L’effetto Ikea della (dis)informazione

Sto facendo delle ricerche sulle ricerche fai da te – quelle che chi fa controinformazione invita a fare con lo slogan “do your own research” sui vaccini, la crisi climatica, la guerra in Ucraina, l’allunaggio, gli attentati dell’11 settembre eccetera.

Fare ricerche per conto proprio non è di per sé sbagliato. Anzi direi che è una cosa buona e giusta, se non altro per comprendere meglio un determinato argomento. Ma sulle opportunità delle ricerche fai da te – se fatte bene – scriverò poi; qui mi soffermo sui rischi. Di solito si cita l’effetto Dunning-Kruger, quello per cui meno si è esperti più si è sicuri di sé. Ma sulle interpretazioni si impone qualche cautela.

Qui parlo di un altro effetto: l’effetto Ikea cognitivo.

L’uovo e la torta

Iniziamo dall’effetto Ikea classico. Si tratta della tendenza ad attribuire maggior valore ai prodotti assemblati o costruiti dal consumatore come appunto i mobili venduti dall’azienda svedese. A dare il nome a questo effetto sono stati, in un articolo del 2011, Michael Norton, Daniel Mochon e Dan Ariely. Il fenomeno era comunque già noto sia all’interno della psicologia sociale – si tratterebbe di un caso di “giustificazione dello sforzo” indagato da Leon Festinger nei suoi lavori sulla dissonanza cognitiva –, sia dal marketing. Gli autori citano il caso degli impasti preconfezionati per torte. Quando iniziarono a diffondersi negli anni Cinquanta del Novecento incontrarono la diffidenza dei consumatori, diffidenza superata modificando l’impasto e richiedendo l’aggiunta di un uovo. Secondo gli autori il lavoro costituito dall’aggiunta di quest’uovo, per quanto minimo, avrebbe aumentato il valore percepito della torta da parte dei consumatori.

Norton, Mochon e Ariely hanno misurato questo effetto con una serie di esperimenti. Chi fa uno sforzo per produrre alcuni oggetti – nel loro caso un mobile Ikea, un origami e un set lego – non solo attribuisce loro un valore maggiore rispetto a prodotti analoghi realizzati con maggior perizia da professionisti, ma si aspetta anche che altre persone li valutino maggiormente. Siamo disposti a spendere di più per un oggetto che abbiamo in parte realizzato. E ci aspettiamo anche che altre persone siano disposte a pagare di più per qualcosa fatto da noi anziché da un professionista.

Nel primo caso possiamo immaginare una sorta di valore affettivo dovuto al lavoro svolto, o ai vantaggi di una possibile personalizzazione (però l’effetto è stato rilevato anche con oggetti standard valutati unicamente per la loro funzionalità). Nel secondo caso siamo di fronte a un bias, una distorsione nel nostro modo di ragionare. Un bias che può essere sfruttato aumentando surrettiziamente il valore percepito dei beni venduti prevedendo un semplice lavoro da parte del consumatore. Come nel caso dell’uovo da aggiungere alla miscela per torte. Il lavoro richiesto deve essere sufficientemente elaborato da giustificare l’idea di aver contribuito a realizzare il prodotto – cosa che evidentemente non avveniva quando la miscela per torte era già pronta per il forno – ma sufficientemente semplice da garantire la realizzazione del prodotto. L’effetto Ikea, infatti, non si presenta quando il lavoro fai da te non va a buon fine (o quando il prodotto viene smontato).

Meglio degli esperti

È possibile che esista un effetto Ikea cognitivo che riguarda, invece di mobili e origami, i risultati di una ricerca fai da te? Lo scienziato cognitivo Tom Stafford pensa di sì e il filosofo Justin Tiehen sostiene che non sia una cosa così negativa. Sono portato a dargli ragione: indagare autonomamente un argomento anziché dare il proprio assenso a informazioni preconfezionate presenta il vantaggio di una maggiore comprensione.
Può quindi essere razionale attribuire un maggior valore epistemico alle informazioni ottenute tramite indagine. Tuttavia l’effetto Ikea non riguarda unicamente la valutazione da parte del soggetto, ma anche quella di altre persone. L’effetto Ikea cognitivo porta quindi una persona comune a pensare che le proprie conclusioni siano più affidabili più di quelle di un esperto. In qualche caso sarà anche vero (si dice che un esperto è uno che ha fatto tutti gli errori possibili nel suo campo), ma in generale è la ricetta perfetta per sbagliare.

La sociologa Francesca Tripodi, nel suo interessante The Propagandists’ Playbook. How Conservative Elites Manipulate Search and Threaten Democracy, approfondisce la similitudine tra i mobili Ikea e le conclusioni delle ricerche fai da te. In entrambi i casi il risultato dipende in minima parte dalle abilità del soggetto che di fatto si limita a eseguire semplici compiti indicati da qualcun altro:

But if conservative messaging is like a new table from Ikea, conservative elites are the engineers that design the furniture – making sure that the table goes together only one way, and with just the right amount of effort to give that perfectly satisfied feeling to the consumer (and encourage them to shop again soon).

Per i prodotti Ikea questo controllo sul risultato si basa su pezzi standard e istruzioni il più chiare e semplici possibili. Per la controinformazione invece tutto passa attraverso i motori di ricerca, sfruttando parole chiave poco usate e che vengono suggerite da chi invita a fare ricerche fai da te.