Sì, c’è una questione antropologica

“Stranamente su questa teoria son d’accordo col papa” cantava Giorgio Gaber1 e altrettanto stranamente son d’accordo anch’io col papa, quando afferma che «la famiglia è il centro naturale della vita umana e della società».2 Continua a leggere “Sì, c’è una questione antropologica”

  1. Aggiungendo subito un “però quella lì mi arrapa”, introducendo quella che secondo me è la miglior rima della canzone italiana. La canzone è Il corrotto. []
  2. Dalla Dichiarazione comune firmata all’Avana da Papa Francesco e dal Patriarca Kirill, punto 19. []

Io sono per la famiglia naturale

Io sono per la famiglia naturale.

Il problema è che l’affermazione precedente non significa nulla di preciso, tanto è ambiguo e vago il termine “naturale”. Per dire: la società è naturale o artificiale? E il diritto? La religione? 
Che cosa intendo, quindi, con famiglia naturale? Al di là, o meglio prima, di sacramenti religiosi e istituzioni giuridiche, intendo due (o più) persone (di qualsiasi sesso o genere) che decidono di condividere insieme un progetto di vita. Questa, per me, è la famiglia naturale, o meglio quella cosa che ha senso chiamare famiglia naturale, quella dove la dimensione socialmente costruita è minima.

Il resto – cerimonie, firme, fidanzamenti, anelli… – è appunto socialmente costruito. Il che significa che possiamo costruirla più o meno come vogliamo.

Del giornalismo del 21º secolo

Secondo me, se il giornalismo ha un senso, oggi, è quello di fare da traduttore all’interno della società.

Con giornalismo intendo, qui, chi dà notizie quotidianamente: gli approfondimenti sono un altro discorso, perché appunto non danno la notizia, ma forniscono gli strumenti per comprenderla. Il problema è che non è detto che questi strumenti siano alla portata di tutti e non è detto che interessino a tutti. Due aspetti che non è il caso di trascurare: una società in cui tutti riescono a comprendere tutto sarebbe bellissima, ma se non ci si ricorda che è un’utopia quello che si ottiene è una società in cui metà della popolazione crede di sapere tutto perché due anni fa ha letto un articolo su Internazionale e l’altra metà odia quelli che leggono Internazionale perché si sentono trattati da capre ignoranti (senza dimenticare un’altra metà che neppure sa che cosa sia Internazionale, e un’altra metà ancora che non conosce le frazioni). Continua a leggere “Del giornalismo del 21º secolo”

Stigma virtuale

A me dispiace, per quel ragazzo di cui non ricordo il nome intervistato da non so quale emittente dopo i disordini di Milano.1
Dispiace non perché penso che sia innocente o un bravo ragazzo. Semplicemente, penso non meriti tutto quello che gli accadrà. E gliene accadranno, di cose.
E anche a lungo. Molto a lungo, perché i giornali che hanno riportato il suo nome non finiranno semidimenticati in qualche emeroteca come in passato, ma rimarranno accessibili come se fossero stati scritti ieri. Accessibili in tutto il mondo: pure al polo sud, i pinguini con lo smartphone potranno scoprire le sue gesta. Continua a leggere “Stigma virtuale”

  1. In realtà lo so, il nome dell’emittente, e pure quello del ragazzo. E anche se non li sapessi, basterebbe una breve ricerca online per trovarli. Ma non voglio. []

Aperti in sé stessi

È una di quelle espressioni in grado di abbattere la mia voglia di proseguire la lettura di un testo: appena leggo che le persone con lo smartphone sono “chiuse in sé stesse” ho l’impulso di lasciar perdere il resto; se poi queste persone “non si rendono conto della realtà che le circonda”, resistere è quasi impossibile. Continua a leggere “Aperti in sé stessi”

Lesioni diffuse

"Leeuwenhoek, Microscopic observations Wellcome L0001349" by http://wellcomeimages.org/indexplus/obf_images/14/c6/2106c0f6044776c25783a97adf69.jpgGallery: http://wellcomeimages.org/indexplus/image/L0001349.html. Licensed under CC BY 4.0 via Wikimedia Commons - http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Leeuwenhoek,_Microscopic_observations_Wellcome_L0001349.jpg#/media/File:Leeuwenhoek,_Microscopic_observations_Wellcome_L0001349.jpg
Spermatozoi osservati da van Leeuwenhoek (via Wikimedia Commons)

Un cittadino tedesco con un tumore alla prostata si sottopone a un intervento chirurgico che, come conseguenza inevitabile, gli impedirà per sempre di avere figli. Per assicurarsi di avere comunque una discendenza biologica, l’uomo decide di congelare il proprio seme. Tuttavia una lettera archiviata male – certe cose capitano anche in Germania – e la clinica dove l’uomo aveva depositato il proprio seme lo butta.

Ne nasce un caso giuridicamente interessante. L’uomo infatti chiede un risarcimento, il quale però viene negato perché non c’è lesione corporale (richiesta dal codice civile tedesco).  Lo sperma era parte del corpo dell’uomo, ma una volta depositato non lo era più, per cui niente risarcimento.1

Il caso arriva alla Corte federale di giustizia che nel novembre del 1993 decide che è vero, lo sperma congelato non è più parte del corpo e non è neppure previsto che vi ritorni, come accade invece per il sangue prelevato per una autotrasfusione oppure per un ovulo che, dopo l’inseminazione in vitro, viene impiantato nell’utero della donatrice. Tuttavia questo sperma “ha per l’integrità del soggetto di diritto e per la sua capacità personale di realizzazione e decisione la stessa importanza di un ovulo o di un’altra parte del corpo protetti [dal codice civile]”.2
Quindi, sì al risarcimento per lesioni del corpo.
In altre parole: il corpo di quell’uomo era anche nei congelatori di una (negligente) clinica tedesca.3

O, in altre parole ancora, lo sviluppo della tecnica ha separato quello che potremmo chiamare il corpo biologico (l’organismo vivente) dal corpo funzionale o sociale4 (le cose che svolgono la funzione del nostro corpo). Lo sperma congelato non è più parte del corpo biologico, ma è parte del corpo funzionale (perlomeno nel caso sia l’unica possibilità di avere figli).
Potremmo pensare una cosa simile per la maternità surrogata, ma mi limito a suggerire la cosa.

  1. O, immagino, un risarcimento più contenuto per inadempienza. []
  2. Bundesgerichtshof, 9 novembre 1993, in Familienrecht, 1994, pp. 154-156. La traduzione italiana proviene da Stefano Rodotà, La vita e le regole: tra diritto e non diritto, Feltrinelli, p. 80. Il caso è anche citato da Gregor Christandl in un contributo su Altalex. []
  3. La decisione della Corte in realtà non afferma questo, ma si limita a una analogia. []
  4. Corpo funzionale non mi piace, ma corpo sociale è già usato per indicare ad esempio organizzazioni come i sindacati o i partiti. []

Il disgusto può essere un motivo, non una ragione

"Radish 3371103037 4ab07db0bf o" di Self, en:User:Jengod - Opera propria. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.
A me non piacciono i ravanelli. Ma non ne faccio un dramma (Radish via Wikimedia Commons).

Forse il problema è che sono stato un lettore distratto e superficiale, ma sulla faccenda dei “figli della chimica” – così lo stilista Domenico Dolce ha definito i bambini nati con (almeno alcune) tecniche di procreazione medicalmente assistita – ho letto soprattutto argomentazioni basate sul disgusto.
Questa pratica – surrogazione di maternità (detta volgarmente “utero in affitto”), fecondazione eterologa (con sperma o ovuli di una terza persona) e forse anche la fecondazione in vitro  – mi provoca ribrezzo, per cui no, non va bene.

Tralasciando che non si sa bene come intendere quel “non va bene”, se come condanna morale (insomma: tu che fai quella cosa sei una persona cattiva, dovresti quantomeno sentirti in colpa e gli altri dovrebbero quantomeno biasimarti) oppure legale (e quindi almeno una multa te la meriti, magari anche il carcere), il disgusto o ribrezzo può essere un motivo per cui una persona fa o non fa qualcosa, ma non una ragione con cui convincere o condannare gli altri. Continua a leggere “Il disgusto può essere un motivo, non una ragione”

Pubblico e privato ai tempi dei social network

Ieri sera ho seguito un interessante e deludente1 dibattito su spettacolarizzazione e mediatizzazione della giustizia.

Alcuni relatori hanno sottolineato come nella società contemporanea, che per semplicità di cose possiamo chiamare l’era dei socialcosi, sia sparita la distinzione tra pubblico e privato, perché tutto è pubblico e nessuno lava più i panni sporchi in casa ma lo fa su Facebook. Continua a leggere “Pubblico e privato ai tempi dei social network”

  1. Deludente perché cinque relatori più il dibattito con il pubblico in meno di due ore impongono interventi rapsodici e il risultato, alla fine, sono tanti spunti difficili da legare. Forse l’intenzione degli organizzatori era proprio quella, sollevare tante domande senza abbozzare neppure poche risposte, per cui la delusione è soggettiva. []

Chiedere la fiducia

Ti fidi di internet?
Ti fidi di internet?

Mi sono imbattuto in un sondaggio secondo cui – pesco dei dati a caso – il 52,4% degli italiani si fida del TG1, il 49,2% di Report e il 53,9 di Striscia la Notizia e il 47,9 di internet.

A parte l’assurdità di mettere dentro un mezzo di comunicazione – internet, che poi sarebbe il web – con una trasmissione, la domanda “quanta fiducia nutre nei confronti di X” non misura l’effettiva fiducia che le persone nutrono nei confronti di X, ma un’entità astratta che chiamiamo ‘fiducia’ ma che non sempre è legata ad essa. Continua a leggere “Chiedere la fiducia”

Domande che fanno senso

Tra un appello alla gente affinché si ribelli ai politici ladri che si vogliono aumentare la pensione a un miliardo di euro al mese e la denuncia del complotto delle multinazionali per avvelenare la popolazione mondiale con le nanoparticelle geneticamente modificate contenute nei deodoranti il cui numero di serie è un numero primo divisibile per tre, mi è capitato di avere una discussione filosofica su Facebook. Lo so, frequento gente strana.
Comunque, a partire dall’ultimo articolo, si è parlato delle domande di senso, cioè quelle domande che iniziano con “Qual è il senso di” e finiscono con “l’universo” o “la vita” o “la complessità del cervello” eccetera. Continua a leggere “Domande che fanno senso”