Diritto alla vita

Molte persone considerano questo diritto [il diritto alla vita] il fondamento di tutti gli altri diritti, e giustificano questa opinione con il fatto che la vita è la condizione preliminare per l’esercizio di tutti gli altri diritti. Empiricamente, niente di più incontestabile. Tuttavia, se l’essere umano, fra tutti i viventi, può esigere il rispetto di diritti particolari perché è capace di un impegno libero e incondizionato, e perché la violazione di questi diritti può portarlo a preferire la morte, è evidente che la vita, condizione di tutto il resto, non è per lui il valore supremo o assoluto.
Del resto, possiamo domandarci che cosa significhi il diritto alla vita per un essere che può morire in ogni istante, e lo sa, che è certo alla fine di morire, e lo sa, anche se non sa né dove né quando né come.
L’enunciato del diritto alla vita ha tuttavia un senso forte: esso significa che il regno della forza, riconoscibile nella natura per il fatto che “tutto mangia tutto”, vale a dire che il più forte mangia il più debole, si ferma sulla soglia dell’universo umano nel quale il più debole ha diritto alla protezione della forza collettiva. Qui si compie il rovesciamento decisivo di cui tutto il resto, potremmo dire, rappresenta soltanto delle varianti.
Bisogna poi riconoscere che l’univocità dell’esigenza di questo diritto privilegiato è più apparente che reale. Ci accorgiamo presto che esso comporta dei gradi. A partire da quale momento l’embrione umano, nel ventre della madre, ha diritto alla vita? Detto altrimenti: a partire da quale momento esso appartiene all’ordine umano ed è vietato distruggerlo? Inversamente: quando la sofferenza diventa insopportabile, il diritto alla vita è sostituito dal dovere di vivere. A partire da quale grado di sofferenza, o di perdita di coscienza, il dovere di vivere consente il soccorso della morte?
A ben guardare, il diritto alla vita non è esattamente un diritto umano. Esso corrisponde al «Non uccidere» della Bibbia. Salvaguarda la vita come dato biologico, non la possibile libertà responsabile. Da solo non implica né rispetto né dignità. Si situa sul limite, là dove la natura (la vita) attende da altrove il suo senso umano. Ecco perché l’assoluto in cui si radicano i diritti umano può sempre mettere la vita in questione e, lungi dal salvarla a ogni costo, indurre a preferire la perdita della vita alla mutilazione della libertà.

Jeanne Hersch, I diritti umani da un punto di vista filosofico, Bruno Mondadori editore, 2008, pp. 90-92