Una delle accuse che si rivolgono agli antiabortisti è quella di essere contro i diritti delle donne. Secondo me è una accusa infondata: non necessariamente essere contrari all’aborto significa avere poca o nulla considerazione per le donne, non necessariamente chi vede negli embrioni dei soggetti portatori di diritti svaluta per questo i diritti delle donne.
Chiarito questo, sarebbe gradita una maggiore attenzione da parte di chi, legittimamente, manifesta le proprie opinioni sui diritti degli embrioni. Michele Brambilla, ad esempio, avrebbe dovuto rileggere meglio il suo articolo per Il Giornale sul tragico omicidio di Barbara Cicioni: Il nome della bimba mai nata.
È bene leggere integralmente il finale dell’articolo:
Viene in mente un racconto che Giovannino Guareschi scrisse nel 1967, un anno prima di morire. Si intitolava L’embrione, e ora è raccolto nel volume Baffo racconta. Parla di un uomo il quale, sospettando che la moglie lo tradisse, la uccise. Al processo venne riconosciuta l’attenuante del delitto d’onore, e l’uxoricida tornò in libertà, non senza gli applausi del pubblico. E però, un’ora dopo la fine dell’udienza, il giudice era nel suo ufficio e «sentì qualcuno tirargli l’orlo della toga». Chinatosi, il magistrato «vide che si trattava di un bambino piccolo piccolo, che pareva fatto d’aria». «Che cerchi?», domandò il giudice. «Cerco giustizia», rispose il piccolino. «Io sono il figlio dell’Esterina. Ammazzando mia madre, mio padre ha ammazzato anche me. E di questo si doveva pure tener conto!». «No, ragazzino. Non si può uccidere chi non è nato. Se un individuo non è nato, legalmente non esiste. Il codice parla chiaro: la capacità giuridica si acquista dal momento della nascita (…) Tu non hai nessun diritto da accampare perché non sei una persona fisica, tanto è vero che non sei nato!». «Però sono morto!». «E come può morire chi non è nato?». Il piccolino concluse sconsolato: «Visto in che razza di mondo avrei dovuto vivere, direi che mio padre mi ha reso un buon servizio».
Così sarà anche per la povera piccola senza nome di Perugia: nessuno pagherà per la sua morte perché per il mondo dei nati i quasi nati non esistono, la «ragione» dice che una placenta e una pancia li escludono dalla realtà.
Non ci sarà per lei un funerale, né una bara con un nome. Quel nome che solo se c’è un Dio le verrà restituito: «Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome».
Non voglio giudicare il racconto di Guareschi da questo breve riassunto, però la morale è aberrante: passi il delitto d’onore, passi uccidere una donna, ma l’embrione no, questo non si può tollerare! Nessuno pagherà per la morte della bambina senza nome solo se nessuno pagherà per la morte di Barbara, che mi sembra un evento sufficientemente grave. Sicuramente Brambilla intendeva aggiungere orrore all’orrore, riprovazione alla riprovazione. Però la citazione sembra, e sottolineo sembra, andare proprio lì: hanno ucciso una donna, va bene, capita, però era incinta di otto mesi, diamine, chi ha ucciso quella donna ha ucciso anche un bambino! Non può passarla liscia!
Curiosamente, mentre Michele Brambilla si affidava a Dio per dare un nome alla bimba, il Corriere della Sera informava che la famiglia, più pragmaticamente, si è rivolta al giudice per poter celebrare un doppio funerale e poter seppellire la bimba senza nome, che in realtà un nome lo ha: Viola, vicino alla madre.
Vale la pena leggere l’inizio dell’articolo di Brambilla: «Invano sfogliando i giornali di ieri abbiamo cercato un nome: quello della bimba che Barbara Cicioni portava in grembo». Ecco, bastava aspettare un altro giorno, e avrebbe trovato quel nome.
Commento di fortuna e rapido.
Conosco molto bene quel racconto di Guareschi- il giornalista, temo, non altrettanto.
Per dire, l’embrione non si rivolge a un magistrato, ma all’usciere, prendendolo per un giudice.
E’ un racconto surreale, amarissimo e bello, e non un volgare pamphlet.
Permettimi di chiarire un paio di cose, perché non voglio ombre su uno scrittore che ammiro profondamente.
Il titolo “L’embrione” era polemico contro il gelido linguaggio medico con cui si liquidava il fatto( è ispirato ad un accadimento reale ). Ma si era prima della legge sull’aborto del 1978, e il termine medico non conosceva la popolarità ideologica di ora.
Nel raccontino di Guareschi il bambino si sente rispondere di tutto.
Che suo padre ha fatto bene ad ammazzare la madre che l’ha lasciato, che così il suo onore è salvo, che in fondo morta la madre e il padre in galera- con le attenuanti allora in vigore per il delitto d’onore- a chi gliene importa, che la legge parla chiaro…
Una lunga serie di scusanti, e di certo non si sognava di giustificare un delitto d’onore.
Anzi, insinuava che sotto sotto tra l’accampare scuse in una interpretazione( dubbia se non falsa ) di una legge ( modificabile ) e lo schermirsi dietro l’onore, c’è poca differenza.
E’ una lunga serie di paraventi per non rispondere alla domanda: pieni diritti o no, personalità giuridica o meno, mi vorreste dire se fa differenza aver ucciso un nascituro oltre alla madre? E se la madre sopravvive? E a quello st****o del padre che accade?
Comunque il giornalista è mal informato in materia, meno dell’usciere e peggio di un radicale.
Si acquisisce personalità giuridica alla nascita, ma questo è un principio del codice civile, cioè di diritto privato e potrà esser fatto valere in caso di donazioni, proprietà e similia.
Un embrione non può possedere- però gli si possono lasciare in eredità dei beni.
C’entra poco con l’aborto o con l’uccisione violenta di un nascituro.
ciao Ivo!
Bentornato Eno!
Grazie mille per la precisazione sul racconto di Guareschi: conoscendo la prosa di Giovannino, il riassunto del prode giornalista mi lasciava molto perplesso…