Fonte quasi inevitabile di fondamentali errori di fatto sarà sempre certamente la stessa enormezza dei delitti puniti con la pena di morte. Può parere strano ma è psicologicamente esatto che l’atrocità del delitto concorre moltissimo a determinare la convinzione di responsabilità dell’imputato. L’alibi del ladruncolo di galline trova sempre una critica serena e forse ottimistica. Le difese di fatto del presunto sventratore di fanciulli trovano nel giudice stati s’animo appassionati, idee preconcette, tutto uno spirito sdegnato del delitto, avito di giuridica reazione, chiuso, involontariamente ma ermeticamente, alle dubbiezze, intento ed inflessibile nella contemplazione e nel desiderio di giustizia assoluta che è l’opposto della giustizia relativa. Chi ha appena un po’ di pratica delle cose giudiziarie, non può dissimularsi che questo è vero. E c’è la sua profonda ragione. Alla società interessa molto di più, ai fine della pubblica quiete, dell’ordine, dell’autorità, che un certo delitto atrocissimo, o più spesso una serie di delitti tremendi commessi da ignoti, siano esemplarmente puniti che non di raggiungere il vero autore. Queste superiori esigenze di pubblica quiete, d’ordine, di autorità, sono soddisfatte quando il delitto che commosso e fatto tremare non resta impunito. L’equilibrio si ristabilisce in quanto alla violazione è contrapposta la sanzione pubblica, esemplare, tranquillizzate. Il materiale raggiungimento dell’autore importa assai meno perché ciò che può compromettere la compagine sociale è l’allarme, non il male intrinseco del delitto, e perché la pericolosità ulteriore del crimine è spesso esaurita dall’esplosione delittuosa passata, dall’interesse a non richiamare con nuovi delitti il sospetto sui precedenti, dall’età, ecc. Tutti, dunque, siamo mossi da questa molla e concorriamo a formare l’ambiente che rende più facile l’errore giudiziario proprio in quei processi in cui si dovrebbe più studiosamente evitarlo perché è in giuoco la testa.
Paolo Rossi, La pena di morte e la sua critica, Genova, Libreria Mario Bozzi, 1932 (il brano riportato è alle pp. 234-235 di La pena di morte. Scetticismo e dogmatica, Pan Milano, 1978)
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HB 1572
Imparate a memoria questa sigla, perché potrebbe diventare molto importante: HB 1572. Sta per House Bill 1572 ed è una proposta di legge dello stato americano del North Dakota, attualmente in discussione al senato, che intende fornire pari diritti e pari dignità a tutti gli esseri umani indipendentemente dalla fase di sviluppo biologico nella quale si trovano (A Bill for an Act to provide for equality and rights to all human beings at every stage of biological development).1
Tutto, o quasi, si gioca sulle definizioni iniziali: Continua a leggere “HB 1572”
- Il testo è, ovviamente, in inglese giuridico, e la mia traduzione sarà quindi due volte lacunosa: si accettano suggerimenti e correzione per la resa in italiano dei vari termini ed espressioni. [↩]
Un edificio fatto dall’uomo
In un celebre passo di Due dogmi dell’empirismo (Two Dogmas of Empiricism), Quine descrive così le nostre conoscenze: Continua a leggere “Un edificio fatto dall’uomo”
Il ritorno delle Erinni
Ci sono libri che, anche solo a prenderli in mano e sfogliarli, hai la chiara e netta sensazione di non stare leggendo un testo qualsiasi. Ci sono libri che ti danno l’impressione di avere di fronte l’origine di qualcosa.
L’Orestea di Eschilo è uno di questi libri.
Eva Cantarella ne tratteggia splendidamente la storia nel suo Ritorno della vendetta (Rizzoli 2007). Nell’Agamennone, la prima delle tre tragedia che compongono l’Oresta, Clitennestra, per vendicare la morte della figlia Ifigenia, uccide il marito Agamennone. Nelle Coefore suo figlio Oreste, per vendicare l’uccisione del padre, uccide la propria madre e fugge inseguito dalle Erinni, le dee della vendetta. Infine, nelle Eumenidi questa catena di vendette e violenze viene arrestata da Atena: a giudicare Oreste per le sue azioni sarà un tribunale appositamente istituito. Le Erinni, le dee della vendetta, diventano Eumenidi, dee della giustizia.
Parlare del ritorno della vendetta, come fa Cantarella1, è un errore: le Erinni non se ne sono mai andate. Sono sempre state con noi; ogni tanto si fanno sentire un po’ più del solito, ma non ci hanno mai abbandonato.
Questa è la lettera che qualcuno, scandalizzato dalla mancata detenzione in via cautelare di uno stupratore, ha scritto alla redazione di un quotidiano gratuito:
Ha ragione la ragazza violentata ad aver sete di vendetta per l’aggressore di Capodanno. La giustizia, ormai lo abbiamo capito, è dalla parte del criminale per spirito di appartenenza e per business per i media, nient’altro ha valore. E allora cerchiamo di far passare le umiliazioni che subiamo noi comuni cittadini da questi estemporanei politici da fiera. Facciamo evacuare sangue e paura ai loro familiari e chissamai che finalmente si capisca fin dove arriva il male.
Sul Corriere della Sera, per fortuna, è possibile leggere il lucido commento di Luigi Ferrarella (grazie a Leibniz per la segnalazione):
Nell’ordinamento vigente, infatti, la custodia cautelare non è affatto l’anticipazione del futuro «castigo» che il «colpevole » meriterà per il delitto commesso, non è un antipasto della punizione, non è il modo di risarcire la parte lesa per il male patito e la collettività per l’infrazione alle regole.
Ed è ovvio che sia così: il processo non è ancora avvenuto, e sarebbe una ben strana giustizia quella che punisce il colpevole prima del giudizio.
Le Erinni sono con noi. Che trovino così tanto spazio sui giornali, e non mi riferisco solo alla lettera, è preoccupante.
- e come suggerisce il titolo che ho scelto per questo testo [↩]
Diritti universali?
Tra pochi giorni ricorrerà il sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata il 10 dicembre 1948 con 48 voti favorevoli, nessuno contrario e ben 8 astenuti.
Ad astenersi furono i paesi del blocco sovietico, il Sudafrica e l’Arabia Saudita.
Curioso come una dichiarazione universale venga approvata soltanto da una parte, per quanto larga, delle nazioni.
Evidentemente questa dichiarazione venne percepita come espressione di una realtà storica particolare e non immediatamente adattabile alle altre nazioni. Con motivazioni diverse, i paesi comunisti, il Sudafrica dell’apartheid e l’Arabia Saudita islamica (alla quale si aggiunsero successivamente altri paesi musulmani arrivando, negli anni ottanta, alla Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo) non sentivano propria la dichiarazione del 1948. Continua a leggere “Diritti universali?”
Diritto di uccidere
Esiste il diritto di uccidere?
Il filosofo e giurista Stephan Kinsella risponde affermativamente a questa domanda, e lo fa con un dimostrazione, quasi un teorema. Il suo argomento è riassunto con uno schema da Maurizio Colucci sul suo blog.
Credo che il ragionamento di Kinsella sia per certi versi affine a quello di Vittorio Mathieu in Perché punire; credo perché non ho (ancora) letto né l’articolo di Kinsella né il libro di Mathieu (sono pigro). Continua a leggere “Diritto di uccidere”
Che ne è del giurista?
Che ne è del giurista, il quale si trova di fronte a un diritto senza verità? a norme non sorrette né da fede religiosa né da autorità di tradizione?
Egli, oramai chiuso nella gabbia del diritto positivo, sa che non c’è una logica eterna del diritto, valevole in tutti i luoghi e in tutti i tempi. Una tal logica presupporrebbe proprio ciò che il giurista moderno nega e rifiuta: l’esistenza di un diritto perenne, divino o naturale o razionale, di cui quella logica rispecchierebbe i contenuti. Ci sono tante logiche quanti diritti: ossia nozioni e concetti, utilizzabili bensì per l’intelligenza di una norma o di un gruppo di norme, ma, al pari di queste, mutevoli relativi precarî.Natalino Irti, Nichilismo e concetti giuridici, Editoriale Scientifica, 2005, pp. 18-19
Legge naturale
Nel 1660 Galileo Galilei era morto da 18 anni, e ne erano passati ben 28 dalla pubblicazione del suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Keplero, invece, era scomparso da 30 anni, e 39 anni prima aveva finito il suo Epitome astronomia Copernicanae.
Insomma, nel 1660 il sistema eliocentrico era sicuramente noto, almeno come ipotesi. Eppure John Locke, nei suoi Essays in the Law of Nature, scritti appunto tra il 1660 e il 1664, scrive:
Un volta dunque stabilito questo, di cui sarebbe illecito dubitare, che cioè una qualche natura divina governa il mondo, in quanto ha ordinato al cielo di muoversi con movimento rotatorio ininterrotto, alla terra di restare immobile, alle stelle di splendere […].
I saggi di Locke riguardano la legge naturale: un problema di filosofia del diritto, non di filosofia naturale, ed è quindi comprensibile il suo riferimento al tradizionale sistema geocentrico invece del nuovo sistema eliocentrico.
Rimane il fatto che Locke, in questo passaggio, mi dia l’impressione di fare, con rispetto parlando, il paraculo. Evidentemente, anche questa è una legge naturale.
Disobbedisco
Nic Davison, il proprietario polacco del ristorante Kuchnia Polska nel South Yorkshire, dovrà pagare una multa di 2000 sterline perché vendeva la birra Zweic in boccali da 0,3 e 0,5 litri, contrariamente a quanto stabilito dalla legge: la Weights and Measures, del 1988, autorizza infatti la vendita di birra alla spina unicamente in contenitori da 1/3 di pinta o multipli di mezza pinta. Continua a leggere “Disobbedisco”
Hans e i capelli rossi
Nel 1926, Alexander Hold-Ferneck pose la seguente domanda ad Hans Kelsen: «Se a un legislatore impazzito venisse in mente di ordinare la fucilazione di dieci uomini con i capelli rossi, anche questa decisione andrebbe considerata “giustizia” e “diritto”?».
Kelsen, senza alcuna esitazione, rispose: «Sono un giurista, non un esperto di morale».
Questo scambio di battute venne raccontato, credo per la prima volta, da Carl Schmitt in una intervista del 6 febbraio 1972.1
Con questo aneddoto, Schmitt voleva verosimilmente dimostrare, o comunque insinuare il ragionevole dubbio, che anche Hans Kelsen avrebbe appoggiato il nazismo come, di fatto, fece Schmitt. Continua a leggere “Hans e i capelli rossi”
- intervista tradotta in italiano in C. Schmitt, Un giurista davanti a se stesso, a cura di G.Agamben, Vicenza, Neri Pozza, 2005, pp. 41-66, la versione qui riportata non è quella presente in quel libro, che non ho sottomano. [↩]