Luigi Ferrajoli, all’inizio del suo Il fondamento del rifiuto della pena di morte (in Pietro Costa (a cura di), Il diritto di uccidere. L’enigma della pena di morte, Feltrinelli 2010), traccia un veloce quadro storico delle riflessioni filosofiche sulla pena di morte:
La storia del pensiero filosofico sulla pena di morte è desolante. Le opinini dei grandi classici della filosofia sono state prevalentemente, monotonamente a favore. C’è una triste continuità – da Platone e Aristotele fino a Kant e a Benedetto Croce – che accomuna trasversalmente, nel sostegno alla pena di morte, filosofi cattolici come sant’Agostino, san Tommaso e Bellarmino e pensatori protestanti ome Lutero e Calvino; utopisti come Tommaso Moro e Tommaso Campanella e giusnaturalisti come Hobbes, Locke e Rousseau; illuministi come Montesquieu, Hommel, Filangeri, Mably e Condorcet e idealisti come Fichte e Hegel; pensatori liberali come Anselm Feuerbach, Romagnosi, il giovane Carignani, Constant e Mill e penalisti moralisti come Pellegrino Rossi, Giuseppe Bettiol, Giuseppe Maggiore e Francesco Carnelutti.
La varietà di impostazioni teoriche è notevole: cattolici, protestanti, utopisti, giusnaturalisti, illuministi, idealisti, liberali, moralisti: tutti a favore della pena di morte.
Viene il sospetto che le impostazioni teoriche abbiano poca o nulla influenza: prima viene l’accettazione della pena di morte, la teoria fa da giustificazione a posteriori. Continua a leggere “Il fondamento del rifiuto della pena di morte”
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