[Premessa per i non ticinesi: negli ultimi anni ci sono state diverse aggregazioni comunali, e altre verosimilmente ne arriveranno, e conseguentemente uno dei temi caldi è lo status – sia politico-amministrativo, sia di identità – degli ex comuni ora quartieri. Ieri ho assistito a un incontro su questi temi, dal quale ho imparato alcune cose.]
- Ci si preoccupa tanto di OGM e cibo transgenico, ma la (peraltro di fantasia) fragola con il gene antigelo del pesce è nulla a confronto della mutazione che avrebbero subito gli esseri umani che vivono in paesi di piccole dimensioni.
Infatti, pur restando – almeno credo – mammiferi perfettamente funzionanti, hanno le radici come le piante. E oltretutto queste radici non sono un organo accessorio, ma vitale: se non traggono nutrimento dal territorio, queste persone seccano e non riescono più a fiorire.
Insomma, “tagliare le radici alle persone” sarebbe un crimine contro l’umanità, o almeno contro l’umanità che ha assunto la forma vegetale. - Le comunità non possono che essere geografiche. Citando proprio la differenza sociologica tra comunità e società (Gemeinschaft e Gesellschaft), ho scoperto che nelle città non ci sono comunità, che se una persona non sente un irresistibile legame con il territorio dove è nato e cresciuto – a livello di non sapere che fare a New York finché non trova un ristorante che gli cucini gli ossibuchi –, allora è senza comunità. Insomma, le comunità non strettamente geografiche ma basate ad esempio su interessi, passioni, lavoro semplicemente non esistono, non sono comunità.
- La comunità è più importante della società, è più solida della società, è tutto più della società. Però basta un cambiamento della società – come una fusione comunale, o un non chiaro regolamento delle assemblee di quartiere – e la comunità scompare.
Insomma, sapevatelo.
Prima di concludere una precisazione: non è mia intenzione prendermi gioco delle più che legittime preoccupazioni per la qualità della vita di un paese o quartiere. Ho solo voluto esplicitare quelle che secondo me sono delle premesse sbagliate – viziate in buona sostanza dal pensiero nostalgico – delle quali sarebbe meglio liberarsi: non siamo piante, ma persone, i legami non sono necessariamente geograficamente vincolati (oggi, ma direi già da qualche secolo) e comunità e società non sono due entità monolitiche.
Non basta un post per affrontare queste cose.
Per la città (mi riferisco a Torino): a volte capiti in un bar dove ti fanno il caffè ma sei tollerato, loro parlano tutti lo stesso dialetto (o lingua) e anche l’arredamento è tipico nella sua atipicità. Io amo rischiare e se ne intravedo uno mi fiondo dentro.
Per i paesi della zona quando ero giovane e tutti parlavano dialetto ogni paese aveva il suo, cioè le sue varianti.
No, un post non basta. Ma è quello che posso offrire. Soluzioni non ne ho, e soprattutto non credo che esista _una_ soluzione buona per tutte le realtà. Quella di cui parlo è una realtà di valle, un comune composto da varie frazioni geograficamente separate e già accomunate da un’identità comune (quella, appunto, della valle); Torino è diversa, è una città con una sua storia, diversa da Milano o da Lugano… dubito che quello che, a livello di struttura amministrativa, possa andare bene in una realtà possa funzionare anche in un’altra.
Di una cosa comunque sono sicuro: impostando il dibattito con la nostalgia per degli idealizzati “bei tempi di una volta” non si va da nessuna parte