Forse è andata davvero così: animali selvatici che capiscono i vantaggi del vivere a fianco degli esseri umani, diventando così animali domestici.
Richard Dawkins in The Greatest Show on Earth ricostruisce così l’accaduto:
Much of the initial domestication of the dog was self-domestication, mediated by natural, not artificial, selection. Long before we got our hands on the chisels in the artificial selection toolbox, natural selection had already sculpted wolves into self-domesticated ‘village dogs’ without any human intervention. Only later did humans adopt these village dogs and transmogrify them, separately and comprehensively, into the rainbow spectrum of breeds that today grace (if grace is the word) Crufts and similar pageants of canine achievement and beauty (if beauty is the word).
[…]
We can imagine wild wolves scavenging on a rubbish tip on the edge of a village. Most of them, fearful of men throwing stones and spears, have a very long flight distance. They sprint for the safety of the forest as soon as a human appears in the distance. But a few individuals, by genetic chance, happen to have a slightly shorter flight distance than the average. Their readiness to take slight risks – they are brave, shall we say, but not foolhardy – gains them more food than their more risk-averse rivals. As the generations go by, natural selection favours a shorter and shorter flight distance, until just before it reaches the point where the wolves really are endangered by stone-throwing humans. The optimum flight distance has shifted because of the newly available food source.[…] At this stage in the process, humans were not deliberately choosing the tamest individuals for breeding. At this early stage, the only interactions between humans and these incipient dogs were hostile. If wolves were becoming domesticated it was by self-domestication, not deliberate domestication by people. Deliberate domestication came later.
Insomma, gli esseri umani, nella loro storia, hanno modificato l’ambiente, creando una nuova nicchia ecologica,1 all’interno della quale si sono stabiliti alcuni animali, che adattandosi alla nuova nicchia sono diventati cani.
La faccenda si può anche descrivere nei termini di un (tacito) accordo tra uomo e cane o, per mettere bene in chiaro che non si sta parlando di un singolo individuo umano e di un singolo individuo canino, tra umanità e caninità, tra la specie umana e quella canina.
Quali conseguenze ha questa ricostruzione dell’accaduto?
A me sembra che sia un ottimo argomento per concludere che l’essere umano ha delle responsabilità nei confronti dell’essere canino. È anche una buona giustificazione della differenza che poniamo, anche giuridicamente, tra animali domestici e selvatici, e del perché ad esempio concediamo ai cacciatori la possibilità di sparare alle volpi ma non ai cani.
Certo, passare da un patto tra singoli individui a un patto tra due specie diverse non è una operazione da poco, e ci sarebbero ottime ragioni per affermare che, nel secondo caso, parlare di un patto sia poco più, se non poco meno, di una metafora. Lo stesso vale per responsabilità: un individuo può avere una qualche responsabilità, ma una specie?
Insomma, i concetti di patto e di responsabilità avrebbero, qui, bisogno di una bella ridefinizione. Tenendo conto, ad esempio, che i doveri che scaturiscono da questo patto tra specie riguarda, alla fine, i singoli individui, dal momento che l’obbligo, mi pare, non è di occuparsi della salvaguardia della specie canina, ma di occuparsi del benessere di ogni singolo cane.
Io penso che questa ridefinizione si possa fare, e che quello qui abbozzato sia un buon argomento per giustificare la differenza tra animali domestici e animali selvatici, del perché dovremmo occuparci dei cani randagi mentre non abbiamo un obbligo simile per lupi e camosci.2
Un altra questione interessante riguarda gli animali come mucche e maiali. Anche qui c’è patto tra specie che autorizzerebbe l’uomo a sfruttare, per fini alimentari e non solo, questi animali? Si può affermare che la mucca ha concesso latte e bistecche in cambio di un pascolo d’estate e di una stalla con fieno d’inverno?
“portare lupi e camosci all’estinzione”
Per non dir del dodo.
Ciao 😉
Scusa ancora ma non resisto:
http://www.amazon.co.uk/Time-Eat-Dog-Sustainable-Living/dp/0500287902
Non c’è patto, il patto si presuppone tra eguali. C’è solo convenienza, derivante dall’utilità che ci viene fornita dal rapporto con la specie canina (guardia, pastorizia, difesa, compagnia, salvataggio, ecc.) Questa convenienza, o utilità, ci spinge a comportarci come ci comportiamo nei confronti di Fido. Attualmente, rispetto a un passato anche prossimo, la diversa sensibilità nei confronti dell’ecosistema, ci spinge a prenderci cura (leggi: preservare) anche di specie di cui prima ignoravamo l’effettiva utilità (lupi, leoni, facoceri, ecc.).
Relativamente a mucche, maiali, conigli, trote, branzini d’allevamento, galline ovaiole, polli, tacchini, ecc. c’è solo brutale sfruttamento senza neppure alcuna forma compensativa (il cibo e il rifugio che vengono forniti a tali bestie servono solo a ingrassarle a nostro uso e consumo e perciò non possono considerarsi sinallagmatici).
“Non c’è patto, il patto si presuppone tra eguali”.
Completamente d’accordo con lector. Di fatto, i rapporti uomo/animale sono (stati) improntati alla pura forza: noi siamo più forti di ovini, bovini, suini… e ci siamo auto-arrogati il diritto mangiarli a nostro uso e consumo.
La cosa mi risulta triste, ma probabilmente è inevitabile che una violenza di questo tipo si sviluppi in questo piccolo pianeta… 🙁
Da ignorante in biologia, direi che gli umani hanno creato un sacco di nicchie ecologiche, nelle quali prosperano animali come topi, piccioni e scarafaggi. Per costoro però nessuno spende una parola buona.
@Weissbach: Sono tentato di prendere il libro del secondo commento…
@lector: di tutte le obiezioni, quella del patto tra eguali mi sembra la meno pertinente. Un contratto (che è un caso particolare di patto) tra te e una azienda – chessò, Sky per la tv satellitare – non è certamente tra eguali, ma è un patto. Similmente penso accada tra noi e i cani: un patto tacito, come ne avvengono tanti.
Per mucche e galline, temo tu abbia ragione: lì il rapporto è di sola forza, con i vantaggi da una sola parte.
@Galliolus: Topi (anche se qualcuno li tiene come animali domestici), piccioni, scarafaggi penso siano assimilabili a free rider: approfittano della nicchia senza portare vantaggio agli uomini – contrariamente ai cani. Pertanto, nessun patto e quindi nessun obbligo.
@–>Ivo
Sul fatto che “patto” e “contratto” siano la stessa cosa, siamo perfettamente d’accordo (pacta servanda sunt, dicevano i romani, riferendosi ai contratti).
In relazione a Sky e simili, t’inviterei a dare un’occhiata al Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (c.d. Codice del consumo) e alle modifiche che per tale effetto sono state apportate alla disciplina dei contratti del codice civile.
Rimango della mia idea e, cioè, che i patti siano possibili solo tra “eguali”, intendendosi con tale accezione dei soggetti che hanno qualcosa da barattare tra loro. Quando non vi sia alcuna possibilità di baratto (per mancanza di possibile oggetto di scambio di una delle due parti o anche solo per ignoranza di tale possesso – pensa alla coscienza sindacale e alla forza contrattuale prima inesistente che ne è derivata ai lavoratori) si tratta esclusivamente di concessione unilaterale e non di patto.
@lector: Per gli animali da allevamento, temo di doverti dare ragione: non c’è baratto. Per gli animali domestici come i cani, il baratto, il mutuo scambio a vantaggio di entrambi, c’è, almeno in alcuni casi.
Si tratta di un tacito accordo, come quello tra vicini di casa che se oggi spalo io la neve dal viaggetto di accesso domani lo fai tu.
Se diamo per scontata una loro certa intelligenza, che quanto meno gli permetta di stabilire che è molto più conveniente assecondare il padrone piuttosto che sbranarlo, allora sono d’accordo. 😉