Domani nella regione del Sud Sudan si vota per diventare nazione autonoma separandosi dal governo centrale di Khartoum.
L’idea di un popolo che vota invece di combattere è di quelle che ti fa sentire bene. Risolvere i conflitti con le parole invece che con le spade. Poi però ti rendi conto che il voto, più che libera manifestazione di consenso, è un compromesso dovuto al fatto che le armi non hanno risolto nulla – e infatti a nord, nel Darfur, non ci si pensa proprio a votare: lì le armi per ora bastano. La politica come proseguimento della guerra con altri mezzi, con il rischio di tornare alle armi se il risultato non dovesse andare bene a qualcuno (e necessariamente il
risultato non andrà bene a qualcuno).
Insomma, ancora una volta la nascita di una nazione è un conflitto di forze e di poteri ben distante dall’idilliaca autodeterminazione delle persone con cui, un domani, quando la situazione si sarà stabilizzata, si riscriverà il passato per nobilitare il nuovo stato.
Intanto leggo le curiose dichiarazioni di Salva Kiir Mayardit, l’eventuale presidente del Sud Sudan, sugli omosessuali: non farebbero parte del carattere del paese, e a cercare di importarli (!) si incontrerebbero difficoltà. Se il buongiorno di vede dal mattino, il Sud Sudan sarà un’ottima nazione.