Il mondo è cambiato. Da questa affermazione, banale e proprio per questo fondamentale, parte Fabrizio Mastrofini nella sua analisi del papato di Benedetto XVI: il mondo è cambiato e il Papa si trova a dover affrontare una nuova evangelizzazione.
Il titolo del libro, Ratzinger per non credenti, si riferisce appunto a questa importante sfida: la necessità del dialogo con i non credenti.
L’impressione che si coglie, o meglio che io ho colto, dalla lettura di questo interessante e ben scritto saggio, è che Joseph Ratzinger non sia assolutamente in grado di raccogliere questa sfida.
La finestra che si affaccia in piazza San Pietro, «simbolo dell’apertura del pontificato al mondo», assume le forme della centrale di una polizia segreta di una qualche dittatura prossima alla fine.
Non mi interessa qui proporre il tema dell’ostilità della religione cattolica nei confronti della democrazia, e neppure accusare il Vaticano di essere l’unica monarchia assoluta d’Europa o evocare, come nei vecchi manifesti elettorali della DC, i cavalli che si abbeverano in piazza San Pietro.
Tutto quello che voglio fare è lasciare spazio ad alcune suggestioni emerse durante la lettura: un discorso volutamente limitato, che legge gli avvenimenti unicamente in chiave politica e che non tocca, ad esempio, il tema del rapporto tra fede e ragione, tanto caro a Ratzinger e al quale, giustamente, Mastrofini dedica ampio spazio.
In poche parole, mi propongo di dimenticare momentaneamente che il cattolicesimo è una religione e provare a interpretare le gesta di Benedetto XVI così, come un non credente che ignora persino cosa siano la fede e la religione.
Niente critiche
Il primo dovere di un dittatore è controllare le critiche: solo ciò che è autorizzato può venire pubblicamente discusso:
Il ruolo di guida spetta ai vescovi e al papa, dunque al “magistero”, che deve tutelare il “popolo” cristiano da confusioni ed errori, come quelli che potrebbero derivare da una conoscenza superficiale o da una affrettata comunicazione di teorie non sufficientemente giudicate e valutate prima.
p. 58
Libertà di ricerca
La libertà di ricerca è, necessariamente, una libertà limitata e sorvegliata, anche se è meglio non darlo troppo a vedere e dirsi paladini della libertà:
La libertà di ricerca, che giustamente sta a cuore alla comunità degli uomini di scienza come uno dei suoi beni più preziosi, significa disponibilità ad accogliere la verità così come essa si presenta, al termine di una ricerca, nella quale non sia intervenuto alcun elemento estraneo alle esigenze di un metodo che corrisponda all’oggetto studiato. In teologia questa libertà di ricerca si iscrive all’interno di un sapere razionale il cui oggetto è dato dalla rivelazione, trasmessa e interpretata nella Chiesa sotto l’autorità del magistero, e accolta dalla fede.
Donum veritatis, Libreria Editrice Vaticana, 1990, par. 12 (cit. a p. 57)
Se da una parte si riconosce, e si esalta, la libertà di ricerca, dall’altra la si limita, stabilendo che la teologia non può che sottomettersi all’autorità del magistero: «la libertà di ricerca è ammessa in via teorica mentre in pratica è soggetta a regole che ne determinano i confini» (p. 59).
Si percepisce una vera e propria paura della libera discussione:
Gli enunciati della fede non risultano da una ricerca puramente individuale e da una libera critica della parola di Dio, ma costituiscono un’eredità ecclesiale.
Donum veritatis, par. 38 (cit. a p. 60)
e ancora:
Così sull’ordinazione delle donne, come sul celibato sacerdotale o sui temi dell’eutanasia e della bioetica, si sono adoperate formule impegnative per far capire che nessuno più aveva il diritto di discuterne […] (p. 66-67).
L’amore per il popolo
Ma un dittatore non può fare tutto questo per semplice egoismo. Il suo è amore: verso il popolo, che deve venire protetto, e verso coloro che sbagliano, che devono venire corretti:
Non c’è dubbio che l’azione di vaglio censorio di scritti e pubblicazioni e le misure concrete contro teologi e teologhe scaturiscano dallo stesso atteggiamento di amore verso la Chiesa: segnalare agli studiosi i loro errori, invitarli a rivedere le loro posizioni, punirli anche allo scopo di farli riflettere, per mettere fine allo scandalo della divisione, dunque per amore verso la Chiesa stessa e per il bene dei protagonisti (p. 104).
Conclusioni?
Dubito fortemente che sia possibile trarre delle conclusioni sensate da questa parziale lettura del libro di Mastrofini e del papato di Benedetto XVI.
Certo è che se il cattolicesimo non fosse una religione ma un movimento politico, avrebbe oramai fatto il proprio tempo. Per fortuna non è un movimento politico.
“Per fortuna non è un movimento politico.”
Come no? E cosa è se non un movimento politico che si basa su una credenza religiosa?
‘Per fortuna non e’ un movimento politico.’
e che cos’e’ un’organizzazione che invita i suoi militanti a disertare le urne di un referendum? che un giorno si’ e l’altro pure dice ai parlamentari cosa e come devono votare? mi pare che i seguaci di uno che ha detto “date a Cesare quel che e’ di Cesare e a dio quel che e’ di dio” abbiano un po’ le idee confuse. E il guaio e’ che le loro idee confuse le vogliono imporre a tutti, anche a chi seguace di Cristo non e’. Se non e’ ‘sharia’ questa non so cosa lo sia.
La mia chiusa voleva essere più una speranza che una descrizione…
“Certo è che se il cattolicesimo non fosse una religione ma un movimento politico, avrebbe oramai fatto il proprio tempo”
Infatti, il “rispetto speciale” che la maggior parte delle persone danno (non si sa bene perchè) alle religioni impedisce una seria e sensata critica a questo sistema.
(Vedi Sam Harris, tanto per gradire 😉 )
Kirbmarc: Il rispetto sociale le religioni se lo sono guadagnato: come ci ricorda Antonio Socci, senza il cristianesimo non avremmo la musica, le università, la libertà, la democrazia… 😉
Comunque io non la metto tanto sul discorso del prestigio sociale, quanto sulla diversità tra un movimento politico e una religione, che sono cose diverse anche se, a volte, i religiosi si occupano di politica (e, sempre a volte, il contrario).
@–> Ivo e ospiti.
Vorrei invitarvi a leggere questo post e i commenti relativi (anche il post successivo, che si collega):
http://nihilalieno.splinder.com/post/15103683/Sar%C3%B2+cretina…
In particolare, il mio intento è quello di segnalarvi i commenti di Marmulak e le reazioni (ingiustificate) che ha suscitato.
Per Lector
Conosco Alex, il commentatore più incazzoso di quel post con la faccia di Keanu Reeves. Patetico, spocchia, noia, e tutte quelle frasi fatte le ripete in continuazione in tutti i blog che va, compreso il mio fino a poco tempo fa.
Tra l’altro cita un mio post facendo intendere che il sottoscritto è in malafede, cattivo, guidato dall’odio.
Lui invece è sempre gentile ed è un pezzo di pane come si vede. 😉
Ho guardato di sfuggita il post e i commenti…
Il tema del post è interessante, per quanto trovi la citazione di Ferraris ingiustificata (Ferraris gigioneggia, a volte quasi fastidiosamente, ma solleva temi importanti e seri).
Sui commenti ho poco da dire: su certi temi, purtroppo, è difficile dialogare: c’è sempre gente come Fabristol, in malafede, cattiva e guidata dall’odio 😉
Vi volevo segnalare un dibattito in cui si assiste alla contrapposizione tra le argomentazioni (parecchio serie) di un laico e quelle del gruppo confessionale che si riferisce alla blogger Nihilalieno (una suora cattolica laureata in filosofia, peraltro piuttosto simpatica). Se avete un po’ di tempo da dedicarci (ahimé, quello è sempre poco), cercate e leggete ciò che dice Marmulak e come confuta punto per punto le tesi dei suoi detrattori. Secondo il mio modestissimo parere, ne vale la pena 🙂
Ho letto con maggiore attenzione il tutto. Gira e rigira, si torna sempre lì: che cosa è la fede?
Parafrasando un peccatore poi divenuto santo: “Se non me lo chiedi, lo so, se me lo chiedi, non lo so più” 😉 Però potrei chiederlo a Nihilalieno
“ci ricorda Antonio Socci, senza il cristianesimo non avremmo la musica, le università, la libertà, la democrazia”
🙂 🙂 (Lasciamo cadere,per un attimo, il fatto che ANCHE tutte queste cose sono eredità greco-romane)
Seguendo questa linea di pensiero i miti greci dovrebbero essere ancora più meritevoli di rispetto: non avremmo la letteratura , nè l’arte, nè la filosofia, nè l’economia monetaria o il commercio internazionale (per non parlare del Dono di Theuth;) )
senza di loro
Spero di non abusare dello spazio di Ivo trascrivendo qui uno dei punti che mi ha colpito di più per lucidità d’analisi (l’ho ripreso anche sul mio blog):
“vorrebbero che ai cristiani fosse tolto il diritto di parola e di voto… in quanto cretini eterodiretti dal Vaticano” (estratto da un commento di Nihilalieno http://nihilalieno.splinder.com/post/15116309/Avvento+II+-+realt%C3%A0)
Risponde Marmulak…….. Punto delicato: che ci sia di fatto un problema di coesistenza tra dottrine teocratiche, da una parte, e democrazia, pluralismo, politeismo dei valori dall’altra, è un dato di fatto. Se studi la storia della Chiesa e del movimento cattolico italiano dal momento dell’impatto con la modernità borghese fino a Murri e a Sturzo ti accorgerai di difficoltà enormi di integrazione del cattolicesimo (come più recentemente, in altro ambito, del fondamentalismo protestante) nella logica della democrazia borghese. Che ha raggiunto punte di tensione drammatica come il Sillabo, e che sta vivendo oggi momenti di irrigidimento conservatore (sul piano appunto politico. Del piano religioso si potrebbe discutere, e sarebbe una discussione interessante, ma qui non ci interessa).
Certo, dal punto di vista laico, la capacità che la Chiesa cattolica ancora possiede di mobilitare masse di persone rappresenta un problema. Una specie di peso morto, che introduce un elemento di vischiosità nel dibattito della società civile. Un’istituzione che arranca con ritardo, e costituisce una resistenza conservatrice (se non reazionaria) nell’accettazione di quelle che alla sensibilità “laica” sembrano direzioni auspicabili di movimento della società: di volta in volta democrazia politica, suffragio universale, libertà di stampa, libertà di opinione, libertà di culto, uguaglianza di diritti per i due sessi, abolizione della pena di morte, introduzione della possibilità di divorziare, una nuova concezione della sessualità etc. Una forza conservatrice che poi, dopo aver ritardato le cose di molti decenni, finisce quasi sempre per accettarle come più o meno naturali. Quelle che ora anche a molti cristiani cattolici (persino a leader politici) sembrano ovvietà, hanno dovuto essere strappate con grande fatica e grandi conflitti in ambienti nei quali la Chiesa (cattolica) ha rappresentato un fattore di conservazione. L’unificazione borghese e monarchica degli stati italiani ha eliminato dalla carta geografica uno stato (quello del Papa) dove NESSUNO dei diritti borghesi che ho menzionato valeva.
In questo caso il “laico”/la “laica” fa un ragionamento semplice, ma inoppugnabile: se fosse dipeso dalla Chiesa (cattolica) nessuna di queste libertà (di cui pure ora tutti fanno uso, anche i cattolici) esisterebbe. Perché mai dovremmo lasciare che questa forza conservatrice abbia un peso anche su possibili libertà future (delle quali senza dubbio poi anche gran parte dei suoi affiliati faranno uso)?
Preferisco un papa come Benedetto XVI, con il coraggio di sostenere dottrine spesso impopolari, e coerente con la tradizione cattolica, a qualche trasformista modernista che plasmi il tutto sulle “esigenze” dei non credenti o dei credenti all’acqua di rose del XXI secolo.
Perchè mai la religione, e lo stato vaticano che ne fa da promotore, dovrebbe “adattarsi” in tutto e per tutto al mondo moderno? Che senso avrebbe perdere la sua diversità, la sua provocatorietà? Al contrario, seguire le mode e cercare giustificazioni che piacciano ai laici farebbe perdere alla chiesa ancora più credibilità.
In ogni caso la chiesa e il cristianesimo restano in declino con o senza Benedetto XVI.
Pur non essendo credente, sono abbastanza realista da capire che tale declino non creerà il paradiso in terra, come non lo creeranno le altisonanti parole “libertà”, “laicità”, “democrazia”, tanto simili a quelle in nome delle quali massacri come la rivoluzione francese o la guerra in Iraq vennero compiuti.
“Pur non essendo credente, sono abbastanza realista da capire che tale declino non creerà il paradiso in terra”
Nessuno (credo) è tanto inguenuo da pensarlo; c’è da dire che finora, di paradisi in terra non se ne sono mai visti, e dubito che se ne potranno mai vedere.
“come non lo creeranno le altisonanti parole “libertà”, “laicità”, “democrazia”, tanto simili a quelle in nome delle quali massacri come la rivoluzione francese o la guerra in Iraq vennero compiuti.”
Però queste parole “altisonanti”, pur non essendo parole magiche (ovviamente) sottointendono una lunga serie di diritti faticsdamente conquistati, e non certo grazie alle aritocrazie o ai papi tradizionalisti.
“Nessuno (credo) è tanto inguenuo da pensarlo c’è da dire che finora, di paradisi in terra non se ne sono mai visti, e dubito che se ne potranno mai vedere.”
Purtroppo invece di ingenui è pieno il mondo. Non si fa che parlare di “nuovo ordine mondiale”, “nuova umanità” e “nuova etica”, e non si fa che raccontare la favola che la “democrazia” porterà a tutti felicità e abbondanza. “Democrazia” in effetti ha sostituito “paradiso” nell’immaginario degli ingenui.
“Però queste parole “altisonanti”, pur non essendo parole magiche (ovviamente) sottointendono una lunga serie di diritti faticsdamente conquistati, e non certo grazie alle aritocrazie o ai papi tradizionalisti.”
Quali “diritti”? Il diritto dei borghesi di sostituirsi ai nobili nello sfruttamento della forza lavoro? Il diritto delle masse ignoranti di dare un voto ininfluente?
Scontato poi che Lei parli di “conquiste”, sottintendendo come al solito un progresso, un movimento verso il miglioramento, ignorando il fatto che tutto è relativo e contingente. Sembra che la storia sia il cammino verso la conquista dei “diritti”, queste entità misteriose in qualche modo precostituite che spettano ad ogni homo sapiens (ma di recente anche ad altre specie animali), e che i buoni progressisti lottano per rendere fruibili, mentre i cattivi reazionari vogliono negare. Quanto infantile, quanto assurda questa visione della storia. I cosiddetti “diritti” sono una convenzione, una decisione frutto di compromesso, di una lotta tra interessi dove il più forte vince.
Coraggio, smettiamola con questa concezione irrealista della storia. Ovvio, il mondo è cambiato, i rapporti sociali sono cambiati, e tutto questo non certo a causa delle ideologie, siano esse di papi o di laici, perchè le ideologie sono anch’esse prodotto dei tempi, di condizioni materiali differenti.
Per questo trovo ridicola la presunzione di entrambi religiosi e laici di essere dalla parte del “giusto”, e similmente ridicole le altisonanti proclamazioni di diritti, la favola della democrazia, la mitologia della libertà.
vivalaristocrazia:
Perché, banalmente, questo Papa vive nel XXI secolo.
Adattarsi non significa venire meno alle proprie idee, ma esprimerle al meglio. Se devo spiegare qualcosa di filosofia a uno studente del primo anno delle scuole superiori uso termini diversi rispetto a quelli che userei con un professore universitario: non è certo un cedimento!
Sotto certi punti di vista vedo il declino (chiese vuote), ma sotto altri punti di vista vedo invece una rinascita (vedi Piazza San Pietro). Diciamo trasformazione?
Sì, smettiamola di credere in un inarrestabile progresso dell’umanità. Ma smettiamo anche di credere che di progressi non ve ne siano: ci sono, basta mettersi d’accordo sui criteri per valutarli.
“il fatto che tutto è relativo e contingente”
Anche lo schiavismo è un bene relativo, suppongo.
Come pure il lavoro minorile, la pena di morte, la tortura…tutti beni relativi, che oggi il più forte ha tolto per schiacciare il più debole. 😉
“Perché, banalmente, questo Papa vive nel XXI secolo.
Adattarsi non significa venire meno alle proprie idee, ma esprimerle al meglio. Se devo spiegare qualcosa di filosofia a uno studente del primo anno delle scuole superiori uso termini diversi rispetto a quelli che userei con un professore universitario: non è certo un cedimento!”
Un conto è cambiare i modi di comunicazione, un altro è cambiare i contenuti, magari in modo sottile, ma comunque sostanziale. In ogni caso, Benedetto XVI è al momento a capo della chiesa cattolica e, banalmente, spetta a lui decidere che direzione prendere. Trovo assurdo che i laici pretendano di decidere cosa il papa dovrebbe e non dovrebbe fare per “adeguare” la fede al nostro tempo, facendo pressioni ad esempio per il sacerdozio femminile o la contraccezione. Al dogma e alla pratica cattolica ci pensi lui, e noi preoccupiamoci dei rapporti tra stato e chiesa.
“Sì, smettiamola di credere in un inarrestabile progresso dell’umanità. Ma smettiamo anche di credere che di progressi non ve ne siano: ci sono, basta mettersi d’accordo sui criteri per valutarli.”
Esattamente così: l’idea di progresso necessita di parametri con cui giudicarlo. Proprio perchè i parametri, di qualsiasi natura essi siano, sono necessariamente soggettivi e opinabili, l’idea di progresso in sè è soggettiva e opinabile, ragion per cui non parlo di progresso ma di “cambiamento”.
“Anche lo schiavismo è un bene relativo, suppongo.
Come pure il lavoro minorile, la pena di morte, la tortura…tutti beni relativi, che oggi il più forte ha tolto per schiacciare il più debole.”
Suppone bene! E il fatto che Lei irrida questa evidenza è una dimostrazione di quanto infondate e infantili sono le sue teorie.
Coraggio, mi dimostri con dati *oggettivi* cosa è il bene e cosa è il male. Mi dimostri con dati *oggettivi* perchè è un “dovere” fare come dice Lei.
A parte il fatto che è sempre lui a occuparsi dei rapporti tra stato e chiesa, io non mi aspetto certo di poter stabilire l’agenda del Papa. Ma è sicuramente diritto di un laico e persino di un ateo cercare di capire dove il Papa voglia andare a parare…
Ho i miei dubbi su quel “soggettivi” e “opinabili”. Che lavorare 40 ore la settimana contro le (pare) 20 dei primi homo sapiens possa non essere un progresso sono d’accordo. Il non dover soggiacere ai capricci di un sovrano assoluto in grado di ucciderci per capriccio… beh, mi sembra difficilmente opinabile.
PIù un generale: che in linea di principio possa avanzare obiezioni su tutto non significa che tutto sia soggettivo, semplicemente perché le obiezioni devono fare presa su qualcosa, altrimenti prendono il tempo che trovano.
“Ho i miei dubbi su quel “soggettivi” e “opinabili”. Che lavorare 40 ore la settimana contro le (pare) 20 dei primi homo sapiens possa non essere un progresso sono d’accordo. Il non dover soggiacere ai capricci di un sovrano assoluto in grado di ucciderci per capriccio¦ beh, mi sembra difficilmente opinabile.
PIù un generale: che in linea di principio possa avanzare obiezioni su tutto non significa che tutto sia soggettivo, semplicemente perchè le
obiezioni devono fare presa su qualcosa, altrimenti prendono il tempo che trovano.”
Vedo che non ha risposto alla mia domanda, e non mi meraviglia, visto che la logica apparentemente non è la sua specialità. Dove sono i criteri oggettivi? Si rende conto che il numero di ore di lavoro è oggettivo, ma la valutazione se sia meglio lavorarne 20 o 40 è soggettiva? Il mondo oggettivo è fatto di oggetti, di numeri, non di valutazioni. Queste ultime sono intrinsecamente discrezionali, fosse perfino di valutare se sia meglio vivere o morire. Ne deriva una ovvia constatazione: nessuna morale può vantare di essere “giusta” o “sbagliata” su basi scientifiche. Non esistono diritti e doveri precostituiti, i quali sono semplicemente il risultato di complessi rapporti di forza (nel senso più generale) tra i contraenti. Nel sostenere una qualsiasi causa, quindi, è irrealistico definirsi come i “giusti” mentre si sta semplicemente avanzando degli interessi che sono necessariamente relativi.
Anch’io certo contrasterei l’ipotetico sovrano del suo esempio infantile, come contrasto il suffragio universale, la globalizzazione dei mercati, le ipocrite teorie socialiste ed egalitarie, il potere finanziario, le religioni, e tutto quanto sia contrario alla mia, necessariamente relativa, morale.
Constatato lo scarso realismo di questo sito, in ogni caso, non indulgerò in altre visite, lasciandovi liberi di ridicolizzare e misinterpretare le evidenze da me suggerite nel modo in cui vi è più congeniale.
Distinti saluti.
Alcuni articoli interessanti per vivalaristocrazia (che sperò apprezzerà):
http://lumerinnovato.blogspot.com/2008/01/listinto-morale-di-steven-pinker.html
http://lumerinnovato.blogspot.com/2008/01/la-nuova-scienza-morale-steven-pinker.html
Buona lettura.
Devo dire di essere in parte d’accordo con Vivalaristocrazia.
Non certo sul fatto che la morale corrente sarebbe il prodotto del “più forte” o che sia “relativa”.
Se è relativa in senso assoluto, non ha senso il termine.
Se è relativa al periodo storico, allora c’è un oggettivo legame con la situazione materiale; comunque, visto che possiamo criticarla essa è trascendibile ed abbiamo criteri per valutarla.
(Sulla relatività ai gusti del soggetto o la sua scientificità, beh, è un discorso lungo…)
Per l’imposizione del più forte, non esiste persona o corporazione così forte da imporre un ethos condiviso.
Ma faccio notare a Ivo che le 8 ore sono state richieste come miglioria qualitativa del lavoro.
In una società dove la separazione tra lavoro e vita sociale fosse più sfumata e meno spaesante, 12 di lavoro potrebbero essere tollerate meglio.
E intendo: una diversa concezione di “lavoro”. Un po’ si lavora, un po’ si sta con i figli, un po’ si pesca, un po’ si discute con gli uomini del villaggio etc.
Ora, nel caso della singola richiesta sindacale, nel dato momento storico e sociale, è facile sapere come passare dal peggio al meglio.
Non si commetta però l’errore di applicare indebitamente il concetto di questo tipo di progresso, locale e limitato.
Come valutare se è meglio la società che divide i tempi della vita privata e pubblica o quella che si fonda su un diverso concetto di lavoro?
E che senso ha allora parlare di progresso se la struttura qualitativa è mutata?
Possiamo anche trovare qualche criterio di riferimento convenzionale per comparare, ma non ci direbbe proprio nulla al di là della catalogazione.
ciao, Eno!
vivalaristocrazia: Non ho cercato di ridicolizzare nessuno, e mi spiace che vi sia stata questa impressione.
Le mie obiezioni si muovono in sostanza sulla sovrapposizione di “soggettivo”, “discrezionale” e “relativo”: non tutto quello che è relativo al soggetto è per questo discrezionale e arbitrario, ma può invece essere oggettivo.
Non proseguo oltre con il discorso, troppo lungo per un veloce commento, vista l’intenzione di non “indulgere in altre visite”…
eno: Non ho capito in cosa sei d’accordo con vivalaristrocrazia, a parte il mio esempio delle 40 ore (che mettevo, appunto, come esempio opinabile e discrezionale di progresso).
Il mio sogno, comunque, è la settimana lavorativa di zero ore (e stipendio pieno, ovviamente) 😉
Zero ore di operosità no.
Io vorrei fare dalle 9 di mattina alle 11 di sera, ma essere pagato per qualsiasi cosa faccio. 😛
…ero d’accordo sull’inesistenza del progresso tra tipi di società, tra cui c’è solo cambiamento sia pure unidirezionale.
Rileggendo mi pare di esser stato poco chiaro.
Tu dici che il progresso non è una legge inevitabile, ma lasci aperto il punto: “Si può sempre valutare o no se c’è stato un miglioramento, sia pure con margine di dubbio?”.
Io sono convinto che in quei numerosi casi, ben sfruttati in retorica politica, il concetto di progresso sia adoperato in modo del tutto abusivo.
Non un giudizio soggettivo, non individuale: insensato.
ciao! 🙂
eno In pratica, proponi una sorta di incommensurabilità tra tipi di società… non capisco, però, in che misura.
Penso che si possa sempre parlare di progresso, confrontando due società anche molto diverse tra loro, avendo però in mente che si confrontano sistemi diversi.
Tornando all’esempio (infantile) delle ore lavorative: penso che si possa tranquillamente sostenere che sia un progresso passare da 3 ore di lavoro senza una distinzione netta tra vita privata e vita lavorativa a 8 ore ma con una netta separazione.
Un progresso certo diverso da quello, ad esempio, di un’auto che passa da 10 a 20 chilometri con un litro (in questo caso il confronto è tra omogenei).
Spero di essermi spiegato (ne dubito: rileggendomi non mi sono capito neppure io!)
Non ho parlato di passare a un sistema dove è invalsa una separazione tra privato e pubblico da uno in cui essa manca, PLUS la questione delle ore di fatica.
Qui ci sarebbero due fattori: ore di lavoro e tempo lasciato a noi stessi.
E’ complicato calcolare cosa è meglio quando un valore scende e l’altro sale, ma fattibile.
Io parlavo di un passaggio rivoluzionario – catastrofico in senso greco- da una società dove non esiste né il concetto di vita privata né quello di vita pubblica, ma quello p.e. di un’esistenza tribale e comunitaria pura, ad un’altra dove quel concetto svanisce ed è sostituito da altri.
E’ diverso da un caso in cui i concetti esistono separatamente, ma di fatto ci sono indebiti sconfinamenti.
Nota che la vita privata è un “costrutto” sociale, e non esiste- per volgarizzare- senza che essa venga praticata sive creduta.
E’ tutto diverso dalla quantità di cibo, dalla quantità di conoscenza, dalla disponibilità di vestiario, tutte tangibili quanto l’appetito, il freddo, il bisogno di conoscenze.
Ecco, se la catastrofe accade, qualcosa l’avrà scatenata: mutamento economico, degenerazione del sistema politico, contatto con popolazioni straniere.
Forse potremmo affermare che rispetto al problema-catalizzatore la società risultante è meglio.
Ma non vedo con quale punto di riferimento possiamo dire che la società comunitaria è in generale peggiore da viverci della nostra ( peraltro lo scarto pubblico-privato è piuttosto alienante, no? ).
Non mi pare un gran dramma, cmnq.
Questo non ci condanna affatto alla stasi.
Se ci riflettiamo noi battagliamo e cerchiamo di risolvere problemi definiti, per quanto vasti e radicali come la riforma di un ordinamento giudiziario, ma mai intere “società” o “sistemi etici”.
E’ solo affrontando i primi che la “società” subiscono trasfozioni radicalmente.
Sì sì… qualcuno cerca anche di riformare l’etica, buttare a gambe all’aria la società, etc. ma finora ho visto molti disastri e mai che avessero raggiunto il risultato preffiso. Dalle mie parti si dice “filare nebbia per vestire gli ignudi”. 😉
ciao, Eno! 🙂