Riempire un vuoto

In questi giorni l’ex istituto Marchiondi, opera dell’architetto Vittoriano Viganò, è stato assegnato al politecnico di Milano per la trasformazione in residenza universitaria.
L’area era occupata da alcune persone che sono state fatte sgomberare.

A leggere alcune cronache dello sgombero, sembra che questa occupazione abusiva sia la causa del degrado di questo gioiello dell’architettura brutalista. Credo sia corretto affermare che l’occupazione sia invece un effetto, non una causa. Effetto dell’abbandono e della scarsa attenzione della città per le periferie, da una parte, e per l’architettura contemporanea, dall’altra.
È stato riempito un vuoto. Riempito, inutile nasconderlo, nella peggiore delle maniere possibili, ma è stato possibile riempirlo così appunto perché lasciato vuoto.

Ex istituto Marchiondi

Ieri, seguendo le indicazioni di un vecchio numero di Domus, la rivista di architettura fondata da Giò Ponti, siamo andati a visitare una delle opere architettoniche di cui Milano dovrebbe andare fiera: l’ex istituto Marchiondi, in via Noale 1, di Vittoriano Viganò.

Questo è quello che abbiamo trovato:

A quanto pare, presto dovrebbero iniziare i lavori di ricupero dell’edificio.

Genova secondo giorno

Complice il largo anticipo (i treni sono sempre così: o arrivano un’ora prima o quindi minuti dopo), per raggiungere Palazzo Rosso da Principe non ho fatto il percorso più logico e razionale (Balbi e Cairoli, che è come dire: vai sempre dritto e non ti puoi sbagliare). Ho deciso di perdermi per i carrugi, passando ovviamente da via del campo. Arrivare in via Garibaldi dal basso (sono sbucato dal vicolo dei 4 Canti di San Francesco) è una esperienza notevole, di quelle che ti lascia per qualche minuto a bocca aperta. Riesci a intuire cosa fosse il barocco agli occhi dei contemporanei: una innovazione nel concepire gli spazi, un qualcosa di inaudito e sorprendente. Uno Sgarbi dell’epoca, probabilmente, avrebbe demolito tutto.

Intanto scopro che, all’inaugurazione del festival, non c’era neppure un sottosegretario.

Uno fa uno sgarbo, e subito quello diventa “patrimonio dell’umanità”

Centre Pompidou

Renzo Piano intervistato da Piergiorgio Odifreddi:

E naturalmente quello [il Centre Pompidou] è stato il progetto che l’ha definita.
Sì, ma in un modo sbagliato, perché in realtà non definiva un accidente. Agli inizi tutti l’hanno preso come il trionfo della tecnologia, ma non lo era assolutamente: semmai, era una specia di voluto sberleffo alle istituzioni.

E perché le istituzioni l’hanno permesso?
Perché si lasciano spernacchiare: da sempre, ai giullari è permesso farsi gioco dei potenti. Ma non era soltanto una pernacchia, quanto piuttosto una volontà di ribellione al confinamento della cultura in luoghi specialistici, e un tentativo di farne una fabbrica, un’officina, un opificio. La gente si è subito divisa: da una parte quelli che amavano il Beaubourg, dall’altra quelli che lo odiavano. Ma alla fine Parigi l’ha adottato, e adesso è addirittura diventato monumento nazionale: non hanno permesso neppure più a me di modificarlo! Vede, com’è ridicola la vita? Uno fa uno sgarbo, e subito quello diventa “patrimonio dell’umanità”.

Renzo Piano, Che cos’è l’architettura?, Luca Sossella editore, 2007, p. 10

Le Palais idéal du Facteur Cheval

Sogno e realtà sono, solitamente, due entità, due mondi distinti e contrapposti. Si sogna di notte e si vive la realtà di giorno. Solo pochi eletti, gli artisti, possono permettersi di sognare di giorno. Eppure anche questi creatori di sogni, i vari pittori, scultori, scrittori, poeti, mai si sognerebbero di mischiare il sogno e la realtà.

L’artista sa bene di creare una immagine, un simulacro di un mondo irreale. L’immaginazione è, appunto, la facoltà di creare di immagini, oggetti ibridi, che sono e non sono reali: sono reali perché sono qui, ma d’altra parte non lo sono in quanto la loro presenza indica un mondo che non esiste, che non c’è.

Ferdinand Cheval non era un artista, e non avrebbe capito granché di tutta questa riflessione sull’immagine come tramite dei mondi del sogno e del reale. Per il fattore di Hauterives, piccolo paese tra Lione, Grenoble e Valence, un sogno non è qualcosa di irrealizzabile, ma semplicemente di irrealizzato.

Cheval si è dunque messo al lavoro per fare quello che nessun artista avrebbe mai neppure pensato di fare: realizzare un sogno, trasportarlo nella realtà non in immagine, ma così com’è.
Il sogno che Cheval ha deciso di realizzare è quello di un palazzo ideale: un edificio perfetto e assoluto.
Dopo 33 anni di solitario e ostinato lavoro (pari a 10mila giorni e a 193 mila ore, come è possibile leggere su una delle facciate), il palazzo è terminato. Il sogno si è materializzato ed è ora possibile vedere e toccare il Palazzo Ideale del fattore Cheval, camminare all’interno di questo luogo magico e insolito.

Ogni facciata del palazzo, se di facciate è possibile parlare, è composta da centinaia di figure, statue e scritte in una sorta di arcaico e primitivo specchio del mondo e dell’umanità.
Il palazzo è talmente ricco che l’occhio si perde, ed è quasi impossibile osservare tutti i dettagli di questa incredibile costruzione.

Molti i personaggi raffigurati: su tutti, dominano tre imponenti figure sulla facciata nord: Cesare, il grande conquistatore romano, Vercingetorige, il grande difensore della Gallia, Archimede, il grande sapiente greco. Tra di essi, delle mummie egiziane.
Sulla facciata ovest possiamo trovare Eva tentata dal serpente, mentre sulla facciata sud sono raffigurati alcuni edifici: un tempio romano, la Casa Bianca, uno chalet svizzero, un castello medievale e un tempio indù. A un secondo e più attento giro, è possibile trovare anche la Grotta della Vergine Maria e Socrate, insieme a vasi e colonne, oltre che a strane palme e vari animali più o meno verosimili, come galli e cammelli.

Una componente essenziale del palazzo sono tuttavia le scritte, presenti più o meno ovunque.
È possibile leggere che «Dieu protège le génie», «Pout les hommes de bien / tous le peuples sont freres / notre devise à nous / est de les aimer tous», «Sur cette terre comme l’ombre nous passons sortis de la poussièrre nous y retournerons.».

A volte le scritte costituiscono una semplice indicazione di quello che è raffigurato; ad esempio, sotto le tre statue di cui si è detto prima, è possibile leggere: «Sous la garde des TROIS GEANTS j’ai place L’EPOPEE des HUMBLES courbes sous le Sillon».
Altre volte si riferiscono alla costruzione del palazzo: «L’hiver comme l’été / Nuit et jour j’ai marché / j’ai parcouru la plaine et le coteau / de[?] mem que le ruisseau / Pout apporter la pierre dure / Cisellée par la nature / C’est mon dos qui en a payé l’écot / J’ai toute cavé mem la mort // Le soir a la nuit close / quand le genre humain repose / je travaille à mon palais / De mes peines nuls [?] ne le saura jamais», «En créant ce rocher j’ai voulu prouver ce que peut la volonté.».

Dopo una visita al Palais idéal du Facteur Cheval, si ha l’impressione di essere stati in un piccolo museo progettato da Gaudì ospitante opere, tra gli altri, di Mirò, Giacometti, Picasso e Braque. Ma si ha anche la sensazione che quello che si è appena visto non è una semplice opera d’arte. E, in effetti, così è: Mirò e tutti gli altri artisti hanno usato l’immaginazione per produrre, appunto, una immagine, Cheval per produrre un palazzo reale, ideale ma comunque reale. Ed è per questo che visitare il suo Palais idéal è un’esperienza che non si può dimenticare tanto facilmente: non succede molto spesso di poter toccare con mano i sogni.