Ripugnanza economica

In California, puoi uccidere un cavallo per nutrire altri animali, ma non per darlo da mangiare a un uomo. Puoi partecipare al Wife-Carrying World Championship (una curiosa corsa ad ostacoli da fare con la propria consorte sulle spalle) ma, almeno in Francia, non puoi partecipare a una gara di lancio del nano. Se doni un rene salvando una vita diventi un eroe, ma se ti fai pagare diventi un criminale.

Da queste incongruenze, o presunte tali, prende inizio Economists Dissect the ‘Yuck’ Factor, interessante articolo di Patricia Cohen sul New York Times, tutto incentrato sull’analisi economica di quello che potremmo tradurre come “fattore bleah”: certe situazioni ci provocano istintivamente disgusto.

Nell’articolo, l’ultima parola spetta al teologo Michael Novak, che conclude affermando: «mere repugnance is not enough», la semplice ripugnanza non è abbastanza. E su questo, penso, siamo tutti d’accordo.

P.S. Un’altra frase notevole è dello psicologo Paul Bloom: «The problem is not that economists are unreasonable people, it’s that they’re evil people», il problema non è che gli economisti siano persone irragionevoli, è che sono persone malvagie.

Eutifrone

PlatoneOgni tanto, in qualche articolo sul ruolo pubblico della religione o durante qualche dibattito sulle radici religiose dell’etica e della politica, viene citato l’Eutifrone di Platone. In effetti in quel dialogo Socrate discute, appunto, di santità e giustizia con uno che di mestiere, se così si può definire, fa l’indovino.
In Platone la cornice dei dialoghi non è mai casuale, e infatti i due si incontrano davanti al tribunale: Socrate è lì perché denunciato da Meleto Eutifrone; invece, per accusare il padre di omicidio.
Sul tema della giustizia, Eutifrone si professa grande esperto, e Socrate, viste le accuse che pendono sul suo capo, è ben disposto ad ascoltarlo: diventando suo scolaro potrebbe apprendere come difendersi.

Eutifrone gli propone però una definizione deludente: giusto è ciò che è caro agli dei.
Obietta Socrate: gli dei litigano, e ciò che gradisce Zeus può dispiacere a Crono e Urano. Eutifrone abbozza: è giusto ciò che è caro a tutti gli dei, nessuno escluso.
E qui arriva l’affondo di Socrate: è l’uomo giusto, in quanto giusto, ad essere amato dagli dei, oppure è l’uomo amato dagli dei a essere giusto? In altre parole, una certa azione è approvata dagli dei perché buona oppure è buona perché approvata dagli dei?
Se è buona perché approvata dagli dei, allora gli dei approvano ciò che approvano, in un circolo vizioso privo di senso. Se invece gli dei approvano qualcosa perché buono, allora l’approvazione degli dei è, tutto sommato irrilevante.
Eutifrone, alla fine, si allontana con una scusa. Continua a leggere “Eutifrone”

Moratoria sui valori

Dedicato a formamentis e farfintadiesseresani

Valori non negoziabili

Antonio Da Re, sul terzo numero della rivista Schibboleth, dice alcune cose molto sensate sui valori non negoziabili in un interessante articolo dal titolo Indisponibilità e mediazione (disponibile anche in pdf).

Cosa significa “valore non negoziabile”?

L’espressione “valori (o principi) non negoziabili” è stata coniata, come è noto, da Benedetto XVI per indicare alcuni valori fondamentali, quali la vita umana, la famiglia, la libertà di educazione, che andrebbero sempre riconosciuti e rispettati come tali e che nelle dinamiche sociali e politiche non dovrebbero diventare oggetto di negoziazione e contrattazione.

Da Re si dichiara abbastanza subito convinto della bontà di questa idea:

Sono convinto che tale tesi, la quale mette in guardia rispetto a una pretesa di disponibilità totale da parte del soggetto in ambito morale, sia importante e costituisca una salutare messa in guardia rispetto a relativismi di vario genere.

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Esiste il senso etico senza Dio?

Esiste il senso etico senza Dio?

Il rapporto con Dio non c’entra nulla col senso etico, che riguarda soprattutto la relazione con gli altri uomini. Molti dei grandi moralisti sono non credenti. Al contrario, diceva il grande filosofo Feuerbach, se ami Dio puoi non amare gli uomini.

Umberto Veronesi (con Alain Elkann), Essere Laico, Bompiani 2007, p. 37

Sull’impossibilità di ogni filosofia morale

hronir mi invita a «ripensare [a una] domanda, se non dal punto di vista di morale, da quello della filosofia morale».
Non è importante quale sia questa domanda, ma il passaggio dalla morale alla filosofia morale. Provocatoriamente, voglio qui sostenere che questo passaggio è semplicemente impossibile.

Due massime

John Stuart Mill propone due semplici massime:

La prima massima è che l’individuo non deve render conto alla società delle proprie azioni, se queste riguardano soltanto gli interessi suoi e di nessun altro. Gli altri, se ritengono che sia necessario per il loro bene, potranno consigliarlo, avvertirlo, persuaderlo, evitarlo: queste sono le sole misure cui la società può ricorrere per esprimere legittimamente la propria avversione o la propria disapprovazione alla condotta di un individuo. La seconda massima è che all’individuo si può chiedere conto di quelle sue azioni che possono pregiudicare gli interessi altrui: e gli si possono infliggere delle punizioni sociali o legali, se la società ritiene che le une o le altre siano necessarie alla propria salvaguardia.

John Stuart Mill, On Liberty, Capitolo V (trad. it. di Enrico Mistretta, La libertà, Rizzoli 1999).

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Stranamente su questa teoria son d’accordo col Papa

Sua santità Benedetto XVI, durante l’Incontro con le autorità e il corpo diplomatico di Vienna (7 settembre 2007) ha dichiarato:

Una grande preoccupazione costituisce per me anche il dibattito sul cosiddetto “attivo aiuto a morire”. C’è da temere che un giorno possa essere esercitata una pressione non dichiarata o anche esplicita sulle persone gravemente malate o anziane, perché chiedano la morte o se la diano da sé.

Come cantava Giorgio Gaber (Il corrotto), «stranamente su questa teoria son d’accordo col Papa». La preoccupazione di Joseph Ratzinger è condivisibile: chi crede nella libertà, ossia nella autodeterminazione delle persone, deve prestare particolare attenzione alle pressioni che, se particolarmente invasive, possono di fatto costituire una limitazione della libertà individuale. Continua a leggere “Stranamente su questa teoria son d’accordo col Papa”

Cosa prevede la legge

Il professo Franco Castelli di Milano scrive una lettera ad Avvenire (scovata grazie alle ultimissime dell’UAAR):

Direttore carissimo,
sono un diversamente abile con invalidità del 100%, ho vissuto la mia condizione sforzandomi di fare, con le diverse abilità disponibili e nel modo a me possibile, quello che fanno i normodotati. Sono diventato papà e docente universitario di ruolo. Ho lavorato sette ore e mezzo al giorno per i giovani laureandi fino al termine dei settantuno anni. Che cosa prevede la 194 per un embrione nelle mie condizioni, cioè con previsione d’invalidità del 100%?
I recenti gravissimi fatti di cronaca hanno riaperto in me una ferita sanguinante dall’entrata in vigore della 194. Per me è stato come se mi avessero tolto la cittadinanza italiana. La 194 prevede l’aborto terapeutico e se si prospetta la nascita di un figlio con invalidità del 100% di fatto lo si elimina. Quindi l’Italia non accetta come proprio cittadino un diversamente abile al 100% come me.

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Errori di prospettiva

La contrapposizione tra naturale e culturale, tra lo spontaneo e l’acquisito, è, come molte altre contrapposizioni, meno solida di quanto a prima vista possa sembrare.
Le persone non vivono nell’irraggiungibile iperuranio: nascono sempre in un determinato luogo e nella loro vita vanno incontro a determinate esperienze e non ad altre. Chiedersi quali sarebbero le proprie idee politiche se si fosse nati e cresciuti in Unione Sovietica o negli Stati Uniti è una domanda oziosa, utile per mettere alla prova le proprie certezze, ma nulla di più. L’unico modo per distinguere ciò che è naturale da quello che è culturale è lavorare sulle differenze: ad esempio, dal momento che gli uomini parlano ovunque, si suppone che il linguaggio faccia parte della natura umana e non della sua cultura, ma anche qui è difficile distinguere con precisione. Continua a leggere “Errori di prospettiva”

Homo erectus

Supponiamo che l’Homo erectus esista ancora ai nostri giorni. Meriterebbe lo stesso rispetto dovuto all’Homo sapiens? Dovremmo comportarci con loro come facciamo con gli scimpanzé?

Questa curiosa, e intrigante, domanda è stata posta a AskPhilosophers.
La risposta di Marc Lange è ineccepibile:

Non sono così sicuro che *dobbiamo* comportarci con gli scimpanzé come *effettivamente* ci comportiamo!

Comunque, come dovremmo comportarci con gli scimpanzé dovremmo presumibilmente comportarci anche con esemplari di Homo erectus (se questi esistessero ancora). Probabilmente scimpanzè e Homo erectus possiedono in egual misura le stesse caratteristiche importanti per il rispetto morale, come la capacità di provare dolore, la capacità di pensare, sapere e progettare, l’autocoscienza e così via.
Il fatto che l’Homo erectus appartenga al nostro stesso genere (Homo) e abbia uno stretto legame evolutivo con noi non dovrebbe avere molta importanza per lo status morale dei rappresentanti di questa specie. Altrimenti si tratterebbe di specismo – ehm, genismo (?).

La pessima traduzione dall’inglese è del sottoscritto.

Assente giustificato

Milano, fermata del tram.

Ludovico: Secondo me, il Don Giovanni è la migliore opera di Mozart

Passante: Come scusi?

Ludovico: Dicevo che secondo me il Don Giovanni è molto meglio delle Nozze di Figaro o del Flauto magico, senza nulla togliere a queste opere, ovviamente.

Passanteperplesso: Sì, certo. È ovvio.

Ludovico: Il merito comunque è sicuramente anche di Lorenzo Da Ponte, il librettista dell’opera. Continua a leggere “Assente giustificato”