Considerazioni linguistiche

Pieter Bruegel il Vecchio, La Torre di BabeleUn viaggio attraverso Germania, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia e poi di nuovo Germania significa affrontare salti linguistici notevoli.

Fortunatamente l’inglese lo conoscono un po’ tutti, e anche le interazioni linguistiche più impegnative si possono risolvere tranquillamente a gesti (così è stato a Vilnius, dove la matrona dell’albergo, praticamente una affittacamere, parlava solo lituano, polacco e russo). Ad ogni modo, le guide turistiche forniscono un mini-vocabolario, un insieme di vocaboli ed espressioni utili per la sopravvivenza, quel minimo per non confondere, nei tabelloni degli orari, gli arrivi con le partenze o i giorni festivi con quelli feriali.

Una delle espressioni tradotte è “Parla inglese?”.
Il senso di questa espressioni mi sfugge. Di solito uno inizia a parlare inglese (o italiano: non si sa mai), e se l’altro non capisce si passa a una altra lingua o, appunto, ai gesti, confidando sulla disponibilità e sul buon senso.
Secondo la guida, invece, per le vie di Kaunas o di qualche altra città della Lituania, dovrei chiedere a un passante, con la guida in mano per ricordarmi la pronuncia, “Ar Jūs kalbate angliškai?”
E se questo mi risponde, sempre in lituano “Mi spiace, non parlo inglese, ma lei un po’ di lituano lo conosce, quindi mi dica come posso aiutarla”? O, peggio ancora, “Quello che ha appena detto non ha alcun senso: il suono ricorda vagamente una frase in lituano, ma molto vagamente.”? Continua a leggere “Considerazioni linguistiche”

Dall’esperienza all’ontologia

Delizioso fumetto filosofico trovato grazie a Corrazio-Gödel:

Dall’esperienza all’ontologia

All’inizio c’è l’esperienza, d’accordo, e l’ultima vignetta è sicuramente ontologia. Ma la seconda vignetta? L’uomo che parla e descrive, è esperienza o ontologia?

Relativismo linguistico

La realtà viene semplicemente descritta tramite il linguaggio oppure viene anche conosciuta attraverso le categorie linguistiche? Detto altrimenti: se usassimo altre parole la realtà assumerebbe un aspetto diverso?

La domanda suona un po’ ridicola: se la verità è adaequatio rei et intellectus, è difficile pensare che, ad adeguarsi, sia la realtà e non l’intelletto. Tuttavia, una ricerca mostra come i russi, che usano due parole distinte per blu chiaro e blu scuro, riescono meglio a riconoscere questi colori (i dettagli dell’esperimento su Psicocafé).
Tommaso d’Aquino, del resto, l’aveva previsto: “cognitum est in cognoscente per modum cognoscentis” (l’oggetto conosciuto è nel soggetto conoscente in conformità al soggetto conoscente).

Una sorta di relativismo linguistico (la realtà è almeno parzialmente relativa al linguaggio) comunque limitato: un linguaggio più potente aiuta a discernere i colori, ma di certo non permette di trasformare un oggetto rosso in uno blu semplicemente cambiando nome.
In poche parole: non basta chiamare terrorista qualcuno per trasformarlo in un membro “di un gruppo o di un movimento politico che si avvale di metodi illegali ed efferati per sovvertire il regime politico esistente” (De Mauro). Ma questa è un’altra storia.

Guerre non convenzionali

Max H. Fisch definì Charles Sanders Peirce “l’intellettuale più originale e più versatile che l’America abbia mai prodotto” (citato sul sito Charles S. Peirce Studies).
I suoi interessi furono effettivamente molteplici e non stupisce troppo scoprire che si improvvisò, con ottimi risultati, detective. A raccontare tutto ciò sono Thomas A. Sebeok e Jean Umiker-Sebeok in “Voi conoscete il mio metodo”: un confronto fra Charles S. Peirce e Sherlock Holmes (in U. Eco e T. A. Sebeok (a cura di); Il segno dei tre; Bompiani 1983).

Charles Sanders PeirceNel 1979 Peirce si imbarcò su un piroscafo per raggiungere New York. Sceso a terra in seguito ad un leggero malora, si accorse di aver lasciato in cabina il soprabito e un costoso orologio Tiffany, che ovviamente non trovò più al suo ritorno.
Peirce si rivolse alla celebre agenzia investigativa Pinkerton che ricuperò, ad un banco di pegni, l’orologio senza la catena ma non riuscì a identificare il colpevole e neppure a trovare il soprabito. Continua a leggere “Guerre non convenzionali”

Modelli e stereotipi

Il servizio sanitario nazionale della Scozia si è accorto che le lesbiche, i gay, i bisessuali e i transgender corrono un rischio significativo per la propria salute fisica, psicologica ed emotiva. Ne è nato LGBT Health Scotland.
Tra le varie pubblicazioni, sta suscitando un certo scalpore Good LGBT Practice in the NHS: questo documento contiene le linee guida per garantire alle persone LGBT un equo accesso alle risorse del sistema sanitario. Particolare attenzione è riservata al linguaggio: il testo raccomanda in più occasioni di non usare espressioni discriminatorie. Occorre creare un ambiente il più possibile aperto e accogliente. Continua a leggere “Modelli e stereotipi”

L’immagine mi dice se stessa

«L’immagine mi dice se stessa», vorrei dire. Cioè, il suo dirmi qualcosa consiste nella sua propria struttura, nelle sue forme e nei suoi colori.
Un caso del genere si avrebbe, per esempio, se «mi dice qualcosa», oppure «è una immagine», volessero dire: mostra una qualche combinazione id cubi e cilindri.

«Mi dice qualcosa» può voler dire: mi racconta qualcosa; è una storia.

Mi dice se stessa come mi dicono se stessi una proposizione, un racconto.

Allora il concetto dell’immagine che racconta non è simile al concetto del quadro di genere (o del quadro d’una battaglia)? E se volessi descrivere che cosa sia il quadro di una battaglia non avrei bisogno di riferirmi a una realtà fuori dell’immagine: ma mi basterebbe parlar di uomini dipinti, di cavalli dipinti, di cannoni dipinti, ecc.

«L’immagine mi dice qualcosa»: come se usasse parole; qui ci sono occhi, bocca, naso, mani, ecc., ecc. Paragono l’immagine a una combinazione id forme linguistiche.

Ma il sistema del linguaggio non appartiene alla medesima categoria cui apaprtiene un’esperienza mmediata.
L’esperienza tipica che si prova mentre si usa un sistema, non il sistema. (Confronta: significato della parola «o» e sentimento dell’o).

Ludwig Wittgenstein, Grammatica filosofica, §121 (trad. it. di M. Tinchero)

Colpo di testa

Breve riassunto dei fatti, a beneficio di quei pochi che leggeranno questo testo tra qualche settimana, quando tutta la questione si sarà, finalmente, sgonfiata.
Durante la finale dei mondiali di calcio, disputata da Italia e Francia, quando mancano pochi minuti alla fine dei tempi supplementari, il difensore italiano Marco “Matrix” Materazzi dice qualcosa, verosimilmente degli insulti, all’attaccante francese Zinédine “Zizou” Zidane e quest’ultimo reagisce colpendo il primo con una violenta testata.
L’arbitro non ha visto ma, una volta informato sembra da un assistente, espelle il calciatore francese.

Sui risvolti sportivi della vicenda non ho molto da dire: nella assoluta ignoranza delle usanze e dei regolamenti calcistici, mi astengo da qualsiasi opinione.
Sugli aspetti non sportivi, invece, si possono fare un paio di osservazioni interessanti. Continua a leggere “Colpo di testa”

Scienza e filosofia

A volte i filosofi si lasciano andare a considerazioni estemporanee, pretendendo di determinare i fatti con le parole: si aspettano che il loro sapere possa determinare il mondo, aiutare a scoprire la realtà. È come se un professore di italiano sentenziasse che le rane sono tutte femmine mentre i rospi sono tutti maschi, appunto perché “rana” è una parola femminile mentre “rospo” è maschile.

In questo caso la filosofia è effettivamente una inutile attività, forse dannosa e sicuramente criticabile.
A volte anche gli scienziati si lasciano andare a considerazioni estemporanee, pretendendo di determinare le parole a partire dai fatti, il significato dai dati di fatto. Come se un professore di biologia stabilisse che si deve dire “la rana” quando è femmina, “il rano” quando è maschio.

In questo caso è la scienza ad essere attività inutile e, forse, persino dannosa.
Le parole non devono e non possono determinare i fatti, ma cercare di descriverli; i fatti non devono e non possono determinare le parole, ma semplicemente resistere loro, rifiutando le descrizioni errate e permettendo quelle valide.

Ma questo quale dei due professori lo deve dire: quello di italiano o quello di biologia?

Mente, Cervello e Linguaggio

Come Searle ha ricordato recentemente, se nella seconda metà del secolo scorso la filosofia della mente ha preso il posto della filosofia del linguaggio nel ruolo di “filosofia prima”, è perché la maggior parte dei filosofi ha riconosciuto che la filosofia del linguaggio era solo una parte della filosofia della mente.

Così Maurizio Ferraris nel già ricordato discorso per il conferimento a Searle del premio “Mente e Cervello”. Continua a leggere “Mente, Cervello e Linguaggio”

Dire la verità

Comunicare significa condividere informazioni, legare o costruire insieme conoscenze.
Questa bellissima attività, alla quale l’uomo dedica una buona parte della propria esistenza, avviene esclusivamente attraverso il linguaggio. È tuttavia un errore concludere che il linguaggio serva principalmente o esclusivamente per comunicare, sono molti i fenomeni linguistici poco o per nulla comunicativi: per dirla in poche parole, dal momento che non solo i matti parlano da soli, il linguaggio non serve solo a comunicare.

Se la sua funzione essenziale non è comunicare, a cosa serve il linguaggio?
Una prima e poco soddisfacente risposta è: non serve a nulla, non ha uno scopo preciso. Si tratta semplicemente di un accidente, è il frutto del caso o dell’evoluzione: le ciliegie sono rosse, i cani scodinzolano e l’uomo parla. Continua a leggere “Dire la verità”