Hilary Putnam: Scienza e Filosofia

Hilary Putnam (Foto di Guido Castagnoli)Io ci sarò.

Scienza e filosofia
Lectio Magistralis
Hilary Putnam. Introduce: Mario De Caro

Secondo una concezione molto diffusa, la filosofia non ha nulla a che fare con le scienze naturali né per il metodo, né per l’oggetto, né per le finalità. Secondo un punto di vista opposto – che negli ultimi anni ha guadagnato ampio credito soprattutto in ambito anglosassone – la filosofia va concepita in continuità con la scienza: ciò implica che i concetti filosofici non riconducibili, almeno in linea di principio, ai concetti scientifici debbano essere abbandonati. Putnam difende una posizione intermedia, secondo la quale le dottrine filosofiche debbono essere compatibili con quanto la scienza ci dice del mondo, ma in un quadro di pluralismo concettuale che fa sì che la filosofia non perda legittimità e autonomia.

Mario De Caro
Mario De Caro insegna Filosofia morale all’Università Roma Tre. Ha insegnato anche alla Tufts University ed è stato Visiting Scholar al MIT e Fulbright Fellow alla Harvard University. Ha scritto, tra l’altro, “Dal punto di vista dell’interprete” (Carocci, 1998) e “Il libero arbitrio” (Laterza, 2004) e curato “Interpretations and Causes” (Kluwer, 1999), “Cartographies of the Mind. Philosophy and Psychology in Intersection” (Springer, 2007, con Massimo Marraffa e Francesco Ferretti) e “Scetticismo” (Carocci, 2007, con Emidio Spinelli).

Hilary Putnam
Professore emerito alla Harvard University, è uno dei più importanti filosofi degli ultimi decenni. Ha offerto contributi fondamentali alla filosofia della matematica, della fisica, del linguaggio e della mente, nonché alla metafisica, all’etica e alla teoria della conoscenza. Con la sua teoria funzionalistica della mente è stato uno dei fondatori della scienza cognitiva (della quale è divenuto poi acceso critico). Come matematico, infine, ha contribuito alla risoluzione di uno dei celebri “Problemi di Hilbert”.

Foto di Guido Castagnoli

Teorie scientifiche e teorie metafisiche

Giorgio Israel, a proposito del rapporto tra teorie scientifiche e metafisica, scrive:

Nessuna persona seria potrà sostenere che l’idea [scientifica] della fissità delle specie non abbia un’ispirazione teologica.

A costo di passare per persona non seria (un pericolo che corro volentieri), mi chiedo se non si possa capovolgere la frase:

Nessuna persona seria potrà sostenere che l’idea [teologica] della fissità delle specie non abbia un’ispirazione scientifica.

Detto altrimenti: i primi “teologi”, i primi cioè che parlarono in senso divino della fissità delle specie, scelsero la fissità invece della instabilità o mobilità per questioni legate alla divinità e alla natura oppure, più banalmente, perché osservarono che le specie erano stabili? In quel momento erano più scienziati o più filosofi?

Citazioni onanistiche

Physics is to mathematics as sex is to masturbation.
Richard Feynman

Masturbation is to sex as philosophy is to reality.
Karl Marx

La fisica sta alla matematica come il sesso alla masturbazione.
Richard Feynman

La masturbazione sta al sesso come la filosofia alla realtà
Karl Marx

Un filosofo appassionato di matematica, evidentemente, si masturba sia con la mano destra che con quella sinistra…

Fonte delle citazioni: Wikiquote

Perché incontrarci?

I filosofi hanno questa malsana predilezione per lo stolto che osserva il dito mentre il saggio gli indica la luna: di fronte a una domanda, invece di pensare alle possibili risposte, il filosofo vuole ulteriori dettagli, cerca di scoprire perché porre proprio quella domanda e non un’altra, confronta varie domande eccetera. Continua a leggere “Perché incontrarci?”

Una quinta del tempo

Sull’origine dell’Universo:

Thomas Mann amava asserire che l’origine è sempre una quinta del tempo. Il che è come dire: non c’è origine. Ogni volta che siamo di fronte all’origine, in realtà siamo di fronte all’originato, non all’origine. Non ha senso pensare un’origine «una» di cui si possa dire: questa è l’origine. Ecco, per l’intelligenza umana, un paradosso insostenibile.

Ogni volta che si parla di origine si opera quella che io chiamo la «retrocessione del testimone». Non si può parlare di altro modo. Non è infatti possibile alcun discorso sull’origine che non comporti la retrocessione del testimone. Prendendo un esempio dalla cosmologia odierna: si dice, per esempio, 10-40 secondi dall’origine dell’Universo, o dal Big Bang. Che cosa significa questa frase se non per esempio questo: se un osservatorio attuale, ad esempio quello di Harvard, fosse stato presenta alla 10-40 dal Big Bang, avrebbe osservato quello che noi diciamo che ipoteticamente sarebbe successo. Questo, però, senza qualificazioni, è privo di senso. Anzitutto, bisognerebbe chiarire qual è il privilegio di questo osservatore di oggi rispetto ad altri osservatori. Perché l’insieme delle pratiche, delle tecniche, delle teorie di un osservatorio odierno avrebbe un privilegio rispetto all’origine? Intendo proprio l’origine in quanto tale, non semplicemente l’origine come attuale problema scientifico. Come, rispetto all’origine in quanto tale (che è poi ciò di cui la scienza pretenderebbe di parlare), le pratiche attuali avrebbero un privilegi, per esempio rispetto alle osservazioni astronomiche dei Magi persiani? Questo non significa che io, come uomo del mio tempo, non sia ovviamente inclinato ad accogliere le opinioni della scienza contemporanea a preferenza di quelle dei Magi: però questo privilegio va argomentato e chiarito.

Carlo Sini, “Ha davvero senso parlare di origine dell’Universo?” in G. V. Coyne, G. Giorello, E. Sindoni (a cura di) La favola dell’universo, Casale Monferrato, Piemme, 1997

Filosofia e letteratura

Padre: Leggi qui

Ma chi si sente male sono io, non la Manica, disse Ill, quando la nave beccheggia, quando vedo la costa salire e scendere. E teneva gli occhi chiusi, un poco sofferente. Poi li apre di colpo e si meraviglia: posso fissare con te l’orizzonte e allora tutto mi sembra quasi sopportabile.
Non ero stata io che ultimamente nell’autobus avevo detto: soltanto chi è senza anima, non sta male in queste condizioni, disse Ill dopo un poco, gli occhi di nuovo chiusi.
Era un punto di vista buddista o una fondamentale critica nei miei confronti? Cosa è meglio: vomitare, ma con l’anima, o fare a meno dell’anima e stare allegri?

Valentino Braitenberg, La vergine e i filosofi, Traven Books, 2006

Figlio: Ho letto. Cosa vuoi che ti dica?

Padre: Cosa mi dici della domanda finale? Cosa rispondi?

Figlio: Non è una domanda. È una frase con un punto interrogativo alla fine

Padre: Lo sapevo: troppo letterario per te!

Moglie (del figlio) e Nuora (del padre): rivolgendosi al figlio-marito – Come sei spocchioso.

Figlio: …

Metri e chili

Un confronto tra scienza:

Il rischio è quello di fare due pesi e due misure nel vero senso della parola: il kilogrammo ufficiale (unica tra le unità di misura definita in relazione a un manufatto e non a una proprietà fisica), custodito a Parigi al Bureau International des Poids et Mesures di Sèvres, non è più quello di una volta e pesa 50 microgrammi in meno.

La massa standard fu creata nel 1875 ed è costituita da un cilindro retto a base circolare di 39 mm di altezza e diametro, composto da una lega di platino e iridio. Esistono altri prototipi nazionali che ogni 10 anni vengono confrontati con l’originale. Tutti gli esemplari sono identici e conservati nelle stesse condizioni, con una scrupolosa prudenza nell’esporli alla luce o a qualsiasi variabile esterna. Eppure le Grand Kilo ufficiale sta perdendo peso e nessuno sa spiegarsi il perché. Questione di pochi microgrammi, per carità, ma gli esperti del centro internazionale dei pesi e delle misure considerano anche le variazioni infinitesimali e, giustamente, sollevano il problema con toni allarmati. Il fisico Richard Davis ammette di non trovare alcuna spiegazione plausibile, mentre l’esperto Michael Borys, dell’istituto di Braunschweig, ipotizza che siano gli altri prototipi a esser diventati più pesanti.

Emanuela Di Pasqua, Un kg non pesa più un kg, “Corriere della Sera”, 13 settembre 2007

e filosofia:

Di una cosa non si può affermare e nemmeno negare che sia lunga un metro – del metro campione di Parigi. – Naturalmente con ciò non gli abbiamo attribuito nessuna proprietà straordinaria, ma abbiamo soltanto caratterizzato la sua funzione particolare nel gioco del misurare con il metro. Possiamo esprimere ciò nel modo seguente: questo campione è uno strumento del linguaggio col quale facciamo asserzioni relative [alla lunghezza]. In questo gioco non è ciò che è rappresentato, ma è il mezzo della rappresentazione.

Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, §50

Poltrone e provette

Le mie argomentazioni sono generali e non si basano su fatti particolari della vita come noi la conosciamo.
Come tali sono state criticate da scienziati abbastanza privi di fantasia da pensare che lavorare come schiavi con provette bollenti (o con gelidi stivali fangosi) sia l’unico modo di fare delle scoperte scientifiche. Un critico si lamentava che le mie argomentazioni erano «filosofiche», come se fosse una condanna sufficiente.

Richard Dawkins, Il gene egoista, Capitolo 11, nota 1
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Qualche “filosofo”

Qualche “filosofo” ortodosso potrà obiettare che non si tratta di speculazione pura, ma ci sono molte contaminazione “scientifiche”.

Sergio Caredda, a proposito del libro Rosso. Uno studio sulla coscienza di Nicholas Humphrey.

C’è qualcosa che non va, se i filosofi obiettano alle contaminazioni scientifiche.
Ben vengano le virgolette a filosofo, dunque.

Verità plausibili

Carlo Cellucci, La filosofia della matematica del NovecentoCarlo Cellucci, nel suo La filosofia della matematica del Novecento (Laterza, 2007), oltre a tracciare un impietoso ritratto delle riflessioni di Frege, Hilbert, Brouwer e delle altre correnti filosofiche del XX secolo, espone brevemente il programma di una filosofia della matematica futura e, soprattutto, matura.

L’idea forte di Cellucci è: la filosofia che si occupa di chiarire ciò che già sappiamo è irrilevante, per essere rilevante deve contribuire al progresso della conoscenza. Occorre quindi lasciar perdere il problema dei fondamenti, e concentrarsi sulla scoperta: la matematica non è dimostrazione di teoremi, ma soluzione di problemi. Continua a leggere “Verità plausibili”