Ricarica la tua immunità

Ho una certa passione per le metafore; non nel senso che ne uso tante quando parlo – anche perché sarebbe impossibile non usare metafore, soprattutto se consideriamo le catacresi come “la gamba del tavolo” – ma che le ho studiate e le considero un aspetto molto importante di quello che diciamo e pensiamo.

Il contesto è infatti quello della linguistica cognitiva, ovvero l’idea che le parole non sono un modo per esprimere un pensiero indipendente dal linguaggio, ma lo strumento con cui pensiamo e categorizziamo il mondo. Non che senza la parola “azzurro” uno non si renda conto, o non percepisca, che il cielo non ha lo stesso colore del mare: diciamo che le parole che abbiamo a disposizione, e che decidiamo di utilizzare, definiscono uno spazio concettuale in cui è più facile muoversi e dal quale si può uscire ma con un certo sforzo.

Comunque, appena mi imbatto in una metafora provo a pensare a quello che sta dentro e soprattutto a quello che sta fuori. Una metafora infatti prende un’idea che ci è nota (la sorgente) e la applica a un’idea che, almeno per certi aspetti, è meno nota (l’obiettivo), portandoci ad applicare le conoscenze che abbiamo al nuovo contesto. Solo che a volte alcuni aspetti dell’idea obiettivo rimangono fuori dalla metafora e spariscono, mentre aspetti dell’idea sorgente che dovrebbero restare fuori vengono traslate portando a fraintendimenti. Un esempio classico – lo si trova analizzato in Metafora e vita quotidiana di Lakoff e Johnson – è l’amore come una guerra (si conquista il partner) o come un viaggio (la nostra relazione è a un bivio oppure in un vicolo cieco). Mi sono occupato delle metafore del DNA per cui il mio esempio preferito è un altro: se dico che il DNA è un progetto, lascio fuori la cosiddetta “plasticità fenotipica” (la capacità di un genoma di sviluppare differenti caratteristiche a seconda dell’ambiente) mentre potrei portarmi dietro l’idea di un architetto.

Ho scritto, come molti altri, delle metafore belliche nel raccontare (e quindi nel pensare) la pandemia di Covid-19. Adesso mi sono imbattuto in un’altra metafora, questa volta visiva, relativa ai richiami dei vaccini:

L’immunità è come la carica della batteria dello smartphone: con il tempo si abbassa e a un certo punto non sarà più sufficiente – per tenere acceso il telefonino o per non farci ammalare. Il richiamo ci permette di ricaricare il sistema immunitario.

L’idea mi pare buona, anche se vedo alcune criticità.
La prima riguarda la resa visiva della metafora: anche se non si ha la fobia degli aghi – che è comunque abbastanza diffusa –, quella siringa fuori scala che punta dritta al petto di una delle figure appare un po’ minacciosa e forse varrebbe la pena sostituirla con una persona in camice e segnalare con un cerotto sul braccio che la quarta figura è vaccinata da poco.

Ma anche sulla metafora vera e propria ho qualche dubbio. Come detto, le metafore mettono in relazione due domini, in questo caso la nostra esperienza con gli smartphone (sorgente) e il nostro sistema immunitario (obiettivo).
Ora, come proiettiamo sul sistema immunitario la conoscenza comune che, dopo un certo numero di ricariche, la batteria si deteriora e non mantiene più la carica? E come riconduciamo all’esperienza dello smartphone l’immunità da infezione, le varianti di SARS-CoV-2 e i vaccini aggiornati? Quest’ultimo punto è particolarmente delicato perché l’immagine proviene da un tweet della Food and Drug Administration che non rimanda all’idea di un richiamo annuale come avviene per l’influenza, ma a informazioni sullo “updated COVID-19 vaccine booster”: più che ricaricare l’immunità, si tratta di aggiornarla tanto che forse valeva la pena pensare a una nuova versione di una app.

In conclusione: una bella idea ma – come spesso capita con le metafore e con la comunicazione – tutto si gioca sui dettagli che qui convincono fino a un certo punto.

Aggiornamento

Dopo la pubblicazione iniziale ho trovato un altro tweet dell’FDA che riprende proprio la metafora dell’app aggiornata:

Questo tweet è stato molto meno condiviso dell’altro.

Perché ci si vaccina meno? Alcune ipotesi

Foto di Joshua Hoehne

Repubblica titola che “le quarte dosi per gli over 60 non decollano“; se guardo i dati svizzeri vedo che la terza dose (o “primo richiamo” come si preferisce chiamarla qui) è da marzo che ha praticamente raggiunto un plateau di poco superiore al 40% della popolazione. Our World in Data mostra una situazione simile in molti Paesi europei.

Penso si possa dire che l’interesse verso i vaccini sia calato nel senso che molte persone che hanno completato il primo ciclo vaccinale non sono andate avanti e una buona parte di chi l’ha fatto non ha interesse alla quarta dose o secondo richiamo. Perché? Ovviamente non ne ho idea e le poche ricerche sull’esitazione vaccinale relativa ai richiami che ho trovato non dicono molto sui motivi. Posso tuttavia fare qualche ipotesi.

  • Non ci sono più incentivi1 come il Green Pass o Certificato Covid. Può essere uno dei motivi; sicuramente non è l’unico e dubito sia comunque preponderante: molte persone si sono vaccinate anche senza queste misure per cui la loro assenza non può spiegare il minore interesse attuale.
  • Si è tornati alla “normalità”. Dicevo che gli incentivi hanno mosso solo una parte delle prime vaccinazioni, ma questo è vero per le misure adottate; è possibile che uno dei motivi che ha spinto molti a vaccinarsi sia stata la prospettiva di farla finita con le molte restrizioni introdotte. Adesso che la possibilità di introdurre nuovi lockdown appare remota, può essere che si senta meno l’urgenza di fare altre dosi.
  • Minor timore di ammalarsi. Il Covid fa meno paura o comunque ci si sente sufficientemente protetti, almeno dalle conseguenze più gravi, anche da due/tre dosi.
  • Minor fiducia nei vaccini. Inutile nasconderselo: c’erano grandi aspettative sui vaccini e in particolare sul loro potere sterilizzante, ovvero la capacità non solo di proteggere dalla malattia grave ma anche di fermare i contagi, e su questo la comunicazione non è sempre stata chiara. Grandi aspettative spesso portano a grandi delusioni.
  • Minor fiducia nelle autorità (sanitarie e politiche). Penso non ci sia molto da aggiungere, su questo punto.
  • Si attendono tempi migliori (aggiunto dopo la pubblicazione iniziale dell’articolo). Visto che l’efficacia dei vaccini è limitata nel tempo, meglio aspettare l’autunno quando (probabilmente) ci sarà un’altra ondata. Non so quanti la pensino così, ma almeno una persona c’è.
  • Molti si sono contagiati recentemente e mi pare si consigli di aspettare qualche mese prima del richiamo (anche questo punto è stato aggiunto dopo la pubblicazione iniziale, vedi commenti).

Personalmente, penso che i motivi principali siano il secondo e il terzo (ritorno alla normalità e minor timore di ammalarsi). Temo che anche la minor fiducia verso vaccini e autorità giochi un ruolo.

  1. Includo sia quelli positivi per chi si vaccina sia quelli negativi per chi non si vaccina, incluse eventuali sanzioni. []

Di birre, vaccini e razionalità

Nelle discussioni da bar si affronta sempre un gran numero di argomenti. E così, davanti a una birra, una camomilla e un’acqua minerale – no, non ero io quello della camomilla –, dopo aver parlato di politiche fiscali, organizzazione interna di partiti, educazione religiosa e influenza della filosofia aristotelica nella teoria della transustanziazione, si è fatto accenno anche ai vaccini. Sui quali, ha argomentato il mio interlocutore, “ci sono certezze che non lasciano spazio alla discussione”. Continua a leggere “Di birre, vaccini e razionalità”