André Glucksmann, sul Corriere della Sera di un mese fa, fornisce una interessante lettura realista della crisi economica: “Il post-moderno debutta in economia”.
Una bolla speculativa si regge su una scommessa che si conferma da sé. È «performativa », secondo il linguista Austin. Per lo speculatore, accordare crediti significa far esistere. «La seduta è aperta!», proclama il presidente di un’ assemblea—è vero per il solo fatto che lo dice —: la realtà si regola sul dire, mentre nei casi ordinari il dire, che non è più performativo ma indicativo, si regola sulla realtà. La bolla finanziaria accumula crediti su crediti e si arricchisce della propria auto-affermazione. Si rinchiude in un rapporto autoreferenziale e progressivamente abolisce il principio di realtà: sono effettivi soltanto i prodotti finanziari che i miei investimenti inventano.
Quello che Glucksmann non dice, immagino per questioni di spazio, è che il denaro è un oggetto sociale, e come tale non può che nascere da un performativo, che poi è il famoso “pagabile a vista al portatore” (un tempo) riportato su molte banconote. Ad essere performativa non è la bolla speculativa, ma l’intera economia, e l’unico modo per porvi rimedio è tornare al baratto: immagino che, per coerenza, Glucksmann si sia fatto pagare in frutta e verdura.
Più che l’ideologia performativa, il problema è l’aver dimenticato che le promesse, prima o poi, vanno mantenute.
L’articolo si conclude con un «pio desiderio»: che «il brivido anticipatore di una crisi universale ci offra l’occasione di uscire dalla bolla mentale post moderna». Più che un desiderio, una illusione: quella di Glucksmann non è l’unica interpretazione dell’attuale crisi finanziaria, anzi.
Oltre alle prevedibili “Marx aveva ragione” e “tutta colpa degli interventi statali in economia”, sono degne di nota l’interpretazione di Benedetto XVI:
Sulla sabbia costruisce chi costruisce solo sulle cose visibili e tangibili, sul successo, sulla carriera, sui soldi. Apparentemente queste sono le vere realtà. Ma tutto questo un giorno passerà. Lo vediamo adesso nel crollo delle grandi banche: questi soldi scompaiono, sono niente. E così tutte queste cose, che sembrano la vera realtà sulla quale contare, sono realtà di secondo ordine. […] Solo la Parola di Dio è fondamento di tutta la realtà […]. Quindi dobbiamo cambiare il nostro concetto di realismo.
e quella proposta da Giorgio Israel:
Ormai molti ammettono che la drammatica crisi finanziaria in corso ha origine nell’uso di modelli matematici che da più di un trentennio hanno consolidato la convinzione che i mercati finanziari siano perfettamente controllabili. La radice ideologica di questa convinzione sta nella teoria delle cosiddette “aspettative razionali”.
[…] Insomma, sta crollando un paradigma scientista: l’idea delirante di organizzare la società umana come il mondo fisico, anche se neppure questo è perfettamente prevedibile. Ma è vano illudersi. I suoi fanatici fautori non demorderanno, a costo di affogarci in un mare di rovine.
I fatti esistono: sarebbe stupido (e pericoloso) negarlo. Tuttavia, esistono anche le interpretazioni, e in numero (molto) superiore ai fatti.
Lettura interessante. Ciò che è vero è che siamo in un momento in cui vi è un fortissimo elemento psicologico dei mercati: quello che non viene mai sottolineato abbastanza è che in tutte le formule economiche esiste (o dovrebbe esistere) un moltiplicatore che possiamo chiamare “fiducia” o “elemento psicologico” (non è esattamente la stessa cosa lo so). E come tutti i moltiplicatori, se sono superiori ad 1 accrescono il risultato in maniera importante. Se sono compresi tra 1 e 0 riducono il loro contributo in maniera determinate, facendo diventare tutto una frazione. Se sono inferiori allo zero, entriamo nel regno negativo.
Tutte le teorie dicono che questi elementi hanno effetto solo nel breve periodo. Ma, visto che nel lungo periodo saremo tutti mordi (per dirla à la keynes), occorre fermarsi e pensare ad un fatto concreto: la fiducia nasce da una interpretazione dei fatti del contesto.
Fermiamoci a riflettere su cosa ha distrutto la fiducia…
Ho l’impressione che Israel sia lì in agguato, pronto ad ogni occasione buona a sparare sul fantomatico “paradigma scientista”. Immagino che anche lui, come Severino, dica “la scienza dice”, o “la scienza sbaglia quando”, come se “la scienza” fosse un corpus di affermazioni da accettare come verità di fede.
Magari è colpa della matematica. I biologi sono più avvezzi alle verità inafferrabili.
Io temo molto, infatti, i periodi di crisi.
Cambia poco se è la crisi della scuola o dell’università, dei partiti tradizionali o del ruolo dell’intellettuale, di mamma stato o dello stato nazione.
La crisi è sempre il tempo in cui tutti, senza eccezione, trovano solidissima conferma delle proprie idee. CON-TEM-PO-RA-NE-A-MEN-TE.
Da buon snob, io non mi curo affatto della contraddizione tra tesi che pretendono d’esser tutte dei fatti.
Pragmaticamente mi preoccupa di più la capienza delle aule parlamentari.
In questi momenti, infatti, ogni partito sarebbe in grado di assorbire il 45% dei voti totali.
Ma come fa Montecitorio a contenere il 280% degli attuali deputati?!? 😀
@sergio: stai proponendo un’altra interpretazione ? 😉
@andrea ferrigno: Sì, anche io ho questa impressione su Israel; comunque, qui potrebbe anche averci preso abbastanza (più di Glucksmann, direi).
@Eno: C’è sempre crisi, quando c’è la crisi… 😉