Il cosiddetto paradosso della democrazia [l’adozione, da parte della maggioranza, di una decisione che qualcuno non approva, pur approvando il metodo democratico con qui questa decisione è stata assunta] si risolve pertanto nella distinzione tra il giudizio sulla legittimità del metodo democratico e il giudizio sulla giustificazione morale delle decisioni adottate in base a esso. Non è un paradosso ma un conflitto, eventuale ma possibile, tra valori […].
Dunque la distinzione tra legittimità e giustificazione è importante, e del resto tutt’altro che nuova. Un despota illuminato potrebbe agire in modo sempre moralmente ineccepibile, quand’anche considerassimo illegittimo il governo dispotico; viceversa un governo democratico, da noi considerato legittimo, potrebbe sistematicamente adottare decisioni che disapproviamo (il che, detto per inciso, suggerisce che la democrazia in questione è afflitta da un problema di minoranze permanenti).
Confondere legittimità e giustificazione può portare in due direzioni opposte, a mio avviso parimenti deprecabili.
In primo luogo può portare a una presunzione di giustificazione sostanziale di qualunque decisione semplicemente in quanto decisione adottata tramite procedure democratiche: la procedura riversa inesorabilmente la sua correttezza sui risultati […]. In questo caso abbiamo una riduzione della giustificazione a legittimità. Siffatta assolutizzazione della legittimità porta a ignorare la tensione tra contenuto delle decisioni dell’autorità e morale individuale, o meglio a sottomettere sempre quest’ultima alle prime. È la posizione di Hobbes, che in ciò manifesta l’aspetto genuinamente illiberale del proprio pensiero. Il liberalismo, come tutti sappiamo, nasce con Locke, proprio perché egli limita e circoscrive il surrender of judgement del singolo nei confronti dell’autorità.
In secondo luogo, confondere legittimità e giustificazione può portare una presunzione di legittimità di qualunque contenuto morale giustificabile dal punto di vista sostanziale, comunque adottato: in questo caso non conta la fonte o la modalità di derivazione del contenuto o le forme con cui esso è stato assunto di fatto, ma unicamente il suo merito intrinseco. In questo caso abbiamo una riduzione della legittimità a giustificazione. Si potrebbe credere che questa forma di riduzionismo sia appannaggio esclusivo delle classiche teorie del diritto naturale; in realtà essa caratterizza altresì molte delle contemporanee teorie della giustificazione, anche teorie che in modo fuorviante, come vedremo, vengono qualificate come procedurali, e che invece sono afflitte da questa forma di imperialismo morale.
Ambedue le forme di riduzionismo portano a una distorsione dei rapporti tra etica e politica, ossia a quella forma di monismo normativo che rappresenta uno dei principali obiettivi critici di questo lavoro.
Anna Pintore, I diritti della democrazia, Laterza, 2003, pp. 34-35
Il conflitto esiste, ma solo a livello del singolo individuo, che può sempre ritenere in coscienza che una decisione legittima sia non di meno sbagliata (io non condivido la decisione della Corte Costituzionale sul matrimonio omosessuale, per es.) e portare questo anche sino alle più estreme conseguenze (eversione).
Sul piano civile il parametro della legittimità, pur non garantendo la giustizia assoluta, è quello che consente di sperare in una progressiva approssimazione allo stesso.
L’altra scelta sappiamo già che porta alle esecuzioni capitali in piazza (che si parli di rivoluzione francese, di piazzale Loreto o delle monetine a Craxi poco conta)
@ugolino: Incidentalmente, la decisione della Corte Costituzionale non è democratica: i giudici non vengono eletti…
@ivo: potevo fare un altro esempio, ma resta valido il concetto di fondo.
Proseguendo l’incidente, si tratta sempre di dare un significato univoco alle parole: vasto programma!
Io la considero democratica sotto due aspetti: perchè promana da un organo costituzionale di una repubblica democratica e perchè assunta col voto favorevole della maggioranza assoluta dei suoi membri.
La tua notazione sembra invece ridurre le decisioni democratiche a quelle sole assunte da organi composti da membri eletti democraticamente; a parte che in tempi di “porcellum” si fa fatica a non sorridere, non sarebbero democratiche le decisioni di tutti gli esecutivi.
@ Ivo: perchè dici che non vengono eletti? Solo un terzo, mi sembra di aver capito sono di nomina del presidente della repubblica, gli altri vengono eletti.
A parte questo non condivido “aprioristicamente” l’elezione come garanzia (o se preferisci discrimine) di democraticità, almeno non da sola….
Un Sorriso
Manca la parte più interessante!
Eh sì, perchè a questo punto scatta la curiosità di sapere quali sono i terribili effetti di chi riduce la “legittimità” alla “giustificazione”!
Devono essere davvero terribili per vedersi costretti a tenere in piedi una distinzioni altrimenti tanto pedante…
[… aggiungo solo che per segnalare certe fattispecie abbiamo pur sempre il concetto di “legalità”, ma a quanto pare non basta…]
@ugolino e @il più cattivo: In questo libro si difende una definizione strettamente procedurale di democrazia.
Democrazia è un modo particolare di prendere decisioni (facendo sì che ognuno possa dire la sua, in varie modalità).
I membri della Corte costituzionale non sono nominati dal popolo, se non (molto) indirettamente (e in ogni caso al massimo per 2/3). È un bene che sia così, secondo me, anche se non è democratico nel senso procedurale usato da Anna Pintore.
Spesso quando si pensa a democrazia si intende un misto di cose diverse, dalla società liberale allo stato di diritto. Non mi ero mai soffermato molto su questa confusione, fino a che non ho iniziato a leggere questo libro, che cerca appunto di fare pulizia concettuale.
La democrazia come procedura è questione di legittimità. Per entrare nel contenuto, nella giustificazione delle decisioni, per regolare eventuali conflitti, occorrono altri strumenti. La costituzione rigida e la corte costituzionale, sono una delle possibili soluzioni.
@broncobilly: Distinzione pedante? A me non sembra…
@ivo: allora, assumendo le sue decisioni a maggioranza assoluta dei suoi membri, la Corte è di certo democratica.
Però mi sembra anche questa una forma di riduzionismo, che restringe inutilmente l’ampiezza del concetto di democrazia; giova ricordare che sul piano etimologico, la democrazia è il governo del popolo, rispetto al quale il voto a maggioranza è, benchè determinante, uno strumento, non un elemento costitutivo.
@broncobilly: io ho accennato agli effetti della riduzione della legittimità a giustificazione quando ho parlato di piazzale Loreto; si può giustificare chi ha trucidato Mussolini senza mettere in dubbio l’illegittimità della sua condanna.
Bè, se l’ autore non risponde in modo esaudiente alla richiesta che suscitava la mia curiosità, la distinzione è solo una pedanteria. Perchè mai introdurla?
Devo ammettere che la mia richiesta è un po’ retorica, sono scettico in partenza sulla possibilità di una risposta convincente.
@ugolino.
L’ appello al cielo e la messa a morte del tiranno, da Tommaso a Locke, è considerato un diritto. Mi uniformo a questo insegnamento trovandolo soddisfacente. Evita oltretutto l’ introduzione pedante di ulteriori concetti.
Per dire quel che vuoi dire tu mi basta far riferimento all’ illegalità di quanto accaduto.
p.s. sono interessato ai concetti, non tanto al fatto concreto che citavi
@ugolino: La corte è al suo interno democratica, dal momento che decidono collegialmente (il discrimine non è il voto a maggioranza, ma l’espressione dei soggetti coinvolti). Non è democratica se pensiamo che decide per tutti noi, che non abbiamo modo di esprimere la nostra opinione.
Il che non necessariamente è un male: le questioni di costituzionalità è bene che le vedano gli esperti (anche se i risultati non sono sempre ottimi); solo non è democratico nel senso procedurale del termine.
@ivo: alla fine una definizione di democrazia così ristretta non è utilizzabile quale criterio di legittimità, visto che sarà sempre possibile mettere in discussione una decisione a causa della mancata partecipazione di alcuni o chiederne la verifica a seguito di nuovi elementi che potrebbero cambiare l’esito della consultazione.
Senza regole certe e meccanismi tipici di una democrazia rappresentativa non è possibile nemmeno decidere di cambiare le lampadine in un grande condominio; quell’estensione del concetto di democrazia alla società liberale e allo stato di diritto non è accessoria ma sostanziale per la corretta e completa definizione della democrazia.
Fino alla penultima riga ho pensato: “Questo è vero solo in un paese dove non ci sia pluralismo giuridico. Se sono fonte di diritto la consuetudine, il precedente o le disposizioni di corpi esterni allo Stato, il contrasto tra formale e sostanziale è molto limato”.
E infatti l’ultima riga se la piglia con il monismo giuridico.
Chiedo a Ivo come l’autrice sviluppi quest’idea, visto che questa è solo un’introduzione.
Se però prendo il brano alla lettera, senza soppesarlo e senza farci la tara, trovo grossolana la contrapposizione tra giustificazione e legittimità.
Non esiste nessuna legge approvata solo con un bruto sistema della maggioranza. Le legge proposte sono redatte da un esperto, di norma. Nel caso del governo, sono accompagnate da analisi tecniche, normative e di impatto normativo. Poi passano per il vaglio di una commissione che accerta la ragionevolezza ed eventualmente audisce i soggetti su cui la legge avrà effetto. Solo alla fine c’è la conta dei voti.
La procedura a volte può funzionare male, ma mira a includere nell’iter di legittimità anche la “giustificazione”.
La dico in altri termini.
Tutte queste elucubrazioni tra rassegnati sudditi, frondisti-miglioristi, entusiaste tricoteuse e critici radicali dei “paradossi” della democrazia prendono a modello un sistema che non è il nostro e forse nemmeno esiste.
E’ una democrazia sognata in un incubo, del tutto astorica e priva di ragioni.
Se domani le istituzioni fossero azzerate e qualcuno proponesse questa balorda idea d’un semplice e barbaro voto a maggioranza su qualsiasi cosa, senza null’altro aggiungere, lo manderei al diavolo.
Ma che senso ha discutere per astratta e astorica di istituzioni che per loro natura nascono sempre da un contesto, perfino quando sono il parto malato di una ideologia?
*discutere per via astratta e astorica
@eno: Ultimamente mi sono arenato con le letture; appena avrò di nuovo tempo e energie per leggere, aggiornerò.
Una cosa posso già dirla, però: questo è un saggio di filosofia analitica, si prendono in considerazione i concetti nella loro forma pura. Secondo me ci si guadagna in chiarezza concettuale; si rischia di criticare, o di apprezzare, non ciò che un altro ha effettivamente detto, ma quanto si è ricostruito, una sorta di StrawMan. Non è il caso di questo saggio, sempre attento a sottolineare quando si analizza il concetto puro al di là dell’autore.