Io non suggerisco di imporre dei limiti al pensiero, bensì a certe amplificazioni istituzionali del pensiero. I difensori di Salman Rushdie – e, badi bene, io non sono tra quelli – non vogliono solo che egli pensi, vogliono editori, stazioni televisive, club letterari per amplificare il suo pensiero e per approfittare dei guadagni. Non è la libertà di pensiero che mi preoccupa, ma la libertà del pensiero a pieni poteri. Infatti il potere, a prescindere dal modo in cui viene esercitato, deve sempre essere tenuto d’occhio molto attentamente! Gli scrittori amano sottolineare che la penna è più potente della spada. Be’, se hanno ragione, allora è anche più pericolosa. Immagini per esempio un caso simile: una società sull’orlo di una guerra civile, uno scrittore sta scrivendo un libro che potrebbe provocarne l’inizio. Come governante responsabile ordinerei che il libro fosse bruciato e lo scrittore imprigionato, se non promettesse solennemente di attendere tempi meno pericolosi; a mio parere la vita umana è molto più importante della parole che pretendono di rappresentare delle idee.
P. K. Feyerabend, Al termine di una passeggiata non filosofica tra i boschi, in Dialoghi sulla conoscenza (trad. it. di R. Corvi); Roma-Bari, Laterza, 1991.
Non è il libro il responsabile della guerra civile, sono le persone che decidono di seguirlo.
Specialmente nella tua visione delle cose, altrimenti ritorniamo sul censurare le idee “pericolose” e indirettamente dai ragione a Sam Harris. Non puoi seguire Mill E Feyerabend.
Io,se fossi un governante responsabile, non censurerei il libro ma chiederei a tutti gli intellettuali che vogliono evitare la guerra civile di criticarlo nel modo più aspro possibile (per far capire che il suo messaggio).
Come al solito, Feyerabend cialtroneggia (mai quanto nelle sue fesserie sulla scienza, ma ci si avvicina): infatti, in questo modo, il suo stesso libro potrebbe essere censurato (con la motivazione che difende l’irrazionalità pura che porta al caos sociale 😉 )
Feyerabend, qui, attacca chi sostiene l’universalità dei valori e la loro applicazioni a tutte le circostanze.
Un altro esempio è la sincerità: che senso ha essere sinceri con una madre in fin di vita che chiede informazioni del figlio che, noi lo sappiamo ma lei no, ha commesso le peggiori nefandezze? Secondo alcuni (Feyerabend cita Kant) occorre essere sinceri anche in queste situazioni, per non fare “torto all’umanità”, un’entità astratta in nome della quale, argomenta il “cialtrone”, si fa soffrire una persona vera, la madre del nostro esempio.
Sono sostanzialmente d’accordo con questo approccio, che vedo compatibile con il mio “la responsabilità è delle persone, non delle idee” (in fondo, le persone sono particolari, le idee no).
Sul caso specifico: Feyerabend non attacca le idee del libro, ma il libro come pubblicazione in un particolare contesto storico. In ogni caso, se ne può discutere, e la tua idea da governatore responsabile non è affatto da disprezzare.
Concordo con Feyerabend.
Ho conosciuto più di una persona che in nome di ideali astratti (dal mio punto di vista, tra l’altro, estremamente discutibili) ha fatto soffrire enormemente persone concrete.
Ci si può chiedere, semmai, se è giusto soffrire per le idee (per quanto nefande) e per le azioni degli individui a cui teniamo.
Ho letto una volta: chi vuol essere martire sposi un santo.
La coerenza è gli ideali sono bellissime cose (sul serio) ma in certi casi è meglio curarsi degli individui.
Ho conosciuto più di una persona che in nome di ideali astratti (dal mio punto di vista, tra l’altro, estremamente discutibili) ha fatto soffrire enormemente persone concrete.
Verissimo. Io conosco addirittura persone che in nome di principi talmente astratti che nessuno riesce a definirli fanno soffrire centinaia di malati concreti, bloccando le leggi sul testamento biologico.