La differenza tra dittatura e democrazia è che in democrazia prima si vota e poi si prendono ordini, in dittatura non dobbiamo sprecare il nostro tempo andando a votare.
Charles Bukowski, attribuito
Il cinismo di Bukowski è impressionante, tuttavia coglie un aspetto molto importante della democrazia: il voto.
Iniziamo con lo sgombrare il campo da un equivoco: il voto è condizione necessaria ma non sufficiente della democrazia. In altre parole, se non si organizzano votazioni possiamo tranquillamente affermare che non c’è democrazia, ma la presenza di votazioni non è sufficiente a farci dormire sonni tranquilli.
Si discute di riforme elettorali, e a pensarci bene è una strana discussione: ci sono diversi modi di contare i voti, e a seconda di come si contano i voti i risultati cambiano. Il voto non è quindi una sorta di misurazione dell’opinione pubblica, dal momento che quello che si chiede ad un buon strumento di misura è di non modificare il risultato.
Ma, in definitiva, che cosa è un voto?
Rispondere a questa domanda è tutt’altro che semplice, come mostra un notevole dialogo tra Alfa e Beta, scritto da Roberto Casati e Achille Varzi: L’incertezza elettorale – Che cos’è un voto? Come si contano i voti? E i voti contano davvero? (disponibile in formato pdf).
La decisione del singolo elettore è quasi sempre ininfluente: il singolo voto si unisce a migliaia o milioni di altre schede, riducendo proporzionalmente il suo potere. Il sistema elettorale vigente non si limita a contare il voto, ma di fatto lo interpreta inserendolo in un sistema molto più ampio e variabile (coalizioni, quote proporzionali, circoscrizioni, grandi elettori e così via).
I problemi non avvengono solo su scala macroscopica, dopo l’aver infilato la scheda nell’urna (o dopo l’aver selezionato il nome del candidato su un monitor), ma anche su scala microscopica, come mostra una interessante ricerca di Anthony C. Little, psicologo all’ Università di Stirling, in Scozia. Ne parla Psicocafé:
I tratti della personalità che il votante può individuare nel volto del candidato (aggressività, intelligenza, onestà, cordialità e competenza) sembrano avere un’ influenza molto forte sulle sue decisioni di voto. […]
E non si tratta di elementi quali capigliatura, abbigliamento, peso, sui quali i consulenti di immagine si adoprano già, ma di elementi basici del volto, piuttosto difficili da correggere.
Una votazione è quindi un insieme di decisioni irrazionali contate in maniera strana e imprevedibile.
In definitiva, Charles Bukowski non sembra avere tutti i torti: il voto è una sorta di semplice rito, una specie di lotteria che stabilisce chi dovrà comandare nei prossimi anni.
Come tutti i riti, non è tuttavia una inutile perdita di tempo:
Beta. Rifletti sui buchi: pensa in negativo. Pensa non alle cose ma agli spazi vuoti che queste racchiudono. L’istituzione del voto ha un valore soprattutto in negativo. Serve a circoscrivere il potere. A sancire la sua transitorietà. Oggi sei stato eletto. Tra quattro anni dovrai ricandidarti.
Alfa. Il voto crea dunque uno spazio che ci mette al riparo dallo strapotere?
Beta. Non esprime una mitica volontà popolare che parlerebbe, dopo l’elezione, per bocca dei candidati eletti. È come un colpo di stato incruento e su cui tutti siamo d’accordo
Conoscendoti, non sono sicuro che tu creda letteralmente e puntigliosamente ciò che ha scritto, ma piuttosto che lo intendi vero in senso circoscritto, in alcuni casi… Cmnq davvero è il voto il centro della democrazia, anche se è un mezzo per frenare il potere e le contese?
Non è poco? Voglio dire: una grossa parte della politica di base non si necessariamente mette ai voti. Le assemblee di circoscrizione, le discussioni alla sede di partito etc. privilegiano molto l’esposizione e lo scambio di idee sulla decisione finale, e viceversa nelle istituzioni conta sempre meno la discussione e più il meccanismo del voto.
( Sottinteso: la discussione VISIBILE, non gli accordi e il lobbyng in transatlantico ).
Ed è anche un bene! Se tutto fosse meccanismo di voto, rischieremmo continuamente di soccombere a paradossi come quelli del teorema di Arrow…
ciao Ivo! 🙂
Al centro della democrazia c’è, indubbiamente, la limitazione del potere e la conseguente libertà del cittadino (se mi passi questo termine da rivoluzione francese).
Il voto è quindi strumento irrinunciabile, ma non per quanto riguarda la libertà del cittadino di esprimere la propria opinione, bensì per quanto riguarda la limitazione del potere. Questa è proprio la mia opinione, per quanto non mi perda una votazione e cerchi sempre di valutare razionalmente le parti in gioco.
Da quel che ho capito, tu poni al centro della democrazia la discussione, il dibattito, lo scambio di idee. Giusto, però siamo onesti: lo scambio di opinioni è possibile solo a certi livelli, quando c’è un gruppo ristretto di persone che condividono tutte un certo insieme di conoscenze, una sorta di terreno comune di incontro. Condizioni difficilmente realizzabili, anche a livello di commissione parlamentare o sede di partito.
A prevalere è l’irrazionalità generale: si vota per fede o per simpatia oppure non si vota affatto.
Se prendiamo per buona la tua idea di democrazia, non possiamo che concludere che la democrazia è malata. Con la mia idea, la diagnosi è un pochino migliore. Anche perché dall’irrazionalità dei singoli possono comunque nascere, darwinianamente, decisioni razionali.