Bastonate

Pare che un ricco cittadino degli USA abbia rinunciato alla cittadinanza statunitense in favore di quella di Singapore. Per pagare meno tasse.

Problemi di questo ricco signore e del fisco americano, direi; volendo prendere la cosa in termini generali, ci si possono vedere risvolti sulla percezione dei tributi, sul ruolo dello Stato eccetera, temi sui quali fare riflessioni anche interessanti.
Qualcuno, ad esempio, riprende la seguente citazione:

Se una guardia penitenziaria vi pesta venti volte al giorno mentre le altre guardie vi pestano cinquanta volte al giorno, allora sicuramente preferireste la prima guardia alle altre – ma dovreste mostrare gratitudine alla prima guardia? O dovreste cercare appena ne avete la possibilità di essere picchiati da una guardia che vi pesta solo dieci volte al giorno? Tutti gli esempi per cui Saverin dovrebbe essere debitore agli Stati Uniti derivano dal fatto che le leggi americane sono meno oppressive rispetto alle leggi di molti altri paesi. Essere meno oppresso significa essere pestato meno spesso.

Punto di vista interessante. Tuttavia, giusto perché la cosa viene presa in termini generali, sarebbe utile ampliare un po’ lo sguardo:

A settembre, il blogger Gopalan Nair è stato condannato a tre mesi di reclusione per aver criticato la gestione da parte di un giudice di un caso giudiziario in cui erano coinvolti leader dell’opposizione.

Il film One Nation Under Lee è stato posto al bando. Il film fornisce un ritratto di varie istituzioni governative sotto il giogo dell’ex primo ministro.

Diciotto attivisti sono incorsi in cause penali per aver tenuto marce di protesta non autorizzate contro il carovita.

Utili complementi per evitare che si possa, inspiegabilmente, pensare che la libertà che hanno a cuore i libertari sia solo quella del portafoglio…

19 commenti su “Bastonate

  1. Ci sono molteplici aspetti che vanno analizzati per valutare la bontà d’una scelta come quella riferita nel post. D’altro canto, le imprese che delocalizzano in Cina (non certo un paradiso di libertà) accettano di sottomettersi alle ferree regole di quel paese in cambio di profitti altrimenti insperabili in patria.
    Tuttavia, affinché possiamo parlare di cose che conosciamo meglio, sull’argomento propongo un paragone tra Italia e Svizzera e premetto che, se potessi, rinuncerei seduta stante alla cittadinanza italiana per poter avere quella svizzera.

  2. @–>Ivo
    Cos’ho detto di così polically incorrect da non meritare nemmeno uno straccio di riscontro? Almeno sono avvisato per la prossima volta.

  3. @lector: non hai scritto nulla di politically incorrect; però il commento meritava una risposta un po’ articolata che finora non ho trovato il tempo di scrivere.
    Delocalizzare un’impresa è ben diverso dal delocazziarsi di persona, insomma trasferirsi e cambiare cittadinanza: nel primo sottometti il tuo capitale alle regole del paese ospite; nel secondo caso sottometti la tua persona.
    Oltretutto, l’impianto statale è solo uno degli aspetti del trasferirsi. Hai citato Italia e Svizzera. Se uno si trasferisce da Milano in uno sperduto paesino di un centinaio di abitanti, direi che il pagare meno tasse – ma pagarsi a parte le spese sanitarie – e il confrontarsi con un ordinamento giuridico differente sia il meno.
    Ci sono molteplici aspetti, aspetti che cambiano da un caso all’altro.
    Commento confuso, il mio, e adesso capisci perché l’attesa…

  4. Ho visto che hai aperto un nuovo argomento di discussione e supposto (che brutta parola!) il tuo disinteresse per questo.
    Ho molti conoscenti (leggi: clienti) che hanno delocalizzato a Hong Kong (Cina) e vi hanno trasferito pure la residenza, se non propria, di propri familiari preposti alla conduzione delle aziende ivi (de)localizzate, accettando di conseguenza di sottoporsi pienamente alle regole di quel paese.
    Inoltre, ho più d’un amico italiano che vive in Svizzera con la famiglia (zona tedescofona e qualcuno in paesini con non più di cento abitanti) e tutti mi raccontano meraviglie di quel paese. Non solo; confessano che, quando vengono in Italia, sembra loro di essere nel terzo mondo. Inoltre, rimangono totalmente increduli rispetto alle notizie di stampa che giungono loro sull’Italia.

  5. @lector: Come si dice in questi casi, con il nuovo post sono stato frainteso!
    Malintesi a parte, alle meraviglie della Svizzera si potrebbero aggiungere tante piccole magagne. Il confronto Svizzera-Italia è comunque poco interessante, trattandosi di entrambi i casi di nazioni occidentali, con imperfezioni anche grosse, ma relativamente poca oppressione, sia essa economica o politica.
    Il caso della Cina è più interessante. Come vengono trattati i cittadini stranieri residenti in Cina rispetto ai cinesi? E un ricco – e credo che un occidentale che delocalizza a Hong Kong sia tale – rispetto a un ‘povero’? Domande da porsi alle varie tematiche: sociali, politiche, economiche eccetera.

  6. “relativamente poca oppressione”
    In Svizzera, forse. In Italia, sei libero di dire ciò che vuoi solo finché sei innocuo. Quando rompi le scatole veramente, allora ti eliminano. Non fisicamente, chiaro. Ma civilmente. Gli strumenti ci sono tutti e non credere che non vengano usati. Esempi eclatanti – anche se invero poco rappresentativi di ben altre e più efficaci formule repressive – di quanto valga la libertà di parola nel nostro paese, possono essere i due interventi della Digos (o come diavolo si chiama adesso la polizia politica) nei confronti di coloro che manifestavano contro il Papa a Palermo (ingresso nei negozi che avevano esposto degli striscioni e intimazione a rimuoverli, in alcuni casi anche con la violenza) o a Milano, in occasione della manifestazione contro l’omofobia clericale.
    In Cina o a Singapore lo sai che non c’è la libertà e ti regoli di conseguenza: ti fai gli affari tuoi e sei avvisato di non metterti nei guai.
    In Italia, pensi di essere in un paese libero e ti senti legittimato a esprimere liberamente il tuo pensiero. Si tratta d’una forma coercitiva ben più subdola, poiché si basa sulla captatio benevolentiae e la repressione ti colpisce che tu neppure te lo aspetti. Ipocrisia di matrice squisitamente curiale, posto che duemila anni di storia non possono non aver marcato profondamente questo paese.

  7. P.S. Per quanto riguarda Mohammed El Ghanam, probabilmente si sarà trattato di una esplicita richiesta di Gheddafi, con la minaccia di ritirare i propri depositi dalle banche elvetiche. Sappiamo tutti che i folletti venderebbero l’anima per il pentolone che nascondono alla fine dell’arcobaleno.

  8. @lector: Non mi sento di lodare un Paese perché è coerentemente autoritario rispetto a un paese che ipocritamente adotta alcune politiche autoritarie.
    Sui folletti: questa abitudine a vendere l’anima (altrui) per il pentolone non mi fa decantare le meraviglie della terra dei folletti (per quanto la smania di possedere il pentolone è certo diffusa in altre terre).

  9. “Non mi sento di lodare un Paese perché è coerentemente autoritario rispetto a un paese che ipocritamente adotta alcune politiche autoritarie”
    Non si tratta di lodare, ma solo di comprendere il vantaggio che esiste nell’essere avvisati in anticipo, rispetto alla proditorietà d’un comportamento totalmente incoerente rispetto agli enunciati. Sapendo quel che ti aspetta puoi decidere in piena consapevolezza se adeguarti alle regole o combatterle. Ciò non è possibile in un paese cialtrone: qui vale il principio del muro di gomma. Il tuo nemico è talmente sfuggente che i più manco s’accorgono che esiste, con l’effetto di totale isolamento nei confronti di chi, suo malgrado, raggiunge la consapevolezza di tale effettività.
    Ad esempio, se in Italia un detenuto in attesa di giudizio sconta ingiustamente anni e anni di carcerazione preventiva, prima di giungere a un processo, diventa un problema solo suo o, al massimo, di quei quattro gatti di radicali cui la natura ha dato lo straordinario dono d’essere empatici con i cazzi degli altri anche se non ci guadagnano nulla. Se ciò accade in una dittatura riconosciuta, diviene immediatamente una questione di salvaguardia dei diritti umani, con mobilitazioni di massa e cortei di solidarietà. A quel punto, per il nostro detenuto, forse era preferibile essere imprigionato in uno stato autoritario: avrebbe avuto una chance in più di veder perorati i suoi diritti.

  10. @lector: Mi sono perso: stiamo parlando dell’Italia, della Svizzera o in generale dei paesi occidentali rispetto ad esempio alla Cina?
    Mi viene in mente che forse le cose non sono chiare neppure in Cina: anche lì non puoi sapere di certo che cosa ti accadrà.
    Il nemico è sfuggente – qui come in Cina – perché colpisce gli altri, i rom, i carcerati, quelli che vogliono leggi non confessionali eccetera. Il segreto di un governo durevole è colpire gli altri.

  11. Mi riferisco all’Italia, perché la conosco (era la premessa implicita contenuta nel mio primo commento). In quanto alla Svizzera, mi attengo a ciò che tu mi dici e non ho altri termini di confronto se non gli sporadici apprezzamenti degli amici che vi si sono trasferiti.
    Sulla Cina e in altre dittature (ho vissuto per un buon periodo in Brasile, al tempo della dittatura militare), reputo che le cose siano chiarissime: se sgarri, ti imprigionano e fors’anche ti uccidono, senza tanti se o tanti ma. Ciò che puoi o non puoi fare ti viene chiarito subito. Se non ti va, tornate a casa o emigra (nel caso tu sia un cinese): nessuno te lo impedisce. Altrimenti, organizza o associati alla resistenza; chi vorrà seguirti saprà benissimo contro cosa combatte e a cosa va incontro. In Italia, è quasi impossibile spiegare alla gente quali sono le contraddizioni del regime alle quali opporsi. Troppo tecniche per essere comprese, sin tanto che uno non le prova sulla propria pelle. Un esempio lampante è quello di Equitalia, le cui conseguenze io previdi e denunciai all’attuale vice-presidente della Commissione Finanze della Camera (con cui ero in rapporti) ancora nel 1997, all’indomani della riforma Visco che le introdusse. Non accadde nulla, perché lui neppure comprese ciò che gli stavo dicendo (e relazionando per iscritto). Le bombe di oggi e la furia della gente avrebbero potuto essere evitate benissimo, con pochi accorgimenti di tutela giuridica, tali da riportare l’operato di Equitalia all’interno delle previsioni costituzionali, oggi totalmente ignorate e disattese.

  12. @lector: Equitalia. Visto che sei informato sui fatti, quali sono gli errori di Equitalia e perché affermi che non si trova “all’interno delle previsioni costituzionali”?

  13. Perché qualsiasi procedura esecutiva deve essere azionata mediante precise tutele in favore dell’esecutato, che passano necessariamente tramite il giudice dell’esecuzione. Per Equitalia (una società che peraltro opera in apparente regime privatistico: è una Spa) vige un favor non riconosciuto a nessun altro soggetto dell’ordinamento, a totale disprezzo della parità di tutti di fronte alla legge. In primo luogo, la sua attività è assistita da una presunzione di legittimità che non trova riscontro costituzionale e che le consente di procedere senza doversi avvalere di nessuna cautela giurisdizionale. Inoltre, a sostegno dell’esecuzione esattoriale è stato riesumato il vecchio “solve et repete”, dichiarato incostituzionale ancora con sentenza della Consulta del 24 marzo 1961, n. 21, a dimostrazione di quanto bruci all’amministrazione pubblica il doversi confrontare con i cittadini sullo stesso piano. Altro elemento aberrante, sono gli interessi moratori e le indennità spettanti all’esecutore, che hanno l’effetto di moltriplicare anche per tre volte la pretesa in tempi limitatissimi. L’altra sera, in un servizio televisivo, hanno fatto vedere come una cartella esattoriale dell’importo originario di 24 mila euro, in meno di due anni sia diventata di 80 mila euro.
    Al di là dell’aspetto violentemente repressivo d’una simile disciplina, che nei rapporti tra privati verrebbe indubbiamente sanzionata dai provvedimenti anti-usura, in essa è ravvedibile la medesima cialtroneria di quei comuni che appostano gli autovelox in punti dove la multa è quasi sicura, per meri intenti di cassa.
    Un ulteriore aspetto assolutamente incostituzionale è il c.d. fermo amministrativo. Per esso, il cittadino subisce un vero e proprio esproprio del bene, sine die. Ad Equitalia, infatti, non è fatto obbligo di alcuna procedura di vendita del bene oggetto di fermo, per il recupero del proprio credito; ne discende una situazione assurda: il cittadino oggetto del provvedimento è impossibilitato a disporre del proprio bene, pena gravissime sanzioni anche penali; il bene, che potrebbe essere al limite venduto per coprire almeno parzialmente il debito, deperisce senza alcuna utilità né per l’Amministrazione, né per il cittadino; l’effetto finale è quello d’una sanzione impropria, non stabilita esplicitamente dalla legge, come richiesto invece dalla Costituzione.
    Ti ho citato solo alcune problematiche, ma ce ne sono altre che richiedono tuttavia un’analisi più tecnica.
    Tutte queste cose, a detta dei miei oramai stracitati amici elvetici, in Svizzera sarebbero inconcepibili. Così come in Germania e altri paesi civili.

  14. @lector: Mi ha scritto l’ufficio delle imposte per chiedermi alcuni documenti. Ho chiamato dicendo che vado in ferie e non so se riesco a procurarmeli per tempo: scadenza prolungata, senza problemi, di un mese; quando ho aggiunto che non so sarei riuscito a procurarmi un certificato di salario, ha detto che le sarebbe bastato l’estratto conto… Convengo che, su questo punto, le cose sono ben diverse dall’Italia, anche se – mi pare – i più vessati sono liberi professionisti e imprenditori; un dipendente, con il sostituto d’imposta, è forse più tranquillo in Italia che in Svizzera.

  15. Non sempre il dipendente ha soli redditi “da dipendente”, per i quali vale senz’altro la considerazione che fai tu. Certo è che tale “status”, al dipendente italiano costa assai caro, posto che negli altri paesi gli sono riconosciute giuste detrazioni che in Italia non esistono. Un esempio: ti pare giusto che al dipendente non venga riconosciuta la possibilità di detrarsi il costo del carburante (o dell’abbonamento al mezzo pubblico) necessario per il raggiungimento del posto di lavoro? Considera solo che quel costo è un costo per la diretta produzione del reddito, la cui deducibilità è riconosciuta anche in paesi noti per la loro “incidenza” fiscale, come gli Stati Uniti. Ribadisco: la tranquillità assicurata al lavoratore dipendente, gli costa assai cara. Peraltro, il fisco italiano, con tutti i suoi strumenti statistici di catastalizzazione dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo, mira a pervenire al medesimo risultato anche per queste categorie di redditi. Tuttavia, siamo andati un po’ fuori tema. In ogni caso, neppure il lavoratore dipendente è indenne dalle vessazioni di Equitalia. La riprova è che gli assalti ai suoi uffici non sono stati condotti in nome degli imprenditori o dei professionisti, bensì di quello d’impiegati e operai, del tutto disabituati ad avere a che fare col fisco, che si sono ritrovati improvvisamente la casa pignorata o il fermo sull’auto a volte per debiti erariali di poche decine di euro.
    Ieri ho avuto a che fare con il fisco tedesco per una questione molto grossa, di più d’un milione di euro, derivante da una transazione tra una società italiana e una residente in Germania. Una volta chiarito che non si trattava d’una operazione fraudolenta, ma d’un semplice disguido burocratico e formale, ho ricevuto un trattamento a dir poco favoloso in termini di disponibilità e cortesia, con totale chiusura positiva della questione. Se la medesima vicenda avesse avuto come protagonista il fisco italiano, si sarebbe iniziato un defatigante contenzioso, di tre gradi di giudizio, della durata minima di almeno sette anni, con presunzione di legittimità a favore dell’Erario ed esecuzione provvisoria del presunto dovuto a carico del contribuente, in quasi totale assenza di garanzie giurisdizionali, con la conseguenza che, data l’entità della somma in gioco, il nostro avrebbe senz’altro chiuso i battenti della propria azienda per fallimento.

Lascia un commento