L’immagine è uno dei temi centrali della fede cristiana. La relazione tra uomo e Dio è, per certi versi, una relazione iconica: l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio e, tempo dopo, Dio si è fatto uomo.
Christoph Schönborn, che come arcivescovo di Vienna qualcosa di cristianesimo la sa, in A sua immagine e somiglianza (Torino, Lindau, 2008) sintetizza efficacemente tutto questo affermando che, per la Chiesa (d’Oriente, ma si intuisce che lo stesso vale anche per quella d’Occidente), l’icona è «una sintesi della confessione di fede» (p. 10).
Curiosamente, Schönborn introduce questo argomento in maniera poco spirituale e molto materiale: Cristo tornerà con le stesse sembianze di quando se ne è, letteralmente, volato in cielo ed è quindi necessario, per riconoscerlo, tenere a mente la sua immagine (pp. 9 e 101). L’icona come foto segnaletica.
Altrettanto curiosamente, Schönborn sembra non avere una solida teoria dell’immagine, e in particolare sembra ignorare la differenza tra traccia e immagine. In questo testo, sembra che ogni immagine sia una traccia e che ogni traccia sia una immagine. Talvolta questo è vero, ad esempio per le fotografie, ma non è sempre vero.
Una traccia è causata dall’oggetto di cui è traccia e al quale causalmente, rinvia; non necessariamente vi è una somiglianza e spesso è necessario un certo allenamento per leggere le traccie. Le immagini, invece, possono non avere nessuna relazione causale con l’oggetto che rappresentano ma sicuramente gli somigliano ed è immediato riconoscere qualcosa come una immagine.
L’impronta digitale lasciata dall’assassino sul luogo del delitto è una traccia, non una immagine: è importante in quanto causata dall’assassino, non gli somiglia e trovare le impronte digitali non è cosa di tutti i giorni. Un ritratto è invece una immagine: non vi è alcun legame causale (diretto) tra il quadro e il soggetto ritratto, vi è somiglianza e tutti riconoscono l’immagine. La Sindone, se è davvero il sudario di Cristo, è una traccia, se invece è un falso medievale è una immagine (in ogni caso, si tratta di una pessima immagine: molto meglio un quadro).
Solo le immagini possono essere belle o brutte: una traccia, in quanto traccia, può essere chiara, evidente o ambigua, ma non bella o brutta. Inoltre, la bellezza di una immagine è, almeno in parte, indipendente dalla bellezza dell’oggetto rappresentato: è possibile avere belle immagini di cose brutte o brutte immagini di cose brutte.
Questa deficienza di Schönborn si avverte un po’ in tutto il testo.
Ad esempio, nella prima parte, afferma che Cristo è il più bello degli uomini nel senso che egli, platonicamente, è la bellezza. Tutta l’arte sacra, essendo sacra, è quindi bella in quanto partecipa della presenza di Cristo.
Questa affermazione è ovviamente falsa: come già detto, un’immagine può essere brutta pur rappresentando qualcosa di bello. E in effetti molta arte sacra è brutta, e questo lo riconosce pure Schönborn (p. 25), che però risolve questa contraddizione distinguendo la bellezza ultraterrena da quella terrena. Come soluzione non sarebbe neppure tanto disprezzabile, a patto di specificare il rapporto tra questa bellezza ultraterrena e la più comune bellezza terrena. Senza questa spiegazione, la soluzione di Schönborn ricorda tanto le scuse per giustificare i pregiudizi: “Tutti i genovesi sono tirchi”, “Guarda che lui è genovese ma è molto generoso!”, “Evidentemente non è un vero genovese”.
Eh … a proposito di immagini … se solo i cattolici seguissero il 2° comandamento …: (http://noirreve.googlepages.com/Comandaefattelo.zip)
“Non ti fare nessuna scultura, né immagine delle cose che splendono su nel cielo, o sono sulla terra, o nelle acque sotto la terra. Non adorar tali cose, né servir loro, perché Io, il Signore Iddio tuo, sono un Dio geloso che punisco l’iniquità dei padri nei figli fino alla terza o quarta generazione di coloro che Mi odiano; ma uso clemenza fino alla millesima generazione verso coloro che Mi amano e osservano i Miei Comandamenti”
@Francesco: Di tutte le ipocrisie, questa è una delle poche che non mi sento di imputare a Santa Romana Chiesa: ci sono ottimi motivi teologici per riformare il secondo comandamento – uno dei quali è appunto il fatto che Dio si è fatto uomo, e il nuovo testamento ha portato un nuovo rapporto con le immagini.