Gustav Holst è un compositore inglese tardo romantico nato nel 1874 e morto nel 1934.
La più conosciuta tra le sue musiche è, molto probabilmente, I pianeti (The Planets op. 32) composto tra il 1914 e il 1916.
Ad ogni pianeta, terra esclusa, è dedicato un brano:
- Marte, il donatore di guerra (Mars, the Bringer of War);
- Venere, la donatrice di pace (Venus, the Bringer of Peace);
- Mercurio, il messaggero alato (Mercury, the Winged Messenger);
- Giove, il donatore di gioia (Jupiter, the Bringer of Jollity);
- Saturno, il donatore di vecchiaia (Saturn, the Bringer of Old Age);
- Urano, il mago (Uranus, the Magician);
- Nettuno, il mistico (Neptune, the Mystic).
Come si vede, manca Plutone: il famoso nono pianeta venne scoperto il 18 febbraio 1930. Holst avrebbe potuto aggiungere un brano per aggiornare la composizione, ma non lo fece: probabilmente considerava l’opera conclusa, ed in effetti i titoli dei brani lasciano intravedere un cammino, un percorso che inizia dalla guerra e finisce, passando per la pace e la gioia, con la vecchiaia, la magia e il mistico. Dopo, è abbastanza chiaro, non può esserci nulla, e l’arte può permettersi di ignorare la scienza.
Nel 2006, oltre novanta anni la composizione de I Pianeti, è sorprendentemente la scienza ad adeguarsi all’arte: Plutone non è un pianeta.
Non so quanti, tra i 2500 astronomi riuniti a Praga per discutere delle squisitamente nominalista definizione del termine pianeta, conoscano Gustav Holst. Rimane il fatto che aveva ragione lui: Nettuno è l’ultimo pianeta.