Prima riflessione
Sabato sono andato a Ferrara per visitare la mostra Il Simbolismo. Da Moreau a Gauguin a Klimt, a Palazzo dei Diamanti fino al 20 maggio 2007.
Per raggiungere la città si è deciso di evitare l’autostrada, noiosa e monotona, e di affidarsi alla provinciale che costeggia il Po: il viaggio si allunga, ma non diventa un semplice spostamento desideroso di trasformarsi in teletrasporto istantaneo. Arrivati a Ferrara, un lauto pranzo a base di salama da sugo e una visita del centro: il Castello Estense, la statua di Savonarola, la cattedrale. Si assapora il tessuto della città, scoprendo le strade volute dal duca Ercole I e realizzata da Biagio Rossetti.
Approfittando del biglietto combinato, si visita anche il museo Giovanni Boldini.
Purtroppo non c’è stato tempo per Palazzo Schifanoia e i suoi bellissimi affreschi.
In tutta la giornata si saranno incontrati un numero imprecisato di manifesti pubblicitari, impossibile dire quanti e in quali occasioni. Detersivi, assicurazioni, occhiali, quotidiani, automobili: un mare di marchi e prodotti ha cercato, più o meno vanamente, di aprirsi un varco verso la mia attenzione
Tenere a mente gli eventi che mi hanno permesso di vedere Il filosofo di Max Klinger (1898) e confrontarli con i non-eventi che hanno portato all’incontro casuale con vari manifesti pubblicitari aiuta a saggiare l’inconsistenza delle affermazioni di Dolce e Gabbana:
Cosa c’entra l’immagine artistica con il fatto reale? È un po’ come per la polemica sull’anoressia: è sbagliato credere che la moda sia colpevole. Così anche per l’arte, altrimenti bisognerebbe bruciare il Louvre e tanti altri musei, e mandare al rogo i quadri di Caravaggio! Vuol dire che la prossima stagione faremo una nuova campagna, mettendo una donna nuda sopra un uomo!
I due stilisti si sono avventurati in queste considerazione di estetica comparata in seguito alla decisione spagnola di proibire una loro particolare foto pubblicitaria nella quale, come riporta l’ANSA, “sembra che Gabbana stia per violentare una donna”.
L’arte, dunque, non c’entra nulla con il fatto reale. La tesi non è nuova: già Oscar Wilde sostenne qualcosa di simile, affrontando tutte le contraddizioni di una arte libera ma, di fatto, impotente. Tuttavia per Dolce e Gabbana viene da chiedersi come mai, per fare pubblicità, la coppia si sia rivolta proprio all’arte: se non ha nulla a che fare con il reale, come può spingere le persone a comprare prodotti di D&G? Forse i due stilisti sono in realtà mecenati ai quali, in realtà, non interessa vendere nulla.
Come mecenati, è incredibile che non colgano la differenza tra un manifesto pubblicitario, per quanto “d’autore”, e un’opera d’arte. Possibile che Dolce e Gabbana collochino questa differenza semplicemente nella differenza tra strada e museo, come se l’arte non fosse da tempo uscita per le strade e, ad esempio, in Piazza del Carmine a Milano non fosse possibile ammirare una scultura di Mitoraj?
Come ha giustamente notato Massimo Adinolfi su Left Wing, è una sciocchezza che la foto raffigurante un uomo che fa violenza ad una donna possa essere sostituita con una foto di una donna che fa violenza ad un uomo: «è come se qualcuno dicesse che, d’accordo, è l’Innominato che rapisce Lucia, ma si poteva fare anche, poniamo, che la mamma di Don Rodrigo rapisse Renzo (per amore del figlio, si capisce)».
Seconda riflessione
Simone Cristicchi ha vinto il 57º Festival di Sanremo con la canzone Ti regalerò una rosa, dedicata al disagio dei malati di mente.
Una bella canzone. Non so se sia arte o retorica (lascio ad altri simili certezze), ma nel prosieguo del testo supporrò che l’autore sia anche artista.
Apprendo da Mauro Biani che l’ARAP ha criticato il testo della canzone:
Egregio signor Simone Cristicchi, non posso fare a meno di esprimere la mia indignazione per la sua canzone e per la rappresentazione che se ne ricava del malato mentale. Ancora una volta è prevalsa l’idea di un individuo a metà tra il bohemien e il vagabondo alla Charlie Chaplin […] uno stereotipo tanto caro alla dominante cultura della piccola borghesia progressista.
Non è dello stesso avviso l’Associazione Italiana Psichiatri che ha ringraziato Cristicchi:
L’Aipsi-Med desidera ringraziare Simone Cristicchi per la sua canzone-poesia che costituisce un raro esempio di lotta allo stigma. L’Aipsi-Med condivide pienamente l’opinione del cantante-poeta che la legge Basaglia è una norma che ha aperto uno spiraglio, ma non ha cambiato l’atteggiamento di ostilità della gente nei confronti dei matti, quelli che Zavoli chiama i “nostri fratelli scomodi”. C’è molto ancora da fare perchè l’atteggiamento della società intera nei confronti di chi soffre non si è per nulla modificato dall’epoca dei manicomi a oggi.
La questione è delicata. È facile chiedersi se un matto è uno che non capisce oppure uno che non è capito, se il problema è la sua o la nostra comprensione. Molto più difficile affrontare veramente la questione: capire che l’altro, prima di essere un malato o un incompreso, è una persona.
Quello che proprio non mi è chiaro della lettera aperta scritta dal presidete dell’ARAP è: cosa doveva fare Cristicchi? Spiegare la differenza tra nevrosi e psicosi? Recitare il DSM-IV? Tenere una conferenza sulla legge Basaglia? Analizzare le possibili riforme degli ospedali psichiatrici?
Se l’arte si vede, da Dolce e Gabbana, privata di ogni potere, dall’altra parte se ne vede attribuire fin troppo dall’ARAP, come se l’artista fosse una specie di oracolo che non può, e soprattutto non deve, dire il falso.
Sono d’accrodo riguardo a Cristicchi( d’accordo su cosa? in realtà non ti sei sbilanciato, ma in generale sono d’accordo 😉 )
Il DSM, in particolare, sarebbe adatto ad essere recitato al cabaret o al teatro dell’assurdo. Il DSM, il manuale leggendo il quale è impossibile non ritrovarsi pazzi o maniaci…
Una interazione cantante-pubblico sarebbe l’ideale: “Alzata di mano, quanti si riconoscono in questi sintomi?”
ciao Ivo! 🙂
Mi immagino la scena 😉
Caro Ivo,
mi piace la tua argomentazione ma non mi trovi d’accordo sulla conclusione.
“Se l’arte si vede, da Dolce e Gabbana, privata di ogni potere, dall’altra parte se ne vede attribuire fin troppo dall’ARAP, come se l’artista fosse una specie di oracolo che non può, e soprattutto non deve, dire il falso.”
Intravedevo la discordanza sin da quando all’inizio asserivi
“se non ha nulla a che fare con il reale, come può (l’arte) spingere le persone a comprare prodotti di D&G?”.
In effetti la pubblicità non spinge all’acquisto attraverso un un meccanismo razionale basato sui dati di fatto. Come nell’arte, essa crea un universo di significati nel quale il consumatore ama immergersi. Ed il più delle volte capita che maggiore è la distanza tra l’universo proposto dal marchio ed il cosiddetto mondo reale (condiviso) maggiore sarà la il piacere che si trae ad immergersi nell’universo proposto dall pubblicità.
Sia per l’arte sia per la pubblicità mi sembra quindi erroneo o quantomeno furoviante parlare di falsità, in quanto si collocano su un livello che non è quello reale sul quale siamo abituati a confrontarci per decidere della corrispoindenza o meno di una certa asserzione alla verità.
Tuttavia, se in generale l’universo proposto dall apubblicità deve pur mantenere unna prospettiva conciliante, una promessa di felicità, questo NON (necessariamente) accade nel caso dell’arte.
Per questo non riesco a concepire come artistiche le pubblicità di Dolce e Gabbato. L’arte non suggerisce metodi da imitare. Tuttavia suscita l’imitazione, e (proprio come accade, paradossalmente, nella moda) quando viene imitata non va più di moda (anche se questo è semplicistico, detto così).
Vorrei continuare, ma mi rendo conto che è solo un commento ad un blog, e quindi ti lascio la parola.
(Era solo una scusa usata per non dire in realtà che non mi volevo giocare tutte la cartucce in vista di una futura discussione!)
😉
Un saluto
Emanuele
@Emanuele Sbardella: Spero di non deludere le tue aspettative, ma non ho obiezioni con cui innescare una discussione.
In generale, è vero che né l’arte né la pubblicità abbiano un rapporto diretto e apodittico con la realtà (ma un rapporto c’è: cosa succede se una pubblicità fa precipitare le vendite di un prodotto o se nessuno acquista le opere d’arte?). È semplicemente un tema che (qui) non ho affrontato, limitandomi alle “considerazioni estetiche” di D&G e dell’ARAP.
P.S.Dolce&Gabbato: errore di battitura? 😉