Le immagini sono sempre immagini di qualcosa, rimandano, indicano, si proiettano verso qualcosa che non è parte dell’immagine.
A volte queste l’immagine si focalizza tutta in questo rimando, tendendo a sparire, a non essere vista come immagine, ma come sostituto della cosa rappresentata. È il caso, ma è un esempio tra mille, della cupola disegnata ad Arezzo (Badia di S. Flora e Lucilla) nel 1702 da Andrea Pozzo: in realtà la cupola non esiste, il soffitto è piatto.
Altre volte, invece, l’immagine non è centrata sull’oggetto rappresentato, bensì sull’oggetto che rappresenta. Può accadere anche in questo caso un fenomeno di oscuramento, ossia che il rappresentante nasconda e annulli il rappresentato?
Chi conosce l’opera di Alberto Burri ha indubbiamente già intuito la risposta. I quadri dell’artista umbro sono infatti delle interessantissime immagini che non rimandano a nulla.
Una veloce ricerca in internet (o meglio ancora una visita a Città di Castello, in provincia di Perugia) e si possono ammirare alcuni dei quadri di questo straordinario artista: composizioni astratte nelle quali il quadro si mostra per quello che è: un oggetto di legno bruciato, di plastica, di tela o di altri materiali come il cellotex.
L’opera di Burri è solitamente indicata sotto la categoria di informale materico, privilegiando la contrapposizione forma / materia invece di quella rappresentante / rappresentato.
Se la finta cupola di Andrea Pozzo è una immagine al suo massimo livello, i quadri di Burri costituiscono invece il grado zero dell’immagine: non indicare nulla, e neppure suggerire un significato, magari simbolico. L’immagine chiusa su sé stessa.