Tutti gli uomini per natura tendono al sapere.
Così Aristotele iniziava, qualche secolo fa, uno dei testi fondamentali della cultura occidentale.
Gli uomini tendono al sapere, ma perché avviene ciò? Che garanzia abbiamo che questa tendenza, questa suprema e fondamentale tendenza non sia destinata al fallimento? Aristotele precisa per natura: è indubbio che questa precisazione sia, a suo modo, una garanzia. Ma in realtà è garanzia dell’autenticità di questa ricerca, non del suo coronamento futuro.
Tendiamo alla conoscenza senza sapere se questa sia raggiungibile: inseguiamo uno scopo che potrebbe essere vano, la natura non necessariamente è benevola e potrebbe aver riservato all’uomo un triste destino.
L’uomo però tende al sapere: questo è un fatto. Anche se non lo si può spiegare, bisogna constatarlo, accettarlo ed iniziare da qui la riflessione sul sapere. L’uomo tende al sapere, evidentemente, perché crede nella conoscenza pur non sapendo nulla di questa conoscenza. Non ha certezze, e non ne potrà mai avere, eppure con cieca fiducia cerca, perché spera senza sapere.
La speranza differisce dal semplice augurio proprio in questo: l’augurio è vigile, la speranza cieca. Si augura un evento che si conosce, che si prevede e si può gestire; si spera in un mistero, nell’inconoscibile.
L’uomo tende al sapere perché spera e ha fiducia nella conoscenza. È una fedeltà cieca e senza garanzie, umana e divina allo stesso tempo. Alta fedeltà.