Elizabeth Brake, su Ethics (Ethics 120 (January 2010): 302–337), propone una teoria minimale del matrimonio (minimal marriage).
Il riferimento del titolo è allo stato minimo di Nozick, ma la giustificazione del matrimonio che viene fornita è rawlsiana.
Il matrimonio minimo ha poco a che fare con i matrimoni attualmente esistenti, che sono giuridicamente molto più pesanti e limitati.
Semplificando molto, si tratta della possibilità di attribuire ad altre persone, volendo anche più persone, alcuni diritti di cui gode il singolo, senza danni diretti per altri soggetti.
La giustificazione, come dicevo, è rawlsiana: le relazioni personali non sono soltanto molto importanti, ma costituiscono un aspetto fondamentale della vita delle persone, e fanno quindi parte di quelli che Rawls chiama beni primari (primary goods). La società è quindi tenuta a riconoscere e dare valore a queste relazioni.
È questo aspetto il più interessante: il passaggio dall’individuo, isolato, alla persona, che vive in una fitta rete di relazioni con altre persone, senza per questo arrivare al comunitarismo.
non ho capito, quali diritti possono attribuirsi ad altre persone?
Se questi sono i diritti di cui gode anche il singolo, che necessità c’è di doverli attribuire tramite un atto detto “matrimonio”?
@vaaal: Il mio riassunto non è molto chiaro, in effetti.
Tieni presente che la proposta di Minimal Marriage si inserisce nel contesto di una società liberale perfetta, nella quale ci sono pochissime leggi che regolano la vita dei singoli, ma non si limita a questa utopia e la si vuole applicare alle nostre imperfette società con molte leggi.
Un primo esempio potrebbe essere l’assistenza sanitaria privata che alcune aziende garantiscono ai propri dipendenti e familiari.
Un altro esempio potrebbe essere facilitazioni all’immigrazione per il ricongiungimento familiare.
In entrambi i casi non è detto che a beneficiare sia il partner unito in una relazione esclusiva, ma si potrebbe applicare questo diritto a una qualsiasi persona con cui si abbia una relazione affettiva. Così Tizio può girare la copertura sanitaria non al proprio consorte Caio (che già ce l’ha), ma al cugino Sempronio (che ne è sprovvisto) e facilitare l’immigrazione di Mevio, suo amico d’infanzia.
La cosa se vogliamo curiosa è che la tua sintesi, e quindi immagino anche l’articolo, ricalcano quell’impronta della Carta Costituzionale disattesa dalla recente bocciatura dei matrimoni gay
@ugolino: Curiosa?
“curiosa” nel senso di degna di nota; non mi risulta che gli ideali libertariani fossero effettivamente rappresentati in seno alla costituente, nè che Nozick ne facesse parte; tuttavia l’impianto teorico presenta similitudini notevoli. In questo senso l’ho trovato curioso.
Ho postato qualcosa in merito, se ti va di vederlo ti aspetto da me.
@ugolino: Ho il tuo post tra quelli da leggere prossimamente.
@ivo, sarà bello avere un motivo in più per accendere in trepidante attesa il PC 🙂
Fammi capire bene.
L’autrice propone di scomporre entità come il matrimonio in pacchetti di diritti da assegnare anche a relazioni sociali diverse o minori?
E il matrimonio statalmente riconosciuto resterebbe o svanirebbe?
O propone di istituzionalizzare in modo chiaro anche relazioni diverse da quelle colte nel matrimonio, come l’amicizia, il vicinato, l’amore omosessuale, la co-etnicità, etc.?
@eno: Da quel che ho capito (ho letto distrattamente l’articolo3 – se vuoi te lo mando via mail), propone tutto quello che dici: scomporre il matrimonio istituzionalizzando in maniera autonoma le altre relazioni personali (la co-etnicità e il vicinato sono troppo generiche per ricadere sotto tutela: non ho un rapporto personale con tutti quelli che vengono dalla mia terra o abitano nel mio palazzo). Il matrimonio tradizionale rimane, nel senso che se voglio posso tranquillamente legare tutti i diritti al proprio partner.
Sì, mi faresti un piacere.
Ignaro dei dettagli mi sembra un progetto azzardato.
Innanzitutto scompare completamente il matrimonio a favore di una generica “relazione affettiva a due”.
Un summum genus in onore del quale scompaiono le species.
Non so se hai presente la storiella narrata da Heidegger sull’uomo che al mercato voleva comperare “verdura”, ma di nessun tipo particolare.
Non è uguaglianza, ma la notte delle vacche nere.
Il sistema legale diventa di una pesantezza ed invasività estrema se tutto o quasi tutto riceve una sanzione legale.
Tu fai presto a dire che il vicinato o l’appartenenza etnica sono relazioni deboli.
Prova a vivere in una città dove l’identità rionale è marcata e dove c’è una forte minoranza linguistica.
A volte mi sembrano più strette dell’amicizia.
Allora perché non rendere istituzionali anche quelli, nel comunitarismo più estremo?
Sarebbe invece interessante distribuire certi pacchetti di diritti e benefici fuori dalle relazioni istituzionalizzate.
Ti porto a riflettere su questo passaggio.
Ci sono relazioni importanti che non sono ora riconosciute, come l’amicizia.
Ma perché una relazione importante dovrebbe essere riconosciuta dalla società?
E soprattutto, come si passa dal riconoscimento sociale a quello statale?
@eno: Perché scompare completamente? Scompare il nome, e anche molti significati simbolici, ma rimane la possibilità per due persone di affidarsi completamente uno all’altra.
Vicinato e appartenenza etnica possono essere relazioni forti, ma non sono relazioni a due.
I “significati simbolici” , come li chiami tu, sono il matrimonio: una relazione istituzionalizzata e riconoscibile che rispecchia una relazione affettiva.
I benefici che seguono dal matrimonio, anche se considerati in toto, sono solo effetti.
La proposta del post è garantire taluni benefici a qualsiasi relazione che, in via astratta, coinvolga due persone.
Ma non si considera minimamente l’eidos specifico delle diverse relazioni.
Questa è appunto la fine del matrimonio perché così è stato pensato in costituente: riconoscimento di una realtà sociale esterna allo stato e dotata di una propria sostanza e struttura.
Solo quando questo aspetto sfugge, pare iniquamente violato un principio di equità.
Per scelta prospettica non ulteriormente motivabile, sia chiaro.
Ma poniamo astrattamente che la mossa ideale sia giusta.
Garantire tutele a chiunque sia legato in una relazione umana a due.
E perché solo a due?
Cos’ha di magico il numero che segue l’unità?
Questa sì sarebbe iniqua.
Il dibattito si è portato nel suo avanzare verso l’argomento del mio ultimo post, dove affronto la cosa sul piano etimologico e concludo che famiglia e matrimonio non hanno nulla a che vedere col sesso e col numero dei partecipanti ma con la capacità e dedizione alla crescita di bambini.
Rileggendo la Carta in questa particolarissima ottica la si scopre già profondamente libertaria.
Moro stesso, nei lavori preparatori, disse che da cattolico faceva sua l’immagine del matrimonio religioso ma da costituente intendeva tutelare qualsiasi unione stabile, comunque costituita.
So cosa ha detto Moro, che lavorò come politico e come giurista.
Sottolineare che non parlasse in ragione cattolicista è del tutto ozioso.
Considera appunto quello che disse da politico.
Non da una riga traspare apertura verso relazioni a quattro tra uomini, donne e bambini.
Parla di matrimonio, in un significato storicamente definito in modo chiarissimo.
C’è bisogno di trasparenza in queste discussioni.
Nessuno penserebbe realmente – per via etimologica, ermeneutica, teoretica, liberale, progressista, cattolica, laicologistica, etc. – che nei lavori costituenti ci fosse un’apertura a generiche relazioni sociali.
Si vuole convicere sé stessi di crederlo solo per il desiderio di trovare una giustificazione solenne e scritturistica alle proprie idee.
Ma dai, se applicassi gli stessi criteri interpretativi al post di Ivo potrei farne venir fuori un secco e violento rifiuto dell’omosessualità.
Non so cosa ne penserebbe Ivo, ma pan per focaccia… 😉
@ENO,
consapevole della marginalità dell’approccio etimologico, mi sono premurato di definire “particolarissima” l’ottica in cui ho riletto il passaggio della Carta, proprio per evitare surriscaldamenti del dialogo.
Da occasionale lettore, su tuo invito, peraltro, degli atti della Costituente però mi sento di non poter condividere la tua affermazione su Moro; agli atti risulta un suo intervento in cui disse:
“pur essendo molto caro ai democristiani il concetto del vincolo sacramentale nella famiglia, questo non impedisce di raffigurare anche una famiglia, comunque costituita, come una società che, presentando determinati caratteri di stabilità e di funzionalità umana, possa inserirsi nella vita sociale.”
A me pare, in assenza di una via medianica, unica che non citi, l’interpretazione di questo pensiero vada in senso almeno possibilista in direzione esattamente contraria a quella da te affermata.
“Mastrojanni fa presente che, dicendo che la famiglia è riconosciuta dallo Stato in quanto è una società naturale, si viene ad ammettere la possibilità del riconoscimento anche per quelle famiglie che si costituiscono al di fuori del vincolo coniugale, che sono prive cioè del crisma della legalità e del sacramento religioso; e in questo senso anche il concubinato[ i.e. il dibattito è quindi su una apertura al c.d. “pubblico concubinato” e non ad altro NdR] sarebbe riconosciuto dallo Stato.
Moro precisa che, quando si dice che la famiglia è una società naturale, non ci si deve riferire immediatamente al vincolo sacramentale; si vuole riconoscere che la famiglia nelle sue fasi iniziali è una società naturale. Afferma quindi che, pur essendo molto caro ai democristiani il concetto del vincolo sacramentale nella famiglia, questo non impedisce di raffigurare anche una famiglia, comunque costituita [i.e. però nei limiti di definizione sotto elencati NdR], come una società che, presentando determinati caratteri di stabilità e di funzionalità umana, possa inserirsi nella vita sociale. Mettendo da parte il vincolo sacramentale, si può raffigurare la famiglia nella sua struttura [i.e., ha una struttura oggettiva NdR] come una società complessa non soltanto di interessi e di affetti, ma soprattutto dotata di una propria consistenza che trascende i vincoli che possono solo temporaneamente tenere unite due persone[i.e. non più di due NdR].”
[…]
Moro afferma che, poiché nel diritto privato italiano vi è tutta una parte che riguarda i diritti della famiglia, non si può prescindere, in sede di Costituzione, da una disciplina dei vincoli familiari.”
5 novembre 1946, 1° sottocommissione
Era un dibattito.
Non si può capire una dichiarazione se non si vede l’intero contesto.
Grassetti miei.
@eno: 2 è un numero magico perché è 1+1. Le relazioni personali non possono che essere a due.
Con tre persone, chiamiamole, con molta fantasia,:
a
,b
ec
, si possono avere tre relazioni personali (a
–b
,b
–c
,a
–c
), o sole due (magaria
ec
si conoscono ma solo superficialmente).Relazioni intransitive – mentre la coetnicità è transitiva.
Scrivi: la proposta del post, o hai (promosso? degradato?) Ethics a blog, o ti confondi: il minimal mariage non è una mia proposta, e non è neppure la parte che più mi è interessata dell’articolo di Elizabeth Brake (infatti l’ho riassunta malamente e velocemente).
Hai ragione, intendevo “la proposta esposta nel post” e ho scritto di fretta.
In altre parole, tu aggiungi una definizione ad hoc per escludere tutte le relazioni personali che non siano vis-à-vis, in nome d’un significato ambiguo che ha “personale”.
Formalmente nulla da obiettare, ma così il discorso tralascia gran parte delle relazioni personali umane.
Un esempio comune e domestico può essere il legame con l’anziana parente malata e poco frequentata.
Resto suo nipote e devo aiutarla anche se “personalmente” – gioco di parole – non le porto grande affetto e non la vedo quasi mai.
Senza aderenza alla realtà, la formula si rivolge a un numero talmente ridotto di casi da essere inapplicabile.
Dico “ridotto” perché non vi puoi includere quelli di chi come me semplicemente non crede che le relazioni personali debbano essere binarie e non transitive.
Una metafisica del “2” può essere elevata a rango di legge erga omnes.
@ENO, messa così mi ricorda la storiella del cavaliere nero di Proietti. Ed io ho capito la morale.
Grazie comunque della cortese attenzione.
@eno: Diciamo che la proposta, adesso è molto teorica e poco pratica, risponde a esigenze più filosofiche che sociali. Ho il sospetto che tra non molto tempo le cose saranno diverse.
A proposito di ambiguità: in che senso devi aiutarla? Dovere morale?
Touché, bella domanda.
L’esempio era concreto.
Indubbiamente il dovere morale c’era.
Poiché l’aiuto alle cure mediche e di ricovero era stato dato spontaneamente dalla mia famiglia, non ho mai approfondito se ci fosse un obbligo legale.
Non lo so.
L’esempio rimane valido, ma può assumere direzioni molto diverse.
Oh, non ho dubbi che la storia sarà presto con voi.
Questa non s’era mai sentita.
Infatti la comune hippie domina la società italiana, il sistema cooperativo ha portato giustizia, equità e pulizia morale nel mondo del lavoro, l’emotivismo etico russelliano si è dimostrato un successo pedagogico e l’intero soviet supremo è stato appena ricevuto umilmente alla Casa Bianca.
Fuor di ironia, l’idea di prendere “pacchetti” di diritti e tutele e renderli fruibili anche al di fuori di talune istituzioni mi pare intelligente.
Possiamo dire una “liberalizzazione delle tutele“.
Trovo invece farraginoso creare nuove istituzioni ad hoc.
@eno: Io ho detto che tra non molto tempo le cose saranno diverse, non che la storia presto sarà con noi! Probabilmente l’ho pensato, ma non l’ho scritto!
Comunque, forse c’è un obbligo per gli alimenti, non credo ci sia per il mantenimento. In ogni caso, essendoci un obbligo o impegno morale, la questione non si pone.
Infatti la mia era una bassa insinuazione polemica. 😛