Ieri sera ho assistito alla conferenza di un illustre pensatore del quale preferisco tacere il nome dal momento che, qui, riassumo, e pure brutalmente, solo un aspetto di quelli da lui affrontati, e durante la conferenza ha detto molte cose interessanti, alcune delle quali condivisibili, ma sulle quale, adesso, non scrivo nulla.
L’illustre pensatore era stato invitato ad esprimersi su un tema che potrei riassumere con “la coscienza e la soggettività minacciate dalle neuroscienze”. Non era ovviamente questo il titolo assegnato, ma grosso modo rispecchia un po’ il succo della parte di discorso dell’illustre pensatore che a me interessa.
Che cosa ha detto – ripeto, tra le altre cose, ed estremizzando un po’ – questo illustre pensatore? Grosso modo, quanto segue.
Non c’è spazio per la soggettività, nelle neuroscienze. E non è il semplice problema per cui, ad esempio, nella cinematica non c’è spazio per i colori, nel senso che è un aspetto del quale quella disciplina, per svariati motivi, non si interessa. È diverso: gli neuroscienziati non dicono “la soggettività c’è, ma a noi non interessa studiarla, non è affar nostro”; loro dicono: “è affare nostro e ti diciamo che la soggettività non esiste, è un’illusione”. Il problema è che senza soggettività, se tutto il nostro pensiero è solo un complicato macchinario elettrochimico, ad esempio sparisce la responsabilità, e un criminale non lo punisci, ma lo metti in clinica – per sempre se la sua disfunzione non è curabile; o ancora: se qualcosa non va, se sei troppo vivace per restare attento a scuola, se sei triste perché il tuo partner ti ha sbattuto fuori di casa eccetera, non vai da uno psicologo, ma prendi una pillola. E questo è un problema, perché abbiamo due narrazioni, una nella quale puniamo chi commette un crimine per ricuperarlo e aiutiamo con le parole chi ha problemi, e l’altra narrazione in cui abbiamo disfunzioni, errori di funzionamento, malattie che medicalizziamo, curiamo con la biochimica o l’elettroshock o la lobotomia.
Questo quello che ha detto. E io ho un problema, con tutto questo. Che non è tanto se gli neuroscienziati affermano davvero quelle cose che secondo l’illustre pensatore affermano. No, il mio problema è il seguente: e se avessero ragione?
D’accordo, abbiamo due narrazioni, due diverse interpretazioni della vita psichica degli uomini, In una c’è la soggettività, nell’altra non c’è. In una c’è spazio per cose come la responsabilità, gli stati d’animo eccetera; nell’altro c’è spazio per neuroni che si attivano e pillole che modificano come questi neuroni si attivano. Ammesso che le due narrazioni non possano convivere in una qualche maniera, la prima è meglio della seconda solo perché ci siamo abituati? Dobbiamo respingere la seconda solo perché è grosso modo dai tempi di Omero che parliamo di responsabilità?
Io la respingerei per insufficienza di prove, almeno al momento. Naturalmente devo stabilire che l’ onere della prova spetta a chi la sostiene ma non è poi così difficile: in genere chi denuncia il senso comune come un’ illusione si accolla automaticamente il gravame.
Perché quel pixel sullo schermo è diventato rosso?
1) perché 17 è un numero primo, e l’algoritmo che sta girando cerca i numeri primi ed accende per ciascuno di essi un particolare pixel etc etc…
2) perché la corrente continua che gira nei circuiti del processore viene fermata da alcune porte e viene lasciata passare in altre seguendo rigorosamente le leggi dell’elettromagnetismo etc etc
Gli argomenti del tuo post potrebbe benissimo adattarsi a questa dualità, ma qui è più semplice rendersi conto che le due spiegazioni non sono in nessun senso alternative e possono benissimo convivere.
Infine, indipendentemente dalla mia osservazione qui sopra, la questione della responsabilità è più legata a quella del determinismo assoluto, più che all’esistenza di descrizioni a livelli diversi di medesimi fenomeni.
La filosofia buddhista ci gira da 2500 anni. Loro sostengono che un “io” non c’è, ma gli eventi sì, anche quelli “causati” dall’io. Quelli che nella vulgata poi vengono considerati come “uh questo produrrà cattivo karma!”. Come a dire che tu, nella tua prossima vita, starai peggio perché hai fatto qualcosa di male in questa.
Ma in realtà poi loro ti dicono “non hai capito: quel ‘tu’ non esiste, non esisterà, come non esiste un ‘io’ adesso. Esistono gli eventi, come quando getti un sasso in acqua e le onde continuano anche quando il sasso non c’è più”.
Detto questo, conosci la soluzione utilitarista al problema. Che potrei riassumere in “fotte sega, non sto qui a fare metafisica, se c’è qualcuno coinvolto in un crimine lo metto in galera per il bene comune e bon”.
@kirbmarc: Insufficienza di prove in senso qualitativo, immagino, e non quantitativo, perché di letteratura, in proposito, ce n’è parecchia.
@mlejnas: la descrizione 1 è interamente riducibile nella descrizione 2, per quanto la descrivere un algoritmo a livello di circuiti sia in genere molto scomoda. Il lamento dell’illustre pensatore riguarda una soggettività irriducibile, qualcosa che non puoi proprio descrivere a livello di neuroni, non che è troppo scomodo farlo.
@alex: Ho dei dubbi sulla soluzione utilitarista del problema: un utilitarista vuole ottimizzare i propri risultati; scoprire che la responsabilità non esiste, che chi delinque lo fa per un corcocircuito cerebrale può portare l’ottimizzazione a pratiche inedite. Del tipo: “Questo qui ha fatto qualcosa che gli altri non fanno. Ha il cervello rotto? Lo possiamo riparare? Ok, ripariamolo, se no buttiamolo via, o mandiamolo altrove”.
Io affronterei il problema da fisico, quale sono.
La meccanica statistica studia processi su larga scala dove la conoscenza esatta delle interazioni tra i vari elementi in gioco non aiuta a conoscere il comportamento del tutto. Tra i vari esempi c’è la sabbia, che in certe condizioni (ad esempio nei terremoti) si può comportare in modo alquanto inaspettato e non descrivibile a priori dalle semplici relazioni che governalo le interazioni granello-granello.
Facciamo ora un esempio: diciamo che abbiamo costruito una casa sopra un mare di sabbia e siamo preoccupati che durante un terremoto la casa sprofondi. Puoi agire in 2 modi: a livello di interazioni fondamentali (iniettando collanti nella sabbia per aumentare le forze di accoppiamento granello-granello) o a livello macroscopico facendo una base di cemento molto ampia su cui costruire.
Io vedo nel primo caso la neuroscienza, mentre nel secondo la psicologia; in pratica quello che intendo è che nei processi complessi non sempre la conoscenza dei comportamenti dei processi di base (i neuroni) aiuta a descrivere il comportamento finale.
@Alessandro: interessante metafora. Due approcci diversi, entrambi ‘veri’ e utilizzabili a seconda dei casi. Non so se questo “punto di vista del fisico” sarebbe accettato anche da neuroscienziati e affini, ma è un buon punto di partenza per vedere come interagiscono i due approcci e quale è migliore in determinate situazioni.
Scusate se mi sento offesa: ma l’approccio “due narrazioni diverse ma entrambe vere e compatibili” non è precisamente quello che suggerivo col mio esempio dell’algoritmo (alto livello) che gira su un processore (basso livello)?
@mlejnas: addirittura offesa? 😉
Comunque, per come l’ho capito io, l’alto livello del tuo esempio è riducibile al basso livello, mentre ciò non accade con l’esempio della sabbia, il cui comportamento può essere imprevedibile a livello microscopico.
Ma forse non ho capito bene io…
Oh bella!
Dicevi, a me, “la descrizione 1 è interamente riducibile nella descrizione 2, per quanto […] molto scomoda.”
Non vale forse la stessa cosa per la descrizione della sabbia a livello microscopico e macroscopico? Non vorrete forse sostenere che a livello macroscopico intervenga della nuova fisica, solo perché è “scomodo” risolvere l’equazione di Schrodinger per un numero strabiliante di particelle?!?
@mlejans: l’equazione di chi? 😉
Io avevo letto diversamente le due cose ma, appunto, probabilmente ho capito male.
Per l’illustre pensatore che ha scatenato tutto, penso sia accettabile una descrizione su due livelli se sono alla pari, senza che uno sia riducibile all’altro, senza supremazia di una descrizione rispetto all’altra.
“la descrizione 1 è interamente riducibile nella descrizione 2, per quanto la descrivere un algoritmo a livello di circuiti sia in genere molto scomoda. ”
Nella mia testa a questo punto la confusione regna sovrana….
Sapevo che era difficile descrivere in modo algoritmico circuiti complessi ma questa mi manca….
Riguardo invece il tema, personalmente lo ritengo superato. Già da tempo considero tutti questi “fenomeni” come emergenti da strutture governate, a livello sistemico, in modo deterministico anche se a livelli diversi sono intrensicamente impredicibili o indeterminabili.
Un Sorriso
Be’, se restassi nella descrizione a circuiti, e non avessi problemi “di scomodità”, potresti prevedere con certezza quando un certo pixel si accende o meno e ciononostante potresti non trovarti mai a che fare col concetto di numero primo. Dunque sì, i due livelli sono “alla pari” nel senso che uno non è riducibile all’altro, in un certo senso, pur restando che uno dei due livelli è “più fondamentale” in un senso fisicalista del termine…
Tra l’altro trovo il paragone fra l’algoritmo dei numeri primi e i circuiti più calzante rispetto all’esempio della sabbia, perché davvero il livello “matematico” può rimanere del tutto opaco rispetto ad una descrizione a circuiti, mentre il comportamento macroscopico della sabbia sarebbe solo “difficile da calcolare” a partire dal comportamento microscopico, ma in nessun senso sarebbe un livello di descrizione “inerentemente” estraneo.
@mlejans (e anche @ilpiùcattivo): mi sa che alla base c’è un (piccolo?) fraintendimento su come leggere metafore e paragoni proposti… Come a volte capita, si colgono aspetti diversi.
@mlejnas: non si tratta di comodo o scomodo; si tratta di impossibile per le attuali conoscenze (già a partire da 3 corpi il problema non è risolvibile analiticamente in via generale). In realtà esiste un intero settore della matematica che si occupa del caos come frutto di processi semplici che si sommano su grandi numeri in processi imprevedibili. Esempi ce ne sono molti e spesso si parla di caos deterministico o meno.
In ogni caso riguardo al fatto di nuova fisica dipende da cosa intenti con quelle parole: come ho spiegato nel post precedente la fisica si divide in diversi settori, quelli che studiano le interazioni fondamentali tra le particelle e quelli che studiano la materia condensata. Io non direi a questi ultimi che loro si occupano solo di *scomode* deduzioni delle leggi fondamentali.