Forse è l’estate, sia nel senso che il caldo dà alla testa, sia nel senso che accadono meno cose ma le pagine dei giornali vanno riempite lo stesso, ma vedo – sui social network e sui giornali, media che essendo in vacanza frequento in maniera discontinua – c’è un gran dibattere sul burkini, se bello, brutto, comodo, scomodo, inutile, tradizionale, esibizionista, incompatibile con la dignità umana, incompatibile con la civiltà occidentale, incompatibile con la civiltà tout court,1 e soprattutto se da proibire o tollerare.
Ora, la mia idea è che sia da tollerare, al massimo da scoraggiare ma non da proibire, visto che non c’è danno diretto dovuto all’indumento (a parte forse il caldo, non so, mai provato un burkini e neppure un costume intero, del resto) ma al massimo dall’imposizione, per cui è come il furto: il problema non è certo il passaggio di proprieta di un bene, ma il fatto che questo avvenga contro la volontà del legittimo proprietario, per cui non ha senso proibire il commercio.
Ma non è di questo che vorrei parlare, qui; c’è infatti un’altra cosa che mi colpisce, nell’idea di proibire il burkini, e che mi sembra valga la pena sottolineare: stiamo chiedendo al diritto (penale, ma non solo) di fare cose per cui non è stato pensato, ovvero definire una società, tracciare un confine tra un noi e un loro mettendo nero su bianco non tanto dei principi universali, ma delle pratiche particolari. Ora, non sono ingenuo: so bene che le leggi non si limitano a regolare i conflitti tra persone, ma danno anche forma alla società, a volte seguendo, a volte precedendo i costumi. Ma questo, appunto, regolando i suddetti conflitti tra persone ora in una maniera ora in un’altra, non inventandosi conflitti o elevando a insanabile conflitto sociale quello che è un semplice disgusto personale.
Siamo preoccupati per lo stato di minorità di parte della popolazione che affronta forti pressioni dirette e indirette? Vogliamo favorire l’autonomia e la consapevolezza di queste persone? Bene, siamo sicuri che una legge che proibisca determinate pratiche sia una soluzione a questo stato di minorità e non un modo per marcare il territorio, non troppo dissimile dalle pisciatine che fanno alcuni animali per strada?
- Peraltro, credo sia più semplice definire che cosa sia la civiltà, contrapposta all’inciviltà o alla preciviltà, che la civiltà occidentale contrapposta a non ho ancora capito cosa. [↩]
Commento seguendo un flusso più o meno incoerente di pensiero.
Credo che il mondo moderno abbia – forse per necessità sistemiche e ricorrenti legate al concetto aleatorio di nazionalismo? – fatto e stia facendo uno degli usi possibili del secondo grande lascito della rivoluzione francese, ovvero del concetto di uguaglianza. Assieme all’universalismo viene rafforzato l’anti-universalismo, che nell’universalismo converge sotto la maschera dell’opacità di tutte quelle presunte e nobilmente professate appartenenze nazionalistiche e culturali.
È un binomio antinomico che fa della pratica di inclusione, inferita dalla nozione di uguaglianza tanto ben predicata teoreticamente, una forma che di fatto include, ma che confina questa inclusione in zone di minoranza che sono poi, altrettanto di fatto, escluse dalla sfera più ampia della legittimità socio-culturale, ancor prima che legislativa. Se si discute la legittimità del burkini è perché in fondo ci pare altrettanto legittimo paventarne un’esclusione collettivamente condivisa della diversità.
Chissà se per il Kant della Metafisica dei costumi questa non sarebbe stata una delle questioni casuistiche…