Di Roger Scruton, filosofo conservatore britannico, avevo letto solo Gli animali hanno diritti?, un testo potenzialmente interessante, purtroppo rovinato dall’arroganza dell’autore e da una impostazione generale inaccettabile.
Con una certa curiosità ho letto Il suicidio dell’Occidente, un libro-intervista che si legge in otto minuti1 Alla fine della lettura, lo devo riconoscere, Scruton mi sta un po’ più simpatico di prima. Non perché riconosca in lui un grande e acuto pensatore, ma per come risponde ad alcune domande di Luigi Iannone. A pagina 24, ad esempio, di fronte alle insistenti citazioni di Nietzsche dell’intervistatore, l’intervistato risponde secco: «Nietzsche ha chiesto di essere ignorato. Quindi lo ignoro».
Per il resto, Scruton continua a sacrificare la chiarezza all’arroganza, liquidando sbrigativamente obiezioni e argomenti contrari, senza curarsi troppo di giustificare le proprie conclusioni.
Un paio di passaggi meritano una citazione estesa.
Interessante e condivisibile la visione di Scruton sui rapporti tra politica e fine (p. 20):
Se la scelta è tra l’utopia e il nulla, allora preferisco l’utopia. Ma ammetto che le utopie sono anche pericolose, poiché determinano un traguardo; sebbene l’arte della politica, così come noi europei la conosciamo, è l’arte del vivere insieme senza un fine.
Senza un fine?
Come in un conversazione: tutto è intenzionale, e non c’è bisogno di uno scopo. Il peggior retaggio del XX secolo è stata la convinzione che i politici dovessero avere per forza uno scopo, per esempio la prosperità, l’uguaglianza, una “società nuova”. La politica ha molti fini, sempre mutevoli, ma nessun singolo fine, proprio come una conversazione.
Lo stesso vale per l’educazione, anche se sarebbe forse il caso di distinguere tra formazione di base e superiore (p. 29):
Lei ha scritto che una delle superstizioni più radicate della nostra epoca è che lo scopo dell’istruzione consista nell’apportare benefici a chi la riceve, mentre un vero insegnante «non trasmette il sapere per il bene degli studenti ma tratta gli studenti come fossero un bene per il sapere». Puù spiegarlo meglio questo concetto?
L’educazione riguarda la ricerca e la preservazione della conoscenza. Ciò non significa “dare potere” ai giovani, in modo da far crescere la loro autostima. Ma è piuttosto usare i giovani per tramandare la conoscenza. È più facile perdere la conoscenza che acquisirla. Questo è il motivo per cui esistono le scuole.
Incomprensibile prima ancora di criticabile la risposta di Scruton a una domanda sulle «richieste del mondo omosessuale» (pp. 50-51).
Scruton inizia rifiutando il concetto di genere, riducendo il tutto al sesso biologico.
Posso capire che per un conservatore il genere debba coincidere con il sesso biologico e mi aspetto un rifiuto dell’uso ideologico che in alcuni ambienti si fa di questo concetto. Ma Scruton rifiuta semplicemente quella che è una banale differenza concettuale:
Domanda enorme. Il “genere” è un carico di assurdità, inventato dalle femministe a cui non piace la parola sesso, poiché suggerisce che quest’aspetto della condizione umana è propriamente “biologico” e perciò al di là della scelta personale.
Il seguito è peggio:
Le esigenze degli omosessuali variano da una persona all’altra. Molti omosessuali americani rivendicano il diritto al matrimonio tra gay, e per la verità, anche un mio amico omosessuale ha trovato quest’idea assurda.
Ecco, da uno che nell’introduzione viene presentato come «il più influente filosofo al mondo», il riferimento all’amico omosessuale che trova assurdo sposarsi non te l’aspetti, e un po’ fa male.
Ma andiamo avanti con la lettura:
Se, infatti, per matrimonio s’intende l’unione sacramentale descritta nei testi sacri della nostra tradizione, allora non vi può essere una cosa come il matrimonio omosessuale: anche se lo Stato può inventare qualcosa che si chiami matrimonio e lo conceda agli omosessuali o a qualsiasi altro gruppo.
Per dare un senso a questa frase, Scruton dovrebbe spiegarmi: a) perché il matrimonio è e non può essere che «l’unione sacramentale descritta nei testi sacri della nostra tradizione»; b) convincermi che la società, e oramai da diverso tempo, non ha inventato qualcosa di diverso dall’unione sacramentale e le ha dato il nome matrimonio.
Infine, il gran finale:
Il mio punto di vista è che il mondo trarrebbe vantaggio da un periodo di silenzio della campagna omosessuale, che non ha alcun motivo reale per lamentarsi e soprattutto visto che rappresenta solo una minoranza.
Forse è una traduzione imprecisa oppure Scruton ha semplificato un discorso più ampio e complesso; perché non mi sembra possibile che Scruton pensi quello che a me pare aver detto, che uno può lamentarsi solo se rappresenta una maggioranza.
- L’ho letto mentre ero in coda all’Inps e il biglietto con il mio numero di prenotazione recitava “Attesa: 8 min.”; nonostante secondo il mio orologio io abbia aspettato circa un’ora, io mi fido dell’Inps e affermo di aver letto tutto il libro in otto minuti. [↩]
“Per matrimonio s’intende l’unione sacramentale descritta nei testi sacri della nostra tradizione”.
Quello che più mi dà fastidio, in “argomenti” del genere, è il tentativo di truffa intellettuale: come se di “tradizione” ce ne fosse una sola.
Di “sacre tradizioni” ne esistono innumerevoli: dai musulmani, che ammettono matrimoni plurimi, ad alcuni cristiani protestanti, che ammettono preti sposati. Religione, Paese, tradizione che vai, matrimonio che trovi.
L’ “argomento” del tizio, in realtà, si riduce a questo: “Io non voglio che i froci si sposino, e glielo impedirò, punto e basta”. Il resto, dalla “tradizione” ai “sacri testi” sono solo una copertura con cui si tenta di dare parvenza di sostanza alla propria posizione.
Mi sembra fin troppo argomentato.
Scruton negli articoli che ho letto usa l’asserto, l’appello alla realtà, la rivalutazione del common sense (il quale forse non è uno solo ma resta un dato oggettivo di realtà ed è molto più consistente delle dottrine e delle ideologie), l’affermazione di un mondo sociale ed etico che non ha bisogno d’essere fondato o dimostrato.
Tu parti da una posizione diversa: l’etica è da dimostrare e da vagliare, il pensiero dubitativo e critico ha un proprio valore ed una utilità anche sulla società.
Che senso ha contestare che la musica dodecafonica è stonata per il maestro di banda cittadina?
Se vuoi obietta sul suo metodo ma non puoi dirti insoddisfatto solo perché trovi insoddisfacente il contenuto misurato con il tuo metodo.
Ti rivolto il tuo schema d’argomentazione.
Dimostrami in modo esauriente l’esistenza del genere.
Io vedo differenze sessuali, lampanti al punto da essere fatti difficilmente controvertibili.
Ci sono anche differenza d’identità, ma allo stesso livello delle differenze caratteriali, dell’identità etnica, del portato generazionale.
Dimostrami che esiste qualcosa di solido e univoco detto “genere”.
Un plauso (a scena aperta) per la battuta sugli otto minuti INPS!!!!
ed Un Sorriso
@Lorenzo: Scruton precisa “i testi sacri della nostra tradizione”.
Si dovrebbe approfondire se le tradizioni sono proprie di un territorio, di un popolo, di una persona…
@eno: È vero, il richiamo al common sense e alla tradizione per me valgono poco, per Scruton molto. Ma proprio per questo dovrebbe approfondire e spiegare cosa è tradizione, cosa è common sense eccetera.
Le mie domande a Scruton (perché il matrimonio è e non può essere che «l’unione sacramentale descritta nei testi sacri della nostra tradizione»; convincermi che la società, e oramai da diverso tempo, non ha inventato qualcosa di diverso dall’unione sacramentale e le ha dato il nome matrimonio) riguardano proprio questo: parli di tradizione, ma perché proprio quella tradizione lì, superata da altre tradizioni (non so nel Regno Unito, ma in Italia è dall’unità che il matrimonio civile è cosa diversa dal matrimonio religioso).
Una dimostrazione di genere? In pieno common sense: il rosa e l’azzurro. Il rosa è femminile, l’azzurro maschile. Guai a mettere una bavaglina rosa a un bimbo (e una delle coperte per il pupo ha un lato rosa e uno azzurro, tipo la bandiera con cui Buster Keaton attraversava il fronte tra nordisti e sudisti). È un aspetto legato al sesso biologico?
È un esempio minimalista, ben diverso da quelli che di solito vengono proposti (su Wikipedia ho trovato quello di un uomo accidentalmente evirato in tarda età che, pur non avendo genitali maschili, si sente maschio). Appunto perché la differenza tra sesso e genere è banale differenza tra concetti diversi: maschile e femminile sono concetti in parte culturali in parte biologici.
E penso che Scruton potrebbe accettare questa banale differenza, ma probabilmente è troppo impegnato a criticare le femministe per riflettere su quello che dicono.
@il più cattivo: quella coda all’inps è stata la cosa peggiore legata alla nascita di Massimo, dovevo sfogarmi…
@Ivo: se questo è uno sfogo… sei stato fin tropppo elegante. Sappi che me la sono rivenduta, citando la fonte, e che gli applausi si sono propagati per tutta la provincia di Modena, almeno quella parte che frequento io.
Un Sorriso
P.S. Non so se sia ferrato abbastanza da poter esprime un commento anche riguardo il vero oggetto del post, ma in mezzo a quella che IMHO apparirebbe fuffa, noto che la causa del pregiudizio è come al solito la superstizione ed il relativismo. Può sembrare controcorrente ma ho sempre pensato che i fondamentalisti, dato che sono una moltitudine e la pensano in maniera spesso diametralmente opposta siano frutto di un relativismo soltanto miscunosciuto… Questo mi rafforza (e non so se sia un bene) nella convinzione che le tradizioni e le consuetudini siano nient’altro che brevi folgori nel cielo di una eternità ai più incomprensibile (e beccati anche il pensiero poetico).
La risposta che dai non è in pari materia con l’osservazione.
Tu non mi hai dimostrato che esiste il genere.
Tu mi hai mostrato l’autoevidente, cioè che una serie di mutevolissimi tratti associati alle persone non sono sessuali, ma che sono “culturalmente” connesse al sesso.
E grazie tante.
Possono aggiungerne numerosissimi: le professioni scelte, il tipo di vestiario, il lessico, gli sport e via discorrendo.
Tuttavia, questi tratti a volte sono fattori imputati al sesso, a volte all’età, a volte all’etnia, a volte all’educazione, a volte al ceto, a volte al vissuto personale, a volte alla psiche.
Non c’è niente di chiaro, univoco e unitario che possiamo chiamare “genere”.
Abbiamo una seconda natura mutevole, trasformabile, storica ma necessaria e in una certa misura sempre vincolante per chi la vive.
Sì, da Aristotele in poi ci eravamo arrivati.
E quindi? Come ne deduci il fatto che sussista un’isola autonoma di questa seconda natura chiamata genere?
L’esempio che porti si presta a moltissime obiezioni.
Non solo è minimalista, ma sbagliato.
I colori associati al sesso sono al pari dei colori del semaforo: segni, segnali, avvisi.
Vogliamo creare una dottrina dei traffic lights studies accanto ai gender studies?
Anche le conseguenze che trai non sono chiarissime.
Intendi che alcuni connotati di “genere” sono indipendenti dal sesso o che non coincidono col sesso ma vi sono legati?
Sono posizioni diversissime tra di loro.
Io, però, ti ho chiesto di dimostrare e non di esemplificare, tanto più ogni esempio va sussunto in una teoria.
Capisco la boutade, ma io voglio che tu mi mostri il funzionamento reale di questo fondazionalismo etico che consideri assai razionale.
Mi sembra una richiesta ragionevole pretendere che ciò che è etica “razionale” funzioni.
Quindi ribadisco la richiesta.
Dimostrami (specificando il metodo empirico o deduttivo usato) che esiste un pezzo unitario, coeso e stabile della realtà umana chiamato genere.
Ovviamente non puoi appellarti al common sense.
Poiché affermi che esiste al pari del sesso voglio che sia delimitato con la stessa precisione con cui posso indicare un apparato biologico.
Ah, chiaramente devi anche spiegarmi di preciso cos’è il genere e non solo che esiste.
Ottimo punto, Eno.
Detto questo i casini iniziano quando si pretende di sostituire la parola “genere” alla parola “sesso” nel timore che usare quest’ ultima “suggerisca” chissà cosa, lo ha spiegato bene ivo…
Possiamo infatti usare la parola “sesso” senza prendere in considerazione i fantomatici £suggerimenti”, ovvero senza giungere ad una conclusione in linea con il pensiero “conservatore”.
Soffiare via il polverone del politically correct che pretende di cambiare il mondo pasticciando con le parole è cosa buona, e di questo rendiamo grazie a Scruton. Il resto è ancora tutto da appurare.
@il più cattivo: Il tuo pensiero poetico mi è molto piaciuto.
@eno:
Quando ho affermato che il genere esiste “al pari” del sesso?
E, soprattutto, quando ho sostenuto la necessità di fornire dimostrazioni rigorose, quasi matematiche, di questioni etiche?
Il genere sono un insieme di caratteristiche associate al sesso ma che ne sono slegate (alcune indipendenti, perché non credo ci sia nulla di biologico nel rosa e nell’azzurro; altre dipendono dal sesso biologico, pur non facendone parte in senso stretto; indubbiamente intervengono altri fattori, come età, ceto sociale eccetera, ma penso sempre con il genere come cento di gravità).
È poco per costruire biblioteche di gender studies, ma il problema è di chi quei saggi li ha scritti; io mi sono limitato a dire che il concetto di genere non è assurdo, e che se proprio si voglion ocriticare i gender studies è meglio partire da un’altra parte.
@broncobilly: Sicuro sia questione di politically correct?
Pensi davvero che Scruton abbia difficoltà a concepire influssi culturali legati al sesso? No, ovviamente.
E allora, perchè mai introdurre un nuovo termine (“genere”) e i “gender studies”?
Dietro la rinnovata terminologia c’ è una tesi ben precisa: cio’ che chiamiamo “influsso culturale” è, ed è sempre stato nella storia, l’ inganno riuscito attraverso cui la “classe dei maschi” ha sottomesso e sfruttato la “classe delle femmine”.
Parlo di “classe” non a caso, vista l’ ascendenza marxista dei “gender studies” che guardano alla storia come ad una lotta (a somma zero) tra maschi e femmine traendo la loro strumentazione teorica da chi vi ha visto in precedenza una lotta continua tra tra padroni e proletari.
L’ alternativa liberale è di considerare i differenti ruoli sociali che si presentano nella storia come una modalità condivisa di organizzare razionalmente la società sulla base delle differenze sessuali che di fatto esistono.
Per esempio, se la punizione in seguito ad adulterio è più severa per le donne, questo non è indice di vessazione ma riflette il danno maggiore che procura l’ infedeltà femminile (mantenere per una vita un figlio non mio ha costi molto alti).
Altro esempio, il ruolo domestico della donna rifletteva sia le modalità della maternità, sia la qualità dei lavori esistenti, basati innanzitutto sulla forza fisica.
Nessuna congiura, quindi.
Ora, chi ritiene che la cultura passata sia stata perlopiù un inganno attraverso cui vessare la donna, ritiene anche che occorra combatterla ora con gli strumenti propri della cultura, ovvero “rettificando” le parole e costruendo un linguaggio “politically correct” che serva alla bisogna. Per chi ritiene invece che la cultura passata rispecchi un sincero sforzo di organizzazione sociale, una battaglia del genere è assurda: saranno le mutate condizioni di fatto a mutare i ruoli e comportamenti degli attori sociali.
La prima cosa è implicita nelle tua critica di Scruton laddove lui non fa altro che opporsi alla sostituzione in toto o in larga parte di sesso con genere.
La seconda quando chiedi che Scruton spieghi e dimostri ogni parola e ogni concetto, da senso comune a tradizione.
Ma questi erano un obiter dictum: non è ancora soddisfatta la mia domanda.
Non devi esemplificarmi il genere, dirmi che non ti pare insensato o darmene una definizione lessicografica.
Io vorrei sapere cos’è il genere e perché dovrebbe esistere.
Un po’ è una richiesta seria, perché in effetti “genere” pare un’entità ad hoc del tutto sostituibile con nozioni più semplici.
Ma è anche per mostrarti come certe pretese siano spropositate: non puoi esigere la spiegazione di ogni parola, pena il tacciare l’autore di insanabile vaghezza.
Sono molto più precise le parole pescate fresche dal parlato che non le definizioni astratte degli intellettuali da tavolino.
Se esigi quell’acribia definitoria, devi applicare lo stesso rigore su te stesso e non ne usciamo più.
@broncobilly: Perché introdurre il termine genere? Perché è utile distinguere ciò che è diverso. Ripeto: ciò non significa che i gender studies siano esenti da critiche.
Difficilmente cambiando le parole si cambia la realtà, su questo siamo d’accordo. Spesso però avere parle migliori aiuta…
@eno:
Scruton:
Tu:
Affermare che il genere è un carico di assurdità mi sembra da “opporsi alla sostituzione in toto o in larga parte di sesso con genere”. E infatti io ho scritto:
Poi prosegui:
Ma io non ho chiesto una dimostrazione di ogni parola o concetto, non ho chiesto dopo quanti anni una consuetudine diventa una tradizione, non ho chiesto quante persone devono credere una cosa perché questa diventi senso comune; ho posto due domande particolari e, mi sembra, lecite:
Domande che, tra l’altro, si muovo all’interno del discorso di Scruton sul valore della tradizione.
Ivo, se le cose fossero tanto semplici, se si trattasse solo di “introdurre nuove parole per distinguere cio’ che è diverso”, allora Scruton sarebbe attivamente impegnato nel fornire il suo contributo ai “gender sutdies”. Il sesso come concetto biologico e gli influssi culturali della sessualità sono infatti “cose differenti” che Scruton distingue alla perfezione.
La sua liquidazione (“il concetto di genere è un carico di assurdità”) non è comprensibile se ci si ferma al significato letterale del termine (in sè ovvio) senza indagare da dove tragga origine l’ intero approccio, se non si prende atto della via alternativa.
P.S. a proposito, un’ indagine alternativa ai “gender studies” è quella che conducono i razionalisti, un esempio è il libro di Richard Posner: “Sesso e Ragione”.
@broncobilly: Non intendevo dire che i Gender Studies si limitano a questa distinzione. È una letteratura che conosco marginalmente, ma so che ci sono, per usare un eufemismo, molte esaerazioni.
Quello che mi aspetto da un pensatore è che, anche nel contesto ristretto di una intervista, sappia separare il grano dal loglio, criticando quel che c’è da criticare senza perdere di vista quello che c’è di sensato.
Tra l’altro: voi esperti di Scruton, mi dite come interpretare l’ultima citazione: