Diritti
«È un mio diritto farla finita»: così ha esclamato un uomo di 33 anni quando due controllori dell’ATM lo hanno bloccato, impedendogli di buttarsi sotto un convoglio della metropolitana.
Tralasciando l’ovvia osservazione che avere il diritto di fare qualcosa non significa poterlo fare in ogni occasione, indipendentemente dalle conseguenze e dai danni arrecati ad altri, e tralasciando anche la conclusione della vicenda (ricovero in un reparto psichiatrico – ricorda vagamente il famoso comma 22), è curioso come il linguaggio dei diritti sia arrivato fino a qui.
Imposizioni
Due genitori svedesi non rivelano a nessuno il sesso del loro bambino. Il motivo? Come dichiara la madre:
We want Pop to grow up more freely and avoid being forced into a specific gender mould from the outset. It’s cruel to bring a child into the world with a blue or pink stamp on their forehead.
Vogliamo che Pop [il nome del pargolo] cresca liberamente, lontano da forzature di genere. È crudele introdurre un bambino nel mondo con un bollino blu o rosa sulla fronte.
La madre si riferisce chiaramente agli aspetti culturali della differenza di genere, non al sesso biologicamente inteso. Una soluzione un po’ drastica al problema della discriminazione sessuale.
Ammesso e non concesso che entrambe le notizie siano vere, ovviamente.
Il famigerato paradosso del “comma 22” è riscontrabile molto più di frequente di quanto non si possa ragionevolmente credere. Il Fisco, spesso, emana degli atti di accertamento privi di motivazione; elemento, questo, che li rende nulli ex-lege. Tuttavia, in sede di ricorso, di fronte a tale eccezione da parte del contribuente, l’Agenzia delle Entrate è solita replicare che, se egli è stato in grado comunque di ricorrere, ciò significa di per sè solo che l’atto era sufficientemente motivato.
Ma guarda un po’…
…qualcuno aveva anticipato questa cosa in una vignetta.
Guarda in questo video a 4’44”.
PS: il talk è interessante, ma non lo condivido del tutto.
@lector: E il ricorso viene accolto o respinto?
@Weissbach: Sì, avevo visto il talk ma non mi ricordavo la vignetta. Condivido il giudizio (per quel che ricordo).
Per fortuna, accolto. Ma l’atteggiamento dell’Agenzia è sintomatico d’una certa mentalità fascista, veramente dura a morire, che ancora aleggia nella nostra Pubblica Amministrazione, per la quale sei e sarai sempre un suddito e non un cittadino. Mentalità molto più radicata nei funzionari pubblici di quello che si potrebbe ragionevolmente pensare, dopo cinquant’anni di costituzione democratica.
@lector: Evidentemente la democrazia è compatibile con la sudditanza…
Mi sono andato a leggere un po’ di materiale.
Sinceramente mi manca ancora qualche punto, o almeno spero.
Penso però che se effettivamente il “linguaggio dei diritti” possa confondere ad un primo impatto, questo non significa che prendendo le misure non si possa parlarne compiutamente.
Il link nel “Trackback 1” è un caso eclatante.
Senza partire per la tangente mi fermerei sul fatto che mi auguro sia valido ovunque (anche in India) che il concetto di “istruzione obbligatoria” e di “diritto all’istruzione” non siano assolutamente in conflitto, anche perchè spero che sia evidente che colui che gode della seconda non sia quello perseguibile per aver infranto l’obbligo del primo.
Mi auguro che non si pensi ai “carabinieri di Pinocchio” che arrestino i ragazzi “retinenti” alla scuola, ma che il diritto all’istruzione non sia “negato” da chi magari ne ha persino la “podestà”. Sarebbe auspicabile che tra i perseguiti vi siano anche coloro che non si sono adoperati per avere scuole agibili o strumentazione di studio (almeno i libri) corrispondenti con i propositi espressi da chi ha stabilito il “diritto all’istruzione”
Un Sorriso
@Il più cattivo: È un bel tema, quello. Un diritto può diventare un obbligo?
Deve diventare un obbligo, per superare il problema delle preferenze adattive? Non si rischia di fare i paternalisti, pensando così?
Chiedo scusa, poichè evidentemente quanto da me espresso nel precedente commento non era sufficientemente chiaro.
L’istruzione obbligatoria deve essere intesa tale nel senso che se vi sono delle persone penalmente perseguibili che causano nel “benficiario del diritto” l’impossibilità di ottenerlo esse devono essere perseguite. In termini espliciti, se io tutte le mattine chiudo in casa mio figlio per non farlo andare a scuola sono perseguibile. Se lo mando a lavorare (o creo le condizioni affinchè) e quindi fa altro invece di andare a scuola sono perseguibile. Pensare di “arrestare” un minore affinchè debba andare a scuola mi sembra talmente idiota che non lo prendevo in considerazione come cosa da spiegare.
Un Sorriso
@il più Cattivo: Inquadravo il problema il un contesto più ampio.
Il problema specifico è che, in alcune regioni, i bambini non vengono chiusi in casa, ma vanno a lavorare (non vengono mandati a lavorare, ci vanno loro per aiutare la famiglia). Un diritto è qualcosa che tu non mi puoi impedire di fare, ma se io non la voglio fare non sono obbligato a farla. Se i bambini e i genitori non vogliono andare a scuola, che si fa?
Spiacente ma dissento in toto.
I bambini sono tali e come tali vanno “tutelati”.
Persino “contro la loro stessa volontà”.
In realtà non credo che in un paese “che ambisca ad avere dei cittadini” (ed aggiungo io consapevoli) sia accettabile che bimbi di meno di quattordici o giù di lì (ma il problema vale già a sei) contribuiscano al “prodotto nazionale lordo” neanche nelle famiglie indigenti.
Nel mio “talebanismo” (al contrario) sono feroce oppositore persino dell’esposizione dei bambini prodigio o anche solo al loro utilizzo in pubblicità. Se lo stato non tutela neanche più l’infanzia gli rimane solo la tutela dei ricchi (i quali ben si guardano dal rinunciarvi).
Un Sorriso (amareggiato)
@il più Cattivo: Aspetta: mica sostengo che sia giusto che un bambino di dieci anni lavori in fabbrica!
Mi limitavo a porre un problema del quale occorre tenere conto: non conosco la legge indiana, ma se si limita a obbligare i bambini ad andare a scuola, senza tenere conto del mancato guadagno causato, nel breve periodo, dall’educazione, credo sia una legge migliorabile.
Ivo: pfiuuuu, meno male …. pensavo di avere incocciato uno schiavista 😉
… neanche io conosco la legge indiana (ad essere precisi non conosco neanche quella italiana in proposito) ma questo non significa che possa credere che sia così fessa. Certo che non indennizzerà gli schiavisti (spero). Tu vorresti indennizzarli????
Un Sorriso
… pfiuuu che pericolo che abbiamo scampato 😀 un potenziale schiavista blogger… magari venivi a prelevare i miei bimbi per fargli cucire i palloni!!!
Dopo aver visto questo video:
http://www.ted.com/talks/kevin_bales_how_to_combat_modern_slavery.html
Mi sono fatto un giretto su questo sito:
http://www.antislavery.org/
e anche su questo:
http://www.freetheslaves.net/
Sai che non reggo più di dieci minuti?
Grazie davvero per i link.
Anch’io (che ambisco a diventare il più Cattivo) faccio fatica, ma mi riprometto di prendermi il tempo necessario per il materiale che hai presentato.
Un Sorriso
“Liberatomi” da una serie di impegni stasera ho finalmente seguito la conferenza di Kevin Bales. Grande e chiara. Alcuni punti li sentivo talmente miei che potrei chiedermi come potessimo condividerli pur senza basi comuni. In particolare la chiusura della conferenza è davvero grande: Se non combattiamo la schiavitù possiamo dirci liberi? da sola merita la visione dell’intera conferenza.
Un Sorriso
@il più cattivo: Se non combattiamo la schiavitù possiamo dirci liberi?
Sai, ho il dubbio che una parte della nostra libertà dipenda dal fatto che da qualche parte ci siano schiavi che lavorano per noi. E no, non mi piace per nulla, questo pensiero.
Concordo (sulla correttezza del dubbio), anche se hai mischiato due concetti.
Ciò che ci rende liberi è davvero ciò che otteniamo in qualche misura dalla privazione della libertà altrui?
Potresti aver visto (sei troppo giovane per averlo visto al cinema, ma in televisione lo hanno passato più volte) un film con Alberto Sordi “Finché c’è guerra c’è speranza”
http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Finch%C3%A8_c%27%C3%A8_guerra_c%27%C3%A8_speranza&redirect=no
che come riporta wiki:
sostiene in qualche modo quella tesi. Io invece propendo al contrario per la tesi opposta, e ritengo che, in modo resiliente, è ciò che hai appreso e che ha sviluppato la tua consapevolezza che ti rende libero!
Un Sorriso
@il più Cattivo: Sì, ho mischiato due concetti.
Per concludere anche io con una citazione: qualcuno era comunista perché credeva di poter essere libero e felice solo se lo erano anche gli altri. (in realtà pare che Gaber cantasse vivo e felice, ma concedimi l’errore)