazione: in Dare i numeri si parte da quello che le statistiche ci permettono di vedere, non dagli inganni. Perché questo cambiamento di prospettiva è importante? Perché l’approccio di Huff rischia di portarci a uno scetticismo indiscriminato, al dubbio verso ogni tipo di statistica. E qualcuno può sfruttare questo dubbio, come l’industria del tabacco quando – proprio negli anni in cui venne pubblicato How to Lie with Statistics – emersero le prime conferme sui danni del fumo, conferme supportate da statistiche. E chi, nel 1965, venne chiamato per screditare quelle statistiche in un’audizione al Senato degli Stati Uniti? Esatto, Darrell Huff. Come scrive Harford:
Darrell Huff era stato pagato dall’industria del tabacco per fare ciò che sapeva fare meglio: mettere assieme qualche astuto aneddoto e poi aggiungere un pizzico di sagacia statistica e una buona dose di cinismo per instillare il dubbio sulla pericolosità delle sigarette. All’epoca stava persino lavorando al seguito del suo libro, che però non fu mai pubblicato: si sarebbe intitolato How To Lie With Smoking Statistics.
Huff ha spiegato come è possibile usare le statistiche per ingannare. E poi ha usato proprio il dubbio da lui creato per ingannare, per far capire che non abbiamo certezze e che in assenza di certezze è meglio non fare nulla.
Tuttavia limitarsi a denunciare la pericolosità del dubbio non avrebbe molto senso: vorrebbe dire applicare allo scetticismo lo stesso metodo che Huff ha applicato alla statistica. Seguendo l’approccio di Harford, dobbiamo sottolineare le virtù del dubbio e imparare a dubitare bene. Perché, come ha scritto Hume, l’uomo saggio non è quello che dubita di tutto, ma che proporziona le proprie credenze in base alle prove di cui dispone.
Un commento su “Le statistiche possono mentire. E anche lo scetticismo”