Categories: Pensieri inutili

Ivo Silvestro

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Il regolamento dell’esercito, all’articolo 12 comma 1, riporta:

L’unico motivo valido per chiedere il congedo dal fronte è la pazzia.

Lo stesso articolo, al comma 22 riporta:

Chiunque chieda il congedo dal fronte non è pazzo.

Questo paradosso, perfettamente sensato nell’ottica di rendere impossibile ogni congedo dal fronte, è opera dello scrittore Joseph Heller.

Francesco D’Agostino (“Quel tranello rende possibile l’eutanasia”, Avvenire, 22 marzo 2008)1 non è uno scrittore, e infatti la sua personale formulazione del comma 22 è stilisticamente meno bella, ma altrettanto surreale:

In apparenza si tratta di due casi di eutanasia ‘volontaria’ […]. Ma proprio la concretezza delle due vicende ci induce con una semplice riflessione a pensare esattamente il contrario, a quanto cioè sia difficile qualificare come autentica e affidabile la volontà di morire di persone chiamate a vivere situazioni assolutamente straordinarie, come quelle di chi è colpito da malattie crudeli e terribilmente invalidanti. L’autonomia, per essere esercitata nella sua pienezza, richiede serenità di giudizio, fermezza d’animo, ridottissima emotività, informazione compiuta in merito al contesto in cui si deve assumere la decisione… è immaginabile che questo possa darsi in un malato di Alzhemeir o in una povera donna distrutta fisicamente e soprattutto emotivamente da un tumore deturpante?

Mi permetto di riformulare alla maniera di Heller quanto espresso da D’Agostino:

Comma 1: Può richiedere l’eutanasia solo chi è in grado di esercitare la propria volontà in piena autonomia.

Comma 22: Chiunque richiede l’eutanasia non è in grado di esercitare la propria volontà in piena autonomia.

Quello sollevato da Francesco D’Agostino è comunque un problema reale che riguarda tutte le scelte, non solo l’eutanasia. La soluzione che si applica in questi casi è pragmatica: si valuta caso per caso secondo il buon senso. E senza paradossi.

  1. Niente link diretto, purtroppo. Chi vuole può chiedermi una copia via mail. []

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  1. luca massaro 22 Marzo 2008 at 19:03

    Posso tentare un ulteriore paradosso venutomi in mente leggendo il tuo post?
    E’ questo:
    Sono eterosessuale. Non posso concepire di far l’amore con una persona del mio stesso sesso.
    Qualora un domani dovessi diventare omosessuale, tagliatemi l’uccello.

    Passano alcuni anni

    Son diventato omosessuale. Stavo scherzando. Nessuno tocchi Caino.

  2. Giuseppe 22 Marzo 2008 at 19:20

    Il paragone è azzeccatissimo!

    Giuseppe

    (Occhio che è Francesco, non Roberto.)

  3. Ivo Silvestro 22 Marzo 2008 at 19:27

    @luca massaro: Di esempi simili ce ne sarebbero tanti… (il tuo però non mi è ben chiaro)

    @Giuseppe: Grazie: ho corretto l’errore.

  4. lector in fabula 22 Marzo 2008 at 22:34

    La situazione-limite che tu analizzi, e che riguarda l’intromissione coercitiva della collettività nell’estrema scelta individuale di continuare a esistere o meno, trova riscontro seppur in maniera meno tragica pure in altre casistiche. Per inciso, m’è molto piaciuto il paradosso che poni alla nostra attenzione, e posso assicurarti che nel diritto codificato vi sono norme che risultano formulate proprio in tale maniera, anche se di solito riguardano gli oneri probatori (c.d. probatio diabolica o prova impossibile da fornire). Detto incidentalmente ciò, supponiamo un medico riconosciuto come tale nel paese d’origine, ma non da noi, in Italia; supponiamo inoltre che nel nostro paese esista una nutrita collettività di suoi connazionali, che si rivolge a lui con assoluta (e meritata)fiducia, in quanto medico legalmente tale nella loro madrepatria.
    Qual è il nostro diritto d’impedirgli di continuare ad esercitare la professione nei confronti dei suoi connazionali, così come d’impedire ad essi di consultarlo? Eppure egli non può fare il medico nel territorio della repubblica, neppure se limitatamente ai suoi compatrioti, altrimenti per l’ordinamento italiano sarà comunque un fuorilegge.
    Anche tale esempio, secondo me, si riferisce a una pesante e arbitraria intromissione dello Stato nel diritto di autodeterminazione, in questo caso di una singola collettività anziché del singolo individuo.

  5. luca massaro 22 Marzo 2008 at 23:02

    E’ vero, ho improvvisato e non meditato. Volevo solo dire che, per me, tutte le decisioni su se stessi prese allo stato presente (che sia di “strepitosa grazia” – vedi Malvino di oggi – o meno), come atti deliberatori del proprio futuro, pongono un problema: non potrò mai sapere cosa penserò e vorrò in certe determinate situazioni: lo stabilirò solo in quel futuro momento presente. Comunque, volevo solo portare acqua al molino del tuo buon senso, col quale mi trovo perfettamente concorde.

    P.S.
    (Con “Caino” intendevo l’oggetto del taglio).

  6. Caminadella 23 Marzo 2008 at 09:25

    La riduzione di un ragionamento a un Comma 22 è la prova che quel ragionamento è autoritario. Uno tende a notare il circolo vizioso, che in realtà non è l’elemento essenziale.
    Nel caso di Heller, ciò che succede è che l’esercito stabilisce sia (a) a quale condizione un soldato può chiedere il congedo, (b) quando la condizione è soddisfatta o no.
    Nel caso dell’eutanasia, sono il filosofo, il prete, l’articolista che cogliono stabilire entrambe le cose.
    Ma il senso dell’eutanasia è che sia il malato a decidere quando chiedere la morte. Ovvero, l’eutanasia è esattamente l’idea che il rapporto fra il malato e lo Stato (i preti, i filosofi, gli articolisti) non sia quello fra un soldato e i suoi superiori.

  7. Caminadella 23 Marzo 2008 at 09:26

    “Che vogliono”.

  8. Vaaal 24 Marzo 2008 at 21:10

    “Voglio rimanere vergine fino al matrimonio, però non mi voglio sposare”.

  9. Ivo Silvestro 24 Marzo 2008 at 21:37

    @lector: La probatio diabolica mi stuzzica non poco: puoi fare qualche esempio?

    @luca massaro: Gli argomenti che D’Agostino e soci propongono contro il testamento biologico si applicano, mutatis mutandis, ai normali testamenti e, come metti in evidenza, a qualsiasi scelta che riguarda un futuro più o meno lontano.

    @Caminadella: Uhm… ti seguo fino a un certo punto. Sulle intenzioni non proprio liberarli di D’Agostino sono d’accordo, ma una regolamentazione è comunque indispensabile, e una simile regolamentazione potrebbe anche andare a stabilire che una qualche scelta NON è lecita appunto perché non volontaria, senza per questo ricadere nell’intromissione autoritaria.

    @Vaaal: Non sai cosa ti perdi 😉
    (Scherzi a parte, finché lo vuoi tu fai pure, è quando si inizia con “arrivare vergini al matrimonio è l’unico modo per non ammalarvi di AIDS il preservativo non serve a niente” che sono guai…)

  10. Vaaal 24 Marzo 2008 at 22:12

    uh uh, maddai che io scheeeerzo!

  11. lector in fabula 25 Marzo 2008 at 10:27

    Dato l’argomento, sono costretto ad essere un po’ pedante.
    Il primo esempio che mi sovviene, si ha quando la Pubblica Amministrazione, in un procedimento amministrativo, viola norme sulla forma vincolata di un atto ovvero della comunicazione al privato dell’avvio della procedura; in tal caso, essa sarà immune da sindacato giurisdizionale di legittimità, qualora dimostri che il contenuto del provvedimento non potrebbe essere stato differente da quello adottato, seppur assunto in conformità alla legge.
    Questa parrebbe una norma formulata a tutela del cittadino. In realtà, essa solo apparentemente impone alla Pubblica Amministrazione un onere probatorio, scaricando di fatto tale onere sul soggetto interessato dal provvedimento che, in quanto parte interessata (che qui impropriamente indichiamo come attorea), si vedrà necessariamente obbligato a prospettare al giudice un diverso provvedimento da adottarsi nel rispetto delle regole procedimentali violate. Tale prova è quasi impossibile da fornire.
    Altri e più scolastici esempi di “probatio diabolica”, si hanno nelle dimostrazioni dei diritti reali sulla proprietà immobiliare.
    Ma se ne rintracciano nel diritto penale, in quello amministrativo, nel tributario, ecc.
    Più comunemente, si usa parlare di “probatio diabolica” ogni qual volta il soggetto passivo d’un procedimento giudiziario, solitamente di tipo inquisitorio (anziché accusatorio), non vedrà rispettata dall’ordinamento il c.d. “principio d’innocenza” (per il quale si è innocente fino a prova provata di colpevolezza) e sarà costretto a offrire una prova “in negativo”, dovendo perciò dimostrare che un determinato atto o fatto che gli viene imputato in realtà “non è”.
    L’espressione sembra trarre origine dai processi dell’Inquisizione, per i quali, se confessavi, eri colpevole; se non confessavi, neanche sotto tortura, eri comunque colpevole perché stava a dimostrare che il diavolo ti aveva dato la forza per resistere.

  12. Ivo Silvestro 25 Marzo 2008 at 16:24

    @lector: grazie (non ho capito proprio tutto, però qualcosina sì: mai fidarsi delle leggi!)

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