Se il marketing si occupa degli incrementi dei consumi, il demarketing si occupa, al contrario, del loro contenimento: fare demarketing significa scoraggiare l’acquisto di un determinato prodotto.
L’obiettivo è sempre lo stesso: aumentare i profitti. Il demarketing cerca di raggiungere questo obiettivo seguendo altre strade: scoraggiare le vendite di un prodotto significa, ad esempio, puntare sulla qualità (della merce, ma anche dei clienti) invece che sulla quantità, oppure favorire le vendite di un altro prodotto più redditizio, eccetera.
Un ottimo esempio di marketing e demarketing viene dalla Svizzera.
Marketing
Come vendere la Svizzera ai ricchi turisti occidentali?
Con un bello slogan, tanto per cominciare: «Svizzera. Semplicemente naturale».
Poi serve una bella idea. Ad esempio un concorso sugli avvenenti maestri di sci:
Scopri le mille meraviglie naturali della Svizzera. Come i paesaggi invernali stupendamente innevati. O le imponenti vette delle montagne. Oppure i nostri attraenti maestri di sci che trascorreranno volentieri una giornata sulla neve insieme a te. Qui scopri dove e come puoi incontrarli.
Demarketing
Come non vendere la Svizzera, ad esempio, a quei pezzenti dei nigeriani?
Ci vuole uno slogan efficace e comprensibile: «leaving is not always living» (in italiano: «partire non sempre significa vivere»). E uno spot, da trasmettere durante la partita di calcio Svizzera – Nigeria:
Conclusioni
Il demarketing funziona: dopo aver visto lo spot la mia opinione della Svizzera è cambiata, in peggio.
Tuttavia, temo di non rappresentare il target di questa campagna pubblicitaria voluta, è bene tenerlo presente, dall’Ufficio federale della migrazione.
Ciao Ivo.
Lo so: quel video fa accapponare la pelle. Perché esprime l’egoismo più abbietto di chi ha tutto nei confronti di chi non ha nulla e perché toglie, a chi non ha nulla, anche l’unica cosa che magari gli rimane: la speranza. Ma dice la verità.
Bukowski, in un suo libro, sosteneva che i ricchi capiscono sempre tutto, ma non fanno mai nulla. Qualcun altro, che non ricordo – forse Eddie Murphy in un suo film – asseriva che se la merda valesse qualcosa i poveri nascerebbero senza buco del culo.
Lo ripeto per l’ennesima volta – forse una qualche “beautiful mind” prima o poi raccoglierà il mio grido di dolore – quello di metterci d’impegno per ripensare il mondo è oramai un imperativo kantiano. 🙁
Il video, come tutti i video pubblicitari, esagera alcuni aspetti della realtà per nasconderne altri. Di “falso” c’è la situazione del padre, sicuramente non tipica a partire dal più banale degli aspetti: il telefono. In Nigeria ci sono 24000 linee telefoniche contro i 5 milioni della Svizzera (e la Nigeria ha poco meno del doppio di abitanti della Svizzera).
Se il video fosse più sincero e oggettivo riuscirei a comprenderlo meglio. L’idea, nel complesso, non è male: far conoscere la reale situazione degli emigrati può essere d’aiuto. Il problema è che quando una persona non ha nulla da perdere ha tutto da guadagnare: un simile video potrebbe dissuadere, ad esempio, l’immigrazione dall’Italia (l’immigrato tutto felice perché guadagna 3000 euro al mese, ma poi si rende conto che in Svizzera fatica ad arrivare alla fine del mese), dubito che un simile messaggio possa funzionare con chi proviene da situazioni di estrema miseria.
Infine, due considerazioni sui destinatari del messaggio pubblicitario. Oltre ai potenziali immigrati, il video secondo me è anche indirizzato agli svizzeri. Forse eccedo in dietrologia, ma questo spot è, per la particolare situazione politica elvetica, una sorta di quadratura del cerchio: accontenta la destra (guardate: facciamo qualcosa per il problema degli stranieri) e la sinistra (guardate: non blocchiamo gli ingressi, non buttiamo fuori quelli che non ci garbano, ma cerchiamo di bloccare le partenze, così stiamo tutti meglio).
“e la Nigeria ha poco meno del doppio di abitanti della Svizzera”
Hai scordato uno zero.
La Nigeria ha poco meno di 20 VOLTE gli abitanti della Svizzera.
E’ il paese africano più popoloso e, credo, con il tasso di crescita maggiore.
Ivo, quanto tu dici è corretto. Però riguarda tutt’altri aspetti che quelli su cui si concentra il mio commento. Se non erano questi ultimi che intendevi sottolineare col tuo post, scusami ma non l’avevo capito.
Ciao. 🙂
24000 linee telefoniche? Stando al Factbook CIA ci sono 1,6 milioni di telefoni fissi e 32 milioni di telefoni cellulari.
È vero che è il paese africano più popoloso e con elevato tasso di crescita, ma ce ne sono diversi altri che crescono ancora più velocemente.
Weissbach e Arcibald Arcibaldovic: Sono io che, nella fretta, ho guardato sul Factbook CIA Niger e non Nigeria.
La sostanza, comunque, cambia di poco: 1,6 milioni di telefoni con una popolazione di 135 milioni sono comunque pochi.
lector in fabula: lo so, ho sviato argomento. Il fatto è che mi sento a disagio con il dover cambiare il mondo. Non che mi vada bene la situazione attuale, sia chiaro, è che non mi ci vedo a fare il rivoluzionario, ho troppe idee troppo confuse
Per Ivo
Quando dico “ripensare il mondo”, non ho in mente il Che, o Lenin o Mao Tse Dong, non fraintendermi. Non è conforme al mio modo di vedere qualsiasi idea di “verità assoluta”.
Credo però che bisognerebbe fermarsi e fare una pausa di riflessione sui modelli che l’occidente industrializzato sta diffondendo in tutto il pianeta. Ma è proprio vero che più sviluppo = più benessere? Non ho nessuna nostalgia del tempo che fu, ma ritengo che i beni che oggi siamo in grado di produrre sarebbero più che sufficienti al mantenimento dignitoso d’una popolazione planetaria, diciamo di due miliardi di persone (oggi sono sei, ma un’attenta pianificazione delle nascite, nell’arco d’un centinaio d’anni, potrebbe invertire il trend). Se non venissero creati ad arte sempre nuovi bisogni (inutili e superflui) non vi sarebbe neppure la necessità di “bruciare” più di quanto il sistema Terra è effettivamente in grado di rigenerare. Agendo seriamente sul piano della ridistribuzione di quanto prodotto, poi, sarebbe possibile eliminare molte delle differenze attualmene esistenti. Tutto ciò può sembrare utopico, ma in realtà può essere conseguito. Serve innanzitutto un pensiero forte, nel senso di autorevole (“ripensare il pensabile”, come direbbe il vecchio Martin 🙂 ) che rappresenti un riferimento sufficiente per tutti coloro che vorrebbero iniziare ad invertire la rotta e magari non sanno come.
Scusa se mi sono espresso un po’ a braccio. Spero d’essere stato chiaro lo stesso.
Ciao
lector in fabula: per quanto mi riguarda, chiarissimo.
Ivo, spero di non tediarti, ma purtroppo hai involontariamente toccato un argomento che rappresenta, a causa della mia formazione economicistica, l’interesse per il quale tutti gli altri hanno solo valore funzionale.
Il problema di “giustificare” adeguatamente le ragioni per le quali è preferibile cambiare un certo modo d’intendere il mondo, non è cosa da poco. A ciascuno di noi potrebbe importare poco o nulla dei propri discendenti e affidare la questione a una sorta di “mano invisibile” che presto o tardi interverrà per riequilibrare il tutto (magari con una “bella” pandemia o una guerra atomica). Intanto, vivere la vita “alla svizzera” (nel senso stigmatizzato dal post), indifferenti degli altri, arraffando quanto più possibile e stando attenti che qualcun altro non ci porti via il bottino.
E’ una posizione per certi versi legittima, sino a palese prova contraria, ma che certo lascia un sapore d’ingiustizia in bocca.
Negando per ovvie ragioni il fattore dio, si nega un elemento teleologico che, seppur inventato, costituiva tanto un agente per l’accettazione d’una determinata etica, che un deterrente di molti comportamenti antisociali.
Con tutti i miei limiti in materia, credo che Kant avesse afferrato perfettamente il problema, quando formulò il suo imperativo assoluto. Ma, come tutti gli assoluti, anche quello di Kant non regge alla controprova della ragion logica relativamente alla necessità del suo fondamento.
Per poter iniziare un percorso inverso rispetto a quello intrapreso dalla rivoluzione industriale in poi, senza l’utilizzo di sistemi coercitivi quali possono essere quelli delle varie dittature, rosse o nere che siano, bisogna individuare dei fattori di persuasione (ma “persuasione” è un termine che mi ricorda troppo lo spot che hai portato alla nostra attenzione) “autorevoli” che reggano a tutte le obiezioni e contrastino efficacemente gli enormi interessi in gioco.
Tutto ciò che è stato detto o scritto finora (almeno quello che io ho letto) – dalla biologia alla logica, dalla fisica all’economia, alla filosofia , ecc. – è sì importantissimo e fondamentale per capire ed inquadrare i problemi, ma manca ancora della necessaria coordinazione in una proposta filosofica unitaria che abbia i caratteri di cui ti dicevo poco sopra.
Ciao.
Bravissimo! Complimenti! Vorrei saper scrivere così!
Per Knulp.
Imbarazzatissimo, immeritatamente ringrazio.
[Preciserei che non siamo parenti 😉 😉 😉 ]
@lector:”Se non venissero creati ad arte sempre nuovi bisogni (inutili e superflui) non vi sarebbe neppure la necessità di “bruciare” più di quanto il sistema Terra è effettivamente in grado di rigenerare.”
Il problema, a mio avviso, non sta tanto nella creazione di bisogni ma nelle fonti di energia utilizzate. Numericamente, per quanto gli sprechi del sistema americano facciano effetto, le popolazioni dei cosiddetti paesi “sottosviluppati” producono una grossa fetta dell’inquanamento globale, per non parlare di quelli “in via di sviluppo”.
Non credo che,senza un cambiamento radicale delle fonti di energia utilizzate i fabbisogni potrebbero essere coperti (lasciando per ora predere il problema ambientale, che è molto più complesso e meno risolvibile).
Per Kirbmarc.
Dissento parzialmente. Il tuo appunto è corretto nell’ottica d’una crescita continua. Io mi permetto di porre un dubbio pregiudiziale sull’effettiva necessità di tale crescita.
Se ci fai caso, lo stato delle economie si misura principalmente in variazione del Pil. Come ben sai e con le dovute semplificazioni del caso, il Pil non è altro che disponibilità di beni e servizi. Crescita significa perciò sempre maggiori beni e servizi disponibili. Una crescita continua implica risorse primarie che crescano di pari passo. Se moltiplichiamo i maggiori beni e servizi richiesti individualmente per il tasso di crescita della popolazione, ossia della loro domanda effettiva e potenziale, il risultato nel lungo termine non mi sembra sostenibile. Aggiungiamo inoltre che crescita di beni e di servizi disponibili non comporta automaticamente una più equa allocazione degli stessi. Sono tutti problemi aperti, per i quali non ho soluzione: la sto cercando come si cerca il graal e qualsiasi contributo mi provenga – anche e soprattutto critico – certamente m’aiuta.
Ciao. .-)