Di Wikipedia, l’enciclopedia liberamente scritta e modificata dagli utenti, si possono dire molte cose: si può entusiasticamente lodare l’affermazione dell’intelligenza collettiva oppure definirla una «sputacchiera on-line».
Wikipedia ha i suoi limiti e i suoi punti di forza: affidarsi alla libera partecipazione per la stesura delle voci è un rischio, soprattutto per alcuni temi controversi, nei quali rischiano di prevalere le passioni, o poco noti, nei quali le imprecisioni rischiano di prosperare indisturbate molto a lungo; nel complesso, tuttavia, funziona abbastanza bene: chi sa scrive contribuisce con nuovi articoli o con correzioni marginali, chi non sa non scrive nulla e chi crede di sapere, prima o poi, viene corretto da uno che sa.
Francesco Ognibene, sulle pagine di Avvenire, scopre un altro limite di Wikipedia: il relativismo.
Internet equipara ogni informazione a qualsiasi altra, abbattendo alla radice ogni pretesa di verità. Anzi, chi vuole affermare un punto fermo su materie controverse è come se si autoescludesse da un “collettivo digitale” allergico ai princìpi indiscutibili (tranne quelli wiki, s’intende). La cultura “aperta” che ispira la rete come un’ideologia intangibile è a ben guardare l’altra faccia del relativismo, al quale fornisce una legittimazione globale proprio grazie alla straordinaria penetrazione del Web.
Il relativismo viene spesso evocato a sproposito, per ignoranza o opportunismo viene confuso con lo scetticismo o con il fallibilismo.
Possiamo comunque intuire che per Ognibene il relativismo sia l’assenza di verità e la fine di ogni criterio di oggettività: una sorta di capro espiatorio, il colpevole ideale di tutti i mali del mondo. Bene, queste accuse reggono per Wikipedia e, più in generale, internet?
Una enciclopedia davvero relativista selezionerebbe casualmente varie versioni a ogni accesso: oggi l’omeopatia è un controverso sistema terapeutico, domani è più affidabile della medicina tradizionale mentre dopodomani sarà pura ciarlataneria, Stalin è un sant’uomo il lunedì e un criminale il martedì, Calderoli un demente in settimana e un grande statista sabato e domenica.
Similmente, Google selezionerebbe le pagine a caso, ogni giorno una diversa.
Curiosamente, non accade nulla di tutto ciò: le voci di Wikipedia restano relativamente stabili e Google ordina le pagine in base al pagerank, una sorta di indice di popolarità del sito.
Un criterio quindi c’è, ed è un criterio che, almeno nelle intenzioni, mira alla oggettività. Il metodo magari è sbagliato (non necessariamente ciò che è popolare è anche affidabile e corretto, non sempre la mediazione tra i due estremi è la posizione migliore), però c’è. Leggendo Wikipedia e utilizzando Google potrai forse scoprire cose false o inesatte, ma di sicuro non perdi la concezione della verità.
Ognibene si chiede «perché se cerco qualcosa sul Papa il sito della Santa Sede compare solo al quinto posto?». La domanda può suonare un po’ ridicola. Per certi versi è come chiedersi come mai un bibliotecario non consigli immediatamente Les Confessions a chi chiede informazioni su Jean-Jacques Rousseau: non sempre il diretto interessato è la fonte migliore.
In ogni caso, il primo risultato che restituisce Google per “Benedetto XVI” è proprio il sito del Vaticano.
Quasi dimenticavo d’averlo scritto…
Ma lo scriverei di nuovo!
Che ci sia una specie di relativismo attorno a Wiki mi pare assurdo: anzi, i wikipedisti più agguerriti sulle voci più sensibili( ideologiche, storiche o politiche ) se le danno di santa ragione perché ritengono che la verità venga distorta da questa o quella versione.
A volte, è vero, c’è una triste tendenza al compromesso: se A dice una cosa e B l’opposto, si cercherà una versione intermedia a prescindere dall’attendibilità di A e di B.
Questo risultato è agevolato dal fatto che se non si trova un compromesso e la pagina è oggetto di continue modifiche, Wikipedia blocca la pagina.
E se ci sarà una terza versione C, sgradita ai primi due, rischierà la censura.
Ma questo tocca ciò che va scritto, a mo’ di documento pubblico indicativo( come accade con le carte costituzionali ), non tanto la sua verità.
E anche se i wikipedisti- intendo quelli carburati ideologicamente- non avessero troppo a cuore la precisa verità, escluderanno ciò che ritengono assolutamente falso.
Poco nobile, ma il relativismo non c’entra: non c’è falsità senza verità.
Cmnq, il giornalista lo ammette:
Già, poi c’è anche il dibattito bioetico a essere un’altra faccia del relativismo; e l’affermazione di una pluralità di culture; e lo svincolarsi della politica dalle autorità morali tradizionalmente riconosciute nella società; etc. etc.
A prescindere dal giudizio sulle singole faccende, ci sono davvero tante “altre faccie” del relativismo… e quante sono?!?
E se più semplicemente fossero tutte cose diverse senza relazioni le une con le altre, e “relativismo” fosse un facile shibbolèth?
ciao, eno
Prospettiva interessante, e penso corretta, quella della shibbolèth: come i francesi che non riuscivano a pronunciare “ciciru” (ceci) venivano uccisi dai siculi, così gli intellettuali che non vedono il relativismo in ogni fenomeno appena appena sgradevole vengono esclusi e visti con sospetto: non appartengono al nostro gruppo!
Però il relativismo è attaccato anche da persone come Roberta De Monticelli, Maurizio Ferraris e Giovanni Jervis che vedo poco a loro agio sulle pagine di Avvenire!
E Dario Antiseri, che su Avvenire ogni tanto ci scrive, ha definito il relativismo una delle caratteristiche dell’occidente…
Su Wikipedia vi segnalo la questione Gennaro Carotenuto. Piccolo scivolone, a mio avviso, di Wiki.
Ho dato una veloce lettura della querelle, e quello che mi incuriosisce è il riferirsi a Wikipedia come se fosse un soggetto dotato di una filosofia o un modus operandi ben definito.