Il Corriere della Sera ha dato la notizia del ritrovato di un fossile di millepiedi gigante in Inghilterra che risale al Carbonifero. Visto che non tutti hanno familiarità con la scala dei tempi geologici, nel catenaccio si precisa “più di un secolo prima dell’arrivo dei dinosauri”:
L’articolo è poi stato corretto con “oltre 100 milioni di anni prima dell’arrivo dei dinosauri”, ma su Internet Archive è salvata la versione errata.
Ma è davvero sbagliato quel “più di un secolo”? La frase è corretta, dal punto di vista del significato letterale: 100 milioni di anni sono infatti “più di un secolo”, un milione di volte per la precisione.
Su Twitter l’ho ironicamente fatto notare a Paolo Attivissimo. Mi è stato giustamente risposto che è come dire che il Kāma Sūtra propone più di due posizioni o che Bellinzona è a più di 500 metri da New York. Due begli esempi che comunque cadono corti rispetto all’originale: il Kāma Sūtra riporta 64 posizioni, non 2 milioni, e le due città stanno a circa 6’500 chilometri, non 500mila.
Dovrebbe essere chiaro: dire “più di un secolo” è sbagliato perché l’indicazione, per quanto letteralmente corretta, non è informativa. I filosofi del linguaggio dicono che non viene rispettata una delle massime conversazionali di Grice, direi quella di relazione (“sii pertinente”).
Il problema non riguarda la semantica (il significato della parole), ma la pragmatica (come quelle parole vengono utilizzate dai parlanti) e allora ho provato a immaginare dei contesti in cui l’affermazione “quel fossile precede di più di un secolo la comparsa dei dinosauri” sia corretta anche pragmaticamente.
Non è difficile: immaginiamo che una qualche istituzione, ad esempio un museo, abbia un regolamento che stabilisce dove vadano conservati i vari reperti. Per controllare che questo millepiedi gigante sia stato inventariato correttamente la domanda “precede di più di un secolo la comparsa dei dinosauri?” sarebbe quindi sensata: che si tratti di 150, di 150mila o di 150 milioni di anni, poco cambia. Similmente, se le autorità hanno stabilito che una persona non può stare a meno di 500 metri da Bellinzona, l’informazione “New York è a più di 500 metri da Bellinzona” diventa pertinente: non importa se siano 600 metri, 6mila chilometri, basta siano più di 500 metri.
È la ricchezza, e la complessità, del linguaggio. Alla quale spesso non pensiamo: la dimensione pragmatica la diamo un po’ per scontata, e non ci rendiamo conto di quanto possa cambiare gli effetti di quello che diciamo.
Il che vale anche per la discriminazione e i discorsi d’odio che non riguardano solo insulti e termini dispregiativi. In un contesto in cui l’informazione non dovrebbe essere pertinente, dire “è una donna” oppure “è un immigrato” – affermazioni corrette per quanto riguarda il significato letterale – apre un mondo di implicature e presupposizioni discriminanti (l’esempio è ripreso, con alcune modifiche, dall’interessante Hate speech: il lato oscuro del linguaggio di Claudia Bianchi)
L’utilizzo di espressioni solo all’apparenza innocenti è pervasivo. Anche il post è imperniato su un trucchetto del genere. Nel momento in cui passa ad esemplificare, sceglie come esempi “donna” e “immigrato”, il che apre un mondo di implicazioni e presupposizioni. Figuriamoci che ora potrei persino dire per chi vota l’estensero dell’articolo 🙂 🙂 :-).
Un po’ triste, che la parità di donne e stranieri sia questione partigiana. Comunque sì, non mi sono sforzato di cercare esempi bipartisan (come invece fa Bianchi nel suo libro, citando negli esempi su implicature e epiteti Obama e Trump)