Democrazia e poteri contromaggioritari

Che cosa è la democrazia? Ok, quando si inizia con una domanda così di solito va a finire male – o almeno così capita nei dialogi socratici, e la filosofia ci ha messo un bel po’ di tempo per smettere di cercare l’essenza delle cose.

A ogni modo, diciamo che possiamo definire la democrazia come semplice criterio maggioritario: siamo d’accordo di mettere questa decisione ai voti e che tutti si adeguano al risultato, anche se non lo condividono. Oppure possiamo pensare di riempire l’idea di democrazia con altro, fondamentalmente con delle garanzie per i diritti e le libertà delle persone.

Al filosofo del diritto Mauro Barberis piace questa seconda ipotesi – e anzi la considera l’unica valida – e nel 2019 ha scritto un libro sul tema, Come internet sta uccidendo la democrazia, dedicato ad analizzare un fenomeno secondo lui nuovo, il populismo digitale che definisce “una democrazia presa alla lettera”, un’interpretazione testuale che ne stravolge il significato profondo.

Propongo qui una lunga citazione dal libro, che trovo particolarmente interessante, a proposito di una di queste garanzie: le istituzioni contromaggioritarie la cui difesa è indicata da Barberis come uno dei possibili rimedi al populismo digitale.

Oggi sia il Movimento 5 stelle, sia la Lega di Salvini – i due partiti al centro dell’analisi di Barberis – sono politicamente meno importanti di quando il libro è stato scritto e pubblicato, ma credo che la riflessione sul populismo rimanga attuale visto che quel modo di ragionare mi pare ancora presente.

Uso qui «contromaggioritario» nel senso della letteratura nordamericana sul judicial review, quel controllo di costituzionalità statunitense spesso accusato di essere antidemocratico. Se mai i suoi critici anglofoni si degnassero di studiare i sistemi costituzionali continentali, però, si accorgerebbero di questa differenza: in alcuni Stati degli Usa i giudici sono eletti dal popolo, mentre in Europa si pensa che una magistratura indipendente dal governo non possa essere eletta dalla stessa maggioranza che elegge quest’ultimo.

Sono contromaggioritari, in questo senso, non solo il potere giudiziario, corti costituzionali comprese, ma tutte le istituzioni oggetto del livore populista: presidente della Repubblica, agenzie indipendenti, organi sovranazionali… Bisognerebbe spiegare al popolo che sono proprio gli organi contromaggioritari a fare i suoi interessi, non i governi populisti che, come tutti i governi, fanno i propri interessi. Le istituzioni contromaggioritarie sono contro i governi, non contro il popolo.

Il primo rimedio alla politica populista, di tipo istituzionale o costituzionale, è appunto difendere le istituzioni contromaggioritarie distintive della liberaldemocrazia. Non tutti sanno che, nella storia, la democrazia è sempre durata poco. Nata nelle città antiche, trapiantata negli stati nazionali, oggi rischia di estinguersi dopo l’ulteriore trapianto sul web. Il primo rimedio, puramente negativo, è allora mettere in sicurezza le istituzioni contromaggioritarie: magistratura, stampa indipendente, gli stessi media

[…] Qui userò «costituzionalismo» [nel senso di] governo del diritto, e sosterrò che per garantirlo occorre difendere, contro istituzioni maggioritarie come parlamenti e governi nazionali, tre tipi di istituzioni. Intanto, istituzioni non politiche: scienza, università, ong. Poi, istituzioni contro-maggioritarie in senso stretto: magistratura, presidente della Repubblica, autorità indipendenti. Infine, istituzioni sovranazionali: Onu, Ue, grandi corti internazionali.

Una breve nota sul ‘credo’ e la ‘fede laica’ di Matteo Salvini

Ogni tanto il dibattito politico vola alto e uno slogan come il ‘Credo’ di Matteo Salvini – che sono ragionevolmente certo sia stato scelto perché strizza l’occhio sia al cattolicesimo sia al fascismo – porta a discussioni tra la teologia e l’epistemologia.

Breve riassunto del dibattito

Su Avvenire il teologo Giuseppe Lorizio si interroga sul senso di quella parola, “credo”, chiedendosi se regga una “mera opinione” oppure una “adesione certa e assoluta a una serie di verità o princìpi o valori”. Perché nel senso debole si può benissimo credere in alcune proposte politiche, considerandole utili o necessarie, ma nel senso forte quel credere andrebbe riservato – è un teologo che scrive, cosa vi aspettavate? – a Dio.

Pertanto, non si può in alcun modo intendere un ‘credo’ politico in senso religioso o cristiano.

Prima di passare alla replica di Salvini, una veloce analisi del materiale elettorale, giusto per capire se il ”credo” in questione sia da intendersi in senso forte o debole. Sembra esserci una sorta di documento programmatico, ma non l’ho trovato; però sul sito della Lega Nord troviamo sia i manifesti sia una breve presente presentazione:

Credo nella libertà, nel lavoro, nella meritocrazia, nel coraggio. In un Paese orgoglioso che finalmente torna a scegliere. In una Giustizia giusta, in una Sanità che non lasci indietro nessuno. Nel rispetto di regole e persone.
Credo in chi ha la forza di rialzarsi, in chi non molla mai, in chi ancora ha idee e princìpi.

Per quanto riguarda i manifesti, Salvini fa le seguenti affermazioni (vi risparmio le immagini con il suo volto sorridente):

  • Credo negli italiani (per la flat tax al 15%)
  • Credo che nessun italiano vada lasciato indietro (per togliere l’IVA su alcuni prodotti alimentari)
  • Credo nell’Italia sicura (per fermare gli sbarchi)
  • Credo in pensioni giuste e più spazio per i giovani italiani (per riformare le pensioni)
  • Credo nell’Italia pulita (per la reintroduzione dell’energia nucleare)

Al di là delle prevedibili ambiguità che presenta ogni slogan, direi che è abbastanza chiaro che quel “credo” non riguarda la proposta concreta bensì i valori (e le istituzioni) che la giustificano. Non è un “credo che sia necessario fermare gli sbarchi per avere maggiore sicurezza” bensì un “credo nell’Italia sicura e quindi dobbiamo fermare gli sbarchi”.

Questo non significa necessariamente che il suo sia un “credo” religioso: si può credere in un ideale anche in senso politico, nel senso di ritenere quell’ideale giusto. Ma è Salvini stesso, nella risposta a Lorizio, a specificare che il suo “credo” è più religioso che politico visto che parla esplicitamente di “un atto di fede laica” (parafrasando addirittura il pessimismo dell’intelligenza di Gramsci):

In una società liquida, sfiduciata, corrosa di relativismo, e infine sempre negativa, è importante tornare a ‘credere’ in qualcosa. È insieme l’ottimismo della ragione e della volontà. Credere è dunque l’opposto di dubitare.

E ancora:

Se il relativismo ha contribuito a corrodere la società occidentale, ritornare ad avere fiducia in valori e obiettivi alti è a mio avviso il presupposto per la rinascita del nostro Paese.

Dal credo alla fede

Ovviamente non condivido il presupposto salviniano che il relativismo abbia corroso la società occidentale (ammesso che esista davvero, una cosa chiamata “società occidentale”), ma quello che ho trovato interessante in questo scambio di opinioni è un altro punto.

Lorizio distingue – correttamente – tra una concezione “forte” (che preferisco chiamare religiosa) e una “debole” (che preferisco chiamare razionale o, in questo contesto, politica) di credere. Che poi è la differenza tra il dire “Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra” e il dire “credo che stia piovendo”: nel primo caso sto facendo una professione di fede, una adesione certa e assoluta sulla quale c’è poco da discutere, se non eventualmente a livello teologico; nel secondo caso sto facendo un’affermazione di cui tutto sommato non sono molto sicuro (altrimenti direi “so che sta piovendo” o semplicemente “piove”) e che apre a ulteriori discussioni e verifiche sperimentali (se vogliamo usare un termine così pomposo per il guardare fuori dalla finestra).

Salvini invece riformula questa distinzione: ignora il diverso atteggiamento epistemologico (“adesione certa e assoluta” da una parte e “ritenere vero qualcosa” dall’altra) ma punta tutto sulla differenza: il credo religioso ha per oggetto Dio, quello politico un ideale.
Passare da “credere” ad “avere fede” Salvini si sottrae al dubbio e alla discussione sia sui valori in sé, sia sulle istituzioni che li incarnano, sia sull’applicazione concreta di quei valori. Intendiamoci: non è un problema che Salvini sia convinto che nessun italiano debba essere lasciato indietro o che l’Italia debba essere sicura; il problema è che pretende di sigillare queste idee con il marchio della ”fede laica” sostenendo esplicitamente che questi sono punti su cui non ci possono essere dubbi. Quando invece cose da dire ci sarebbero: perché “nessun italiano” invece di “nessuna persona”? La sicurezza è un bene in sé o un mezzo? Quali sono le priorità tra questi principi? Come bilanciarli in caso di conflitto?

Il tutto è ovviamente funzionale all’idea di Salvini di avere un unico sistema di valori condiviso (il suo), senza neanche prendere in considerazione l’idea che alla base della società possa anche esservi la coesistenza pacifica di più sistemi di valori e che le istituzioni debbano in primo luogo mantenere questa convivenza. La fede – in senso religioso e laico – è del resto un modo molto efficiente per tenere insieme gruppi con visioni non necessariamente coincidenti. Ne scrive, relativamente ai conservatori negli Stati Uniti, la sociologa Francesca Tripodi in The Propagandists’ Playbook. Anche se non tutti i cristiani sono conservatori e non tutti i conservatori sono cristiani, la fede in Dio, nel Paese, nelle forze dell’ordine o nel libero mercato permettono di superare le divergenze:

Nonetheless, the concept of faith, whether it be in God, in country, in the police, or in a free market, creates an ideological dialect that resonates with conservative voters across the country.

Dalla fede alla fiducia (e alla speranza)

Giustamente uno potrebbe chiedere quale sarebbe l’alternativa a questa “fede laica”. Una l’ho già indicata: il credere nel senso razionale di ritenere vero qualcosa, restando aperti alla discussione – se costruttiva, ovviamente: non vedo molto senso nel parlare di uguaglianza con uno convinto della superiorità di chi ha la pelle bianca.

Ci sono poi altri due concetti che curiosamente non figurano in questo dibattito. Il primo è la fiducia: soprattutto se parliamo di istituzioni umane – come la polizia, il governo, la comunità scientifica… – avere fede, vale a dire una adesione certa e assoluta, può essere pericoloso; meglio chiedersi se, e a quali condizioni, queste istituzioni si meritano la nostra fiducia.
Il secondo concetto – al quale in realtà Salvini accenna quando parla di “ottimismo della volontà” – è la speranza: anche se non ho fiducia in certi partiti politici, posso comunque sperare che riescano a combinare qualcosa di buono.

In conclusione: è stato bello volare alto per un po’, ma alla fine il dibattito politico resta quello che è e la replica di Salvini è stata un’occasione per cercare di conquistare un certo elettorato citando, tra le altre cose, il “valore della vita, da preservare dall’inizio alla fine” e la “lotta a ogni genere di droga” in quella che Lorizio ha profeticamente definito “una filastrocca di opinioni”

Stiamo di nuovo parlando di Salvini

La campagna elettorale italiana è appena iniziata e già Matteo Salvini è riuscito a infiltrarsi nella mia “bolla social”. Non seguo account politici e neanche di simpatizzanti della Lega Nord, eppure la sparata del segretario leghista sugli appelli fatti per cognome anziché nome perché magari a scuola c’è qualche bambino dall’incerta identità di genere mi è arrivata più volte.

Commenti ironici, spesso abbinando allo sfottò anche un minimo di debunking sul fatto che è normale fare l’appello per cognome. Intanto siamo qui, come già accaduto anni fa, che parliamo di Salvini e degli appelli, senza neanche entrare nel merito di come la scuola debba tutelare le persone transgender (definiti da Salvini “fluidi”, termine che temo stia assumendo una connotazione negativa) o di altri temi politici. E lasciando passare tutto l’implicito – al quale inizialmente non avevo fatto caso e che mi ha fatto notare .mau. – di un elenco di nomi tutti italiani.

Che gli vuoi rispondere?

Dopo una consultazione online – che fatico a considerare rappresentativa, ma che capisco non possa essere ignorata – si discute del futuro dell’ora legale.

E Matteo Salvini commenta così su Twitter:

Credo che qui non sia il caso di spiegare perché è una sparata populista e pure delle più banali, per quanto non delle più becere. Di quelle che scuoti la testa e pensi “e che gli vuoi dire, a uno così?”.
Una domanda retorica che – dopotutto è quello che fanno i filosofi – voglio prendere sul serio. Che gli vuoi dire? Come ribatti a un messaggio simile che, comunque, ha la sua efficacia, gettando al pubblico affamato l’osso di una Commissione europea lontana dalle vere esigenze della gente.

Rispondi che un’istituzione come la Commissione europea ha le forze, e peraltro il dovere, di occuparsi di più temi contemporaneamente? Gli rinfacci che se sui migranti non c’è un accordo è anche colpa sua? Ribatti che è la consultazione online che ha avuto più partecipanti?