La conferenza di Daniel Dennett a BergamoScienza è stata introdotta dal neuroscienziato Stefano Cappa e si è svolta nel Centro Congressi Giovanni XXIII. Immagino che Dennett abbia gradito la prima circostanza e sia rimasto indifferente alla seconda, nonostante sull’Eco di Bergamo in passato l’avessero definito “ateo militante”.
La sala era gremita e Dennett si è confermato un ottimo oratore, in grado di coinvolgere l’uditorio nonostante la lingua (due piccoli esempi: si è scusato per lo sciovinismo dell’esempio scelto per illustrare il fenomeno delle immagini postume e, durante il dibattito, ha chiesto se anche da noi sono diffuse le stucchevoli illustrazioni di cupido che colpisce il cuore degli innamorati).
L’impegnativo titolo della conferenza – Che cosa è la coscienza, senza neppure un punto interrogativo finale a smorzare il tono perentorio dell’affermazione – è stato ovviamene disatteso: a metà dell’incontro Dennett ha apertamente dichiarato che non abbiamo ancora una teoria della coscienza, anche se abbiamo capito che alcune vecchie teorie non funzionano (il dualismo cartesiano con il suo teatro interno).
Non ho letto il libro, ma mi sembra che la conferenza abbia sostanzialmente ripercorso il suo Sweet Dreams (Raffaello Cortina, 2006 – a Dennett piace molto la copertina italiana), al quale rimando per ulteriori dettagli. Qui, mi limito a due temi che mi sono particolarmente piaciuti.
Innanzitutto, l’idea di coscienza come fenomeno di mediazione e revisione tra diversi processi mentali che, come bozze di un libro o un articolo, vengono discusse, commentate, confrontate fino ad arrivare alla versione definitiva che diventa la coscienza, ovviamente in attesa di una seconda edizione.
L’aspetto interessante è la scansione temporale di questo processo: la coscienza si manifesta dopo ma viene retrodata con un processo che, per certi versi, ricorda le famose foto di partito dell’Unione Sovietica, con i personaggi cancellati o aggiunti a seconda delle esigenze (o le riletture che oggi, in democrazia, si fanno di certi eventi storici, andando a ripescare le buone intenzioni, quasi a giustificare chi ha preso solo delle decisioni sbagliate).
Un altro tema molto interessante è quello della eterofenomenologia (heterophenomenology), una fenomenologia in terza persona da condursi con scrupoloso atteggiamento scientifico. L’idea forte di Dennett è che un approccio in prima persona non possa essere scientifico. Dennett mira a una teoria marziana della coscienza, ossia una teoria che si possa spiegare a un essere completamente diverso da noi che, intuitivamente, non ha la minima idea di cosa sia la coscienza.
Non credo sia così banale applicare questo metodo allo studio della coscienza, questa strana cosa che sembra non lasciarsi ridurre a nessun fenomeno osservabile; certamente è solo con questi criteri che si potrà arrivare a formulare una vera teoria della mente. Una teoria che deluderà molte persone che non la accetteranno come una risposta alle loro domande; credo tuttavia che, in questo caso, ad avere problemi saranno le domande, non la risposta.
Credo che la tanta ostilità al metodo “Dennett” riguardo allo studio della coscienza sia dovuta massimamente, come il Nostro afferma in molteplici passi dei suoi libri, alla paura di molti di perdere lo scettro (la Coscienza) che ci pone al di sopra (o aldilà) della Natura.
Piccola curiosità: Dennett ha per caso fatto qualche accenno al suo “stato d’incoscienza” dovuto, se non sbaglio, a un grave attacco coronarico in cui è occorso mi pare un paio di anni fa?
@Luca: Sull’argomento, sto leggendo (in realtà ho iniziato a leggere e momentaneamente accantonato) La fin de l’exception humaine di Jean-Marie Schaeffer. Molto interessante.
http://jabberwockita.blogspot.com/2010/01/sensibilita-atea-continua-con-un-po-di.html