Ogni tanto, in qualche articolo sul ruolo pubblico della religione o durante qualche dibattito sulle radici religiose dell’etica e della politica, viene citato l’Eutifrone di Platone. In effetti in quel dialogo Socrate discute, appunto, di santità e giustizia con uno che di mestiere, se così si può definire, fa l’indovino.
In Platone la cornice dei dialoghi non è mai casuale, e infatti i due si incontrano davanti al tribunale: Socrate è lì perché denunciato da Meleto Eutifrone; invece, per accusare il padre di omicidio.
Sul tema della giustizia, Eutifrone si professa grande esperto, e Socrate, viste le accuse che pendono sul suo capo, è ben disposto ad ascoltarlo: diventando suo scolaro potrebbe apprendere come difendersi.
Eutifrone gli propone però una definizione deludente: giusto è ciò che è caro agli dei.
Obietta Socrate: gli dei litigano, e ciò che gradisce Zeus può dispiacere a Crono e Urano. Eutifrone abbozza: è giusto ciò che è caro a tutti gli dei, nessuno escluso.
E qui arriva l’affondo di Socrate: è l’uomo giusto, in quanto giusto, ad essere amato dagli dei, oppure è l’uomo amato dagli dei a essere giusto? In altre parole, una certa azione è approvata dagli dei perché buona oppure è buona perché approvata dagli dei?
Se è buona perché approvata dagli dei, allora gli dei approvano ciò che approvano, in un circolo vizioso privo di senso. Se invece gli dei approvano qualcosa perché buono, allora l’approvazione degli dei è, tutto sommato irrilevante.
Eutifrone, alla fine, si allontana con una scusa.
Perché riprendere e citare, dopo oltre duemila anni, questo dialogo?
Gli dei di Eutifrone non ci sono più, e il monoteismo ha elegantemente risolto il problema della litigiosità tra le divinità: quelle obiezioni di Socrate suonano quasi surreali, alle nostre orecchie abituate al Dio unico.
Rimane il problema del circolo vizioso, ma anche per quella i teologi hanno una soluzione, per quanto meno elegante della prima: come Benedetto XVI ripete in continuazione, Dio è logos – ragione, pertanto le due alternative proposte da Socrate sono frutto di un malinteso, di un errore di prospettiva: Dio non è semplicemente buono, è il Bene.
Se proprio si vuole riprendere il dialogo tra Socrate ed Eutifrone, sarebbe bene fermarsi alla prima risposta di Eutifrone alle domande di Socrate [5d-e]1:
Socrate: Ebbene dunque, dì: cosa sostieni essere il santo e il non santo?
Eutifrone: Affermo dunque che è santo quello che faccio io ora, cioè trascinare in tribunale chi si rende colpevole o di omicidio o del furto di cose sacre o commette qualche altro reato simile, anche se costui è tuo padre, o tua madre o qualunque altro congiunto; mentre è empio non trascinarlo in giudizio.
Socrate ovviamente non si accontenta di questa risposta, che trova troppo particolare: «io non ti chiedevo questo, di insegnarmi una o due delle molte azioni sante, ma proprio quell’idea per la quale tutti gli atti sono santi» [6d].
Adesso, la risposta di Eutifrone, in realtà, contiene già un principio tutt’altro che trascurabile e di portata universale: la giustizia è qualcosa di più forte dei legami di parentela. Socrate neppure di accorge di questo principio e passa oltre: lui vuole l’idea.
Eutifrone avrebbe dovuto rispondergli: «Ti ho presentato un esempio, Socrate, e adesso te ne fornirò un altro, e poi un altro ancora, e vedrai che, alla fine, con tutti questi esempi, imparerai a distinguere il santo dal non santo, il giusto dall’ingiusto; perché, caro Socrate, la tua idea di santo, in realtà, non è altro che questo: imparare a giudicare.»
Foto di John Linwood
- trad. di Gino Giardini da Platone, Tutte le opere, Roma, Newton-Compton, 2002. [↩]
Grande! La riabilitazione del bistrattato Eutifrone. La aspettava da un paio di millenni e mezzo. E fanculo quel pedante cacadubbi di Socrate.
P.S.: giuro, nessuna ironia. Sempre stato dalla parte di Eutifrone, io.
Peccato che la risposta finale non la dia Eutifrone, (preferisce scappare), forse perchè agli Eutifroni di tutti i tempi non interessa imparare a giudicare, ma avere un qualcuno, un’autorità, che giudica al posto loro…
Sto con Socrate. Non ho mai sentito un argomento soddisfacente basato su una lista di esempi.
! Sto con Ivo-frone, perché la gente si fa la guerra sull’idea di santo. Oddìo, se la fa anche sulla lista, ma almeno è una guerra laica (semplificare, sempre semplificare!)
@farfintadiesseresani: Dai, non esagerare: povero Socrate (che oltretutto l’ha pagata cara).
@Claudio: Chissà, magari ha risposto qualcosa del genere: non dimenticare che noi abbiamo solo la versione di Socrate / Platone.
@Caminadella:
Prima risposta che mi viene in mente: un libro di ricette.
Lasciando da parte l’Eutifrone di Platone, che un po’ pirla lo è davvero, non ho detto che gli esempi, da soli, bastano…
@ferrigno: Purtroppo, si può fare la guerra su tutto… tu, ad esempio, da che parte rompi l’uovo?
In realtà l’idea del Dio-Logos, dell’Uno-Bene, secondo Reale (e la scuola di Tubinga-Milano) era già presente in Platone! Solo che a quanto pare, trattandosi di insegnamento esoterico, non venne mai messa per iscritto ma al massimo accennata: le si riservava rigoroso insegnamento orale. Che ve ne pare? A me sembra tanto rileggere Platone con gli occhi di un neoplatonico. E poi in ogni caso non avremo mai materiale per confermare o confutare…
a me sembra che il suggerimento (ma eutifrone non l’ha sentito!) sia una cosa del genere “dà più retta al giovane puledro che prima o poi scalcerà la madre” 🙂
@Tommy David: Sull’insegnamento esoterico di Platone non so praticamente nulla, ma certamente dietro l’idea del Dio-Logos c’è Platone (e Plotino). E questo conferma la mia tesi: le obiezioni di Socrate non riguardano la religione in generale, ma la religione tradizionale greca.
Non a caso Ratzinger, nel discorso alla Sapienza, cita questo dialogo come momento del superamento del mito…
“Se è buona perché approvata dagli dei, allora gli dei approvano ciò che approvano, in un circolo vizioso privo di senso. Se invece gli dei approvano qualcosa perché buono, allora l’approvazione degli dei è, tutto sommato irrilevante”
Continuo a ritenere queso dilemma importante.
La soluzione “Dio è il logos” è insoddisfacente: il “Logos”, inteso come razionalità ,come facoltà di ragionare, è una capacità dei cervelli umani (e forse anche di altri cervelli su altri pianeti), non una entità astratta situata in qualche ipeuranio.
Ciò significherebbe che o la divinità è un “epifenomeno” del cervello (e perciò anche se non strettamente “inventato” dall’uomo, non è un’entità indipendente dall’uomo stesso, è una creazione del cervello umano), o che la definizione “Dio=Razionalità” è da rivedere.
Lo stesso discorso vale per il “Bene”.
Diceva bene Nietzche: “umano, troppo umano”.
Kirbmarc: La “soluzione Dio-Logos” al problema di Platone è interna al sistema platonico, è già Platone (e soprattutto il “discepolo” Plotino) a presentarla.
Se rifiuti le idee, o meglio le riconduci al mondo umano, allora cade tutto: sia la soluzione che la domanda: non ha più senso chiedersi quale sia l’essenza della giustizia, ma quali sono le azioni giuste e quelle ingiuste.
“Non ha più senso chiedersi quale sia l’essenza della giustizia, ma quali sono le azioni giuste e quelle ingiuste.”
Si può anche tentare di capire come si origina evolutivamente il “pattern” comportamentale della giustizia, e provare a fissare una base “generale” che serve a filtrare i comportamenti giusti da quelli ingiusti, ad esempio “comportamenti ingiusti sono quelli che aumentano la sofferenza”.
domanda: quale tipo di sofferenza? Perché poi, alla fine, non trovo tanto ingiusto frustare un masochista.
Infatti era una prova. Non ho detto che sia un dogma! 😉
(Forse “la sofferenza non esplicitamente richiesta da un adulto” andrebbe meglio, anche se è lungo e un pò cervellotico).
Non credo proprio che il Logos fosse inteso come facoltà umana di raziocinio da Platone. Detto così sempre un cognitivista o Immanuel Kant.
ciao! Eno
Kirbmarc:
Sì, certamente. Ma, a parte che si rischia di fare psicologia e non etica, si tratta comunque di una ricerca che Socrate criticherebbe dicendo che lui vuole l’idea di giustizia…
Vaaal: Appunto: la ricerca evoluzionista non necessariamente ci aiuta a risolvere il caso del masochista, come invece può fare il ragionamento (è con il ragionamento che Kirbmarc arriva a “la sofferenza non esplicitamente richiesta da un adulto”, non penso certo con l’evoluzione – che comunque ci ha dato la ragione, per cui indirettamente c’entra sempre).
eno: Kant era cognitivista? 😉
Scherzi a parte: penso proprio che tu possa togliere quel “non credo”: sicuramente il logos non è una facoltà umana per Platone, su questo penso non ci siano dubbi.
frustare un masochista potrebbe essere comunque sbagliato in sé, o anche un’azione che una persona “buona” non commetterebbe a prescindere dal “piacere” che può dare al masochista.
@Alex: Frustare un masochista può essere una azione che non mi va di eseguire, perché detesto la violenza, e non è certo mio dovere accontentarlo. Però posso accettare senza commettere un crimine o un atto immorale…
due punti di vista (aristotelico e kantiano) sui tre (utilitarismo) in maggior voga dicono che è comunque immorale.
poi dici giusto, non è illegale, ma la legge positiva dipende da come è stata scritta, e da chi.
@Alex:
Risolvere un simile problema a maggioranza è un sistema utilitaristico, quindi la votazione è nulla e vince l’utilitarismo 😉
Sì, certamente. Ma, a parte che si rischia di fare psicologia e non etica, si tratta comunque di una ricerca che Socrate criticherebbe dicendo che lui vuole l’idea di giustizia…
Domanda ipotetica: se della morale conosci la sua origine, la sua applicazione , i centri nervosi che la controllano e la natura sociale, serve a qualcosa interrogarsi se abbia una “sostanza a priori”?
E la morale esisterebbe se non esistessero esseri intelligenti? (Ne dubito fortemente: non è una legge di natura…)
“Però posso accettare senza commettere un crimine o un atto immorale…”
Per inciso, per quanto ci siano legami fra moralità e leggi,sono comunque ambiti diversi.
“Appunto: la ricerca evoluzionista non necessariamente ci aiuta a risolvere il caso del masochista, come invece può fare il ragionamento (è con il ragionamento che Kirbmarc arriva a “la sofferenza non esplicitamente richiesta da un adulto”, non penso certo con l’evoluzione – che comunque ci ha dato la ragione, per cui indirettamente c’entra sempre).”
Sì, infatti. Quello che volevo sostenere è che conoscere come si sono evoluti gli “istinti morali” è ciò che cidà spazio per adattarli alle esigenze che l’evoluzione non prevedeva (visto che non è retta da Disegni Intelligenti). Così come conoscere l’anatomia umana serve a curare gli esseri umani. Per questo motivo, a mio avviso, la ricerca morale “a priori” è inutile, sarebbe come volere amputare un arto senza sapere nulla dell’anatomia umana, maseguendo dei criteri , sia pure razionali, di “giustezza dell’arto”.
@Kirbmarc: su questo tema siamo d’accordo: mi chiedo però quanto queste riflessioni possano convincere un Socrate di oggi (che, comunque, non avrebbe tutti i torti a chiedere una cornice teorica robusta).
“non avrebbe tutti i torti a chiedere una cornice teorica robusta”
In che senso una cornice teorica? Un motivo per cui la morale è morale?
Ovvero,la domanda “teorica” è sul PERCHE’ biognerebbe attenersi alla morale? (“Che cosa” è la morale, come abbiamo visto , viene definito dai “comportamenti morali” stessi). Parafrasando,se l’etica è un semplice prodotto dell’evoluzione, perché dovrebbe essere così fondamentale attenervisi?
Mi permetto di citare (con le opportune variazioni)Maurizio Calucci, dal suo blog,visto che ha risposto sull’argomenti in maniera ineccepibile:
“Il fatto che le nostre leggi morali di base siano prodotte dall’evoluzione non ci impedisce di essere morali.
Per essere morali verso le altre persone è necessario e sufficiente essere motivati da una empatia sincera verso di loro, non dall’interesse personale. Quindi, se tu fai del bene a qualcuno perché Dio lo vuole, allora non sei morale (perchè lo fai per un interesse , la “vita eterna” Nota mia). Se invece fai del bene perché provi empatia sincera, sei morale. Il fatto che la tua empatia sincera sia stata prodotta dall’evoluzione non altera le cose: resta il fatto che la tua motivazione ad agire è quella giusta: l’emozione, non l’interesse.
Ad esempio, i religiosi dicono “Senza Dio (o l’entità metafisica, comunque si voglia chiamarla) non è possibile dare un fondamento alla nostra morale”, noto anche come “Se dio non esiste, perché essere buoni?”.
Questo argomenti ha molti problemi. Ne elenco brevemente due (su tre citati da Maurizio, il primo non era pertinente strettamente all’argomento “etica” -Nota Mia)
1. L’argomento “senza Dio non è possibile dare un fondamento alla propria morale” implicitamente assume che i religiosi derivino la propria morale da Dio. Non è così. In realtà nessuno (neanche Ratzinger) deriva la propria morale da Dio. Infatti, i religiosi scelgono di seguire alcuni precetti delle Scritture e di scartarne altri (come ad es. rifiutano di uccidere gli apostati, i bambini disobbedienti, ecc).
Altre volte, i religiosi decidono di interpretare alcuni precetti in modo simbolico. Ma, anche in questo caso, il criterio che i religiosi seguono per decidere quali precetti interpretare in modo simbolico, e quali in modo letterale, non può evidenetemente provenire dalle Scritture stesse. Deve quindi provenire da qualche altra parte (dalle proprie intuizioni morali). Ma allora questo criterio è disponibile anche agli atei.
Per riassumere: neppure i religiosi traggono la loro morale da Dio. La loro morale non è quindi più “assoluta”, o “più fondata”, di quella di un ateo. Sia l’ateo che il religioso si affidano interamente alle proprie intuizioni morali. (Con l’unica differenza che gli atei si appellano direttamente a queste intuizioni, e i religiosi le usano indirettamente per separare i precetti di Dio che ritengono buoni da quelli da scartare o interpretare simbolicamente.)
La fonte della moralità del religioso non può quindi essere Dio, ma sono le sue stesse intuizioni morali. Intuizioni morali che, inutile dirlo, sono state create dall’evoluzione (come anche i nostri cervelli). Per l’evidenza che la nostra morale deriva dall’evoluzione, vedi il libro “Menti morali” di Marc Hauser.
2.Una morale fondata su Dio non è concepibile neppure in linea di principio. E’ una contraddizione di termini. Infatti, supponiamo che tu mi dica “se Dio non esiste, perché dovremmo comportarci moralmente?”. Io potrei rispondere: “Veramente stai dicendo che l’unico motivo per cui tu non uccidi, non rubi, non picchi i più deboli, è che Dio lo vuole? Ma questa non è vera moralità, è soltanto lecchinaggio, è agire per timore della punizione.” Manca cioè della caratteristica chiave della moralità.(La mancanza di costrizione. Nota Mia.)”
@Kirbmarc:
No, pensavo, ad esempio, alla differenza tra legge e morale, al rapporto tra intuizioni e ragionamenti, a cose così. Non è che ci si possa buttare subito in una genealogia della morale (perché di questo, in fondo si tratta), senza prima meditare su dove collocare questa genealogia.
Questa domanda è diversa dalla domanda di Socrate “quale è l’idea di azione giusta?” ma dipende da essa, ed è bene tenercela stratta.
Socrate non era persona atta a giudicare, come lui stesso sosteneva, “Io so di non sapere”, e infatti, in nessuno dei suoi dialoghi si troverà mai un insegnamento diretto su un qualsiasi argomento.
Eutifrone invece, con esempi, mostra alcune azioni volte alla santità, ma non essendo saggio, e non conoscendo “La Verità” non ha altri argomenti che non siano esempi.
Io potrei farti un esempio su cosa è un piatto di pasta, ma non so spiegare (perchè non lo so) come si faccia un piatto, come si faccia la pasta, da cosa sia composta l’acqua che uso per cuocere la pasta, ecc…
Per tanto, è meglio avere l’animo di un “Socrate” sempre volto alla ricerca e alla verità, anzichè l’animo di un Eutifrone, talmente presuntuoso da pensare di “conoscere” la verità, ma che in realtà della verità non sa nulla!
E non c’è nulla di male nel non conoscere la verità… di male c’è quando non lo si vuole ammettere e si pretende che verità soggettive vengano accettate semplicemente perchè “è costume” che sia così!
Questo vale anche oggi, per tutte le religioni, le filosofie ecc… Tutti sostengono di avere la verità in pugno… ma la verità è una sola, e noi siamo bombardati da migliaia di verità differenti a seconda della religione, del culto, della filosofia ecc… alias, nessuno ha la verità.
Per questo ci saranno sempre troppi “Eutifroni” e pochi “Socrate”, perchè è più facile accettare una verità preconfezionata, piuttosto che armarsi di spirito di ricerca.
@Enzo: Capisco il tuo punto di vista, e lo condivido. Tuttavia Socrate aveva uno standard di verità troppo elevato per essere umanamente realizzato…
La morale stà nell’osservare le leggi naturali per star bene con se e col prossimo. Queste leggi,uguali in tutte le religioni e nella coscienza umana,anche di chi crede di non credere,non sono altro che i dieci comandamenti(nello yoga ne esistono cinque in più,che riguardano la pulizia del corpo e della mente).Non occorrono elucubrazioni filosofiche,anche il bambino sà quando fà bene e quando fà male,anche se non sà fare sempre bene.
Le religioni custodiscono le leggi naturali,adattandole alle varie culture.
Leggi morali …. dieci comandamenti???
Uhm… Mai sentito palare di Fabrizio De Andrè?
Un Sorriso
“Le religioni custodiscono le leggi naturali,adattandole alle varie culture”
Qui Ivo mi banna e ne ha tutto il diritto, ma non importa. Come si possono dire p…….e del genere?
Ma quali sono le leggi naturali? Quelle che consentono a due individui consanguinei (madre-figlio; padre-figlia, fratello-sorella) di accoppiarsi, come avviene normalmente tra i branchi di carnivori del ‘Ngorongoro? Quelle che permettono alla vespa Ichneumonid Hymenoepinecis di inserire il suo uovo nel ragno Plesiometa Argyra, di modo che la larva lo possa poi comodamente divorare vivo? Quelle che autorizzano un maschio di leone (ma anche di molti altri mammiferi) a sbranare i cuccioli che una femmina abbia avuto con un altro maschio, affinché questa ritorni fertile e possa quindi accoppiarsi con lui?
Questi sono solo alcuni esempi delle c.d. “leggi naturali”, ossia dei meccanismi che regolano i rapporti sociali – tra simili e non – in natura. Pertanto, riempirsi la bocca con tale espressione, significa non avere proprio capito un c…. di cosa si stia pronunciando.
Ovviamente, se uno ha la testa piena di insulsaggini inculcategli fin da bambino da quei personaggi che, per apparire più autorevoli, si travestono da blatte, sarà portato a identificare le c.d. “leggi naturali” con quelle che, grazie agli effetti del c.d. “colpo di caldo”, s’imprimono nel granito ogni qual volta che, dalle parti del deserto del Sinai, con un po’ di cherosene, si dia fuoco a un roveto ardente, quando il sole a cinquanta gradi ti sta polverizzando le cervella e ti sei appena ingozzato con qualche chilo d’estratto di Nymphaea Caerulea.
L’Eutifrone è uno dei dialoghi giovanili di Platone, cioè di quella fase della sua riflessione che può essere considerata piuttosto una esplorazione preliminare dell’universo antropologico sul quale in seguito il filosofo cercherà di applicare le sue ricette politiche.
L’Eutifrone tratta del concetto di santità così come era vissuto comunemente nella società del suo tempo, in particolare della sua associazione con l’idea di giustizia; un’associazione che era del tutto frequente e che Platone, per bocca di Socrate, contesta.
Il dialogo, come tutti quelli giovanili, è aporetico, cioè pone un tema di discussione individuando possibili soluzioni senza però indicarne nessuna. Le soluzioni dei problemi che lui solleva, compresi quelli morali, sono proposte nei dialoghi della maturità e oltre, più o meno dalla Repubblica in poi.
Come è noto la soluzione proposta inizia a delinearsi proprio in questo dialogo con la critica a tutto campo verso l’idea tradizionale di religione alla quale viene contrapposta una concezione “intellettualizzata” dell’ambito del divino. Ma qui il discorso si fa alquanto complesso.
Aggiungo solo che l’interpretazione di Reale e compagni, accennata sopra, che prefigura già in Platone l’identità Dio-Logos,a mio parere costituisce un enorme fraintendimento del suo pensiero. Al culmine del suo sistema si trovano le forme intelligibili del bene e dell’uno. Queste forme sono divine in quanto appartengono all’ambito degli intelligibili, e non perché abbiano un qualche carattere personale: sono divine, non sono dei.
La condizione morale dell’uomo deve la sua instabilità ad una qualche rottura dell’unità originaria e la conseguente corruzione del bene che questa unità costituiva. Per tentare di spiegare questo “peccato originale” il filosofo non esita a rivisitare la mitologia e a proporne una sua riforma radicale.
E’ all’interno di queste coordinate che è possibile una valutazione dell’etica platonica. Una lettura che utilizzi le categorie morali cristiane difficilmente può aiutare a comprendere e, anzi, può essere persino fuorviante.
@ lector
Solo l’uomo ha la morale,l’animale ha solo l’istinto.Non si può confondere l’uomo con l’animale.Hai mai visto un animale che prega,che costruisce grattacieli e macchine elaborate,che dice questo me lo posso permettere o no?
@—>Michaelangelus1
Ho visto per puro caso la tua replica, perché oramai è passato un bel po’ di tempo da quando scrissi quel commento.
L’inciso contestato parla di “leggi naturali”, non di morale. La morale è frutto d’una costruzione di carattere pattizio, finalizzata a una migliore convivenza sociale e riguarda quasi prevalentemente gli uomini, con qualche spunto d’interessante affinità pure nel regno degli altri animali; le “leggi naturali” sono quelle che soprassiedono (o dovrebbero soprassedere) il funzionamento della natura in generale.
@ lector
Ho parlato di morale come legge naturale umana,che è spesso diversa da quella animale,perchè l’uomo si distingue dall’animale per avere in più la dimensione spirituale. Nel Tantra Yoga,l’uomo viene classificato in tre aspetti: Tamasico,cioè “statico”,parte dell’umanità si è fermata a questo primo aspetto o condizione,come l’animale che soddisfa solo il bisogno di nutrirsi e di riprodursi e,poco più.
Il secondo aspetto si chiama ” rajasico”,cioè in evoluzione: l’uomo si interessa anche all’arte,al commercio,alla cultura e poco più.
Il terzo aspetto si chiama ” satvico ” (da verità)
quando raggiunge la dimensione spirituale,cioè la coscienza del suo rapporto con Dio (Dio viene chiamato coscienza infinita,mentre quella umana è coscienza limitata) La meditazione tantrica ha infatti lo scopo di espandere la coscienza,per immergerla nella Divinità.
I tre aspetti esistono anche in natura, ad esempio:l’acqua ghiacciata è tamasica,perchè ferma; l’acqua liquida è rajasica,cioè in trasformazione; l’acqua col calore si trasforma in vapore acqueo che è quindi satvico.